Neanche il tempo di metabolizzare il 2016, che già è finito febbraio, già siamo a Carnevale, anzi, domani è l'ultimo giorno, e tra un po' di giorni compio gli anni (il 13 marzo), perché sì, sono già passati due mesi, mesi in ogni caso, come questo, ricco di pellicole, anche quelle che razionalmente non dovrei vedere, ma che la curiosità (maledetta) m'impone di vedere. Ecco due esempi. Ho principalmente visto Viaggio nell'Isola dei Dinosauri (Dinosaur Island), film d'avventura australiano del 2013, solo per il semplice fatto che sono sempre stato affascinato dal mondo preistorico, ma purtroppo come volevasi dimostrare, in quanto questo è il classico B-movie per ragazzi, è davvero un pessimo film, addirittura peggio di uno dei più brutti visti, ovvero The Lost Dinosaurs, passato in tv settimane fa. Già la trama non sembrava eccezionale, eppure con una piccola fusione tra Viaggio nell'Isola Misteriosa e Jurassic Park, il film pareva accettabile, e invece la trama, che racconta di un ragazzino di tredici anni che durante un volo in aereo, si ritrova catapultato in un isola misteriosa popolata da dinosauri dove incontra una ragazza che lo aiuterà a tornare a casa, fa acqua da tutte le parti. Peccato però, perché gli effetti speciali dei rettili giganti non sono affatto mal realizzati (anzi sì), l'ambientazione per un'avventura c'è ed è buona, le cose negative del film quindi e in sostanza sono le prestazioni dei due protagonisti che possiamo anche tralasciare in questo frangente visto che non potevano dare quel qualcosa in più, ma soprattutto i dialoghi che ha volte ti danno l'istinto di spegnere ed andare a fare altro di migliore come anche alcune scene e alcuni riscontri nella trama. Insomma una ciofeca neanche divertente. Unica nota positiva la carinissima Kate Rasmussen e stop. Altro esempio di come alcuni fanno film coi piedi, è la rivisitazione in chiave dark e similmente scema di Cappuccetto Rosso, nel film 'horror' (per dire) Little Dead Rotting Hood (2016) della Asylum (sì sempre quella) infatti, gli abitanti di una piccola cittadina (con 0 cervello) scoprono che nel bosco vicino è in agguato qualcosa di molto più sinistro di semplici lupi famelici, poiché una fattucchiera vestita di rosso lascia alla nipote (che uccide e seppellisce per poi trasformala in zombie-lupo) il compito di proteggerli da una stirpe di lupi mannari con una spada e un mantello magico. Ovviamente potete immaginarvi cosa ne esce (qualcosa di terrificante cinematograficamente parlando), perché questo film con parecchie infamie e nessuna lode, è probabilmente stato scritto da sub-acculturati mentali in età prepuberale, d'altronde le classiche gnocche secondarie non mancano, come non manca la gnocca protagonista, che qui ha le sembianze di Bianca A. Santos, bellissima ragazza vista in L'A.S.S.O. nella manica e da vedere in Ouija, ma a parte questo davvero un inutile film, con pessimi effetti speciali, incongruenze ed approssimazioni madornali, dialoghi penosi e nessuna fantasia, perciò da evitare.
Il lungometraggio drammatico Zona d'ombra (Concussion), film del 2015 scritto e diretto da Peter Landesman, con protagonista Will Smith, narra la vera storia del patologo nigeriano dottor Bennet Omalu, che sfidò la fortissima e potentissima NFL, dimostrando scientificamente che il football americano, soprattutto a causa dei violentissimi impatti, tipici di questo sport, danneggia irreversibilmente il cervello, provocando L'encefalopatia traumatica cronica (CTE). Alla luce di questo drammatico racconto di cronaca autentica, che sembra avere apparentemente però un lieto fine, ci si aspetterebbe che questa disciplina sportiva sia stata abolita o quantomeno ridimensionata. Purtroppo per quello che si vede e si sente, in America perlomeno, è una pratica ancora popolarissima e i rimedi che sarebbero stati adottati sono banalissimi palliativi. D'altronde queste battaglie legali, ingaggiate da volenterosi e tenaci cittadini dotati di grande senso civico e moralità, contro le fortissime lobby, tipo quella del tabacco sono durissime, si pensi a quali studi legali si possono affidare, con i mezzi economici che si possono permettere e dunque destinate il più delle volte al fallimento. Ogni tanto qualcuno riesce ad ottenere un iperbolico indennizzo, ma le cose sostanzialmente non cambiano. Quello che cambia è invece il film, che regge bene finché si tratta di mettere gradualmente le carte sul tavolo, ma proprio quando diventa qualcosa di più di un thriller sembra perdere di incisività, e anche di verosimiglianza. La sceneggiatura prende lo spunto da un'inchiesta giornalistica, ma dov'è il famoso giornalismo d'inchiesta americano se Bennet si trova completamente solo a combattere contro il Moloch del football? Sembra una soluzione un po' troppo semplicistica per mantenere alto il livello di tensione, che invece cade a precipizio, salvo un tentativo di recupero in extremis, col discorso finale di Bennet. Bravo comunque Will Smith, credibilissimo a dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, che è un attore a tutto tondo, che riesce a passare da ruoli brillanti a drammatici con grande disinvoltura. E bravo Alec Baldwin (che interpreta un ex medico sportivo), che con l'età ha acquisito una carica umana insospettabile quand'era più giovane, più bello e più magro. In ogni caso nonostante la poca incisività, il non grandissimo livello di coinvolgimento è un film molto interessante e tanto importante anche in chiave scientifica, e anche se si fa vedere e poi non tanto ricordare, merita di essere visto almeno, e forse solamente, una volta. Voto: 6,5
Il film di esorcismo è un genere a sé che va sempre di più emancipandosi dalla sua matrice horror. Hollywood sembra produrne con buona regolarità almeno uno l'anno, di volta in volta variando la struttura verso l'intrigo. Tra il background dei preti e quello delle vittime infatti i film di esorcismo prediligono sempre di più il primo, le alte sfere vaticane, gli ordini che arrivano da Roma e gli eventi messi a tacere. Fulgido esempio è quest'ultimo da me visto, The Vatican Tapes, film del 2015 diretto da Mark Neveldine su una sceneggiatura di Christopher Borrelli, ispiratosi ad una storia vera (si vabbé non ci crede nessuno). Un horror della possessione a corto di fantasia e di efficaci paramenti sacri, un modesto epigono di un illustre capostipite che ha la stessa età del regista e della protagonista principale (1973, di cui poco tempo fa ho visto la serie a cui si è ispirato, qui) e che sembra combinarne l'ispirazione legata alla classica dialettica tra il razionalismo dell'approccio medico e l'esoterismo delle conclusioni sovrannaturali con una serie di variazioni sul tema che puntano tutte nella direzione dello spauracchio fantapolitico di un insospettabile anticristo già al centro di altre pellicole. Il film infatti racconta della giovane e bella Angela (Olivia Taylor Dudley), che dopo un terribile incidente in cui rimane in coma, inizia a soffrire degli strani ed inquietanti sintomi di una misteriosa possessione demoniaca. Con l'aiuto e la vicinanza del padre e del fidanzato, la giovane viene prima ricoverata in una clinica psichiatrica e successivamente sottoposta ad un violento rito esorcistico celebrato da un giovane prete ed da un anziano ed esperto emissario Vaticano. La realtà però è ben più sconvolgente di quello che sembra. Insomma già visto e rivisto, perché tralasciando le fantasiose ed un po' ridicole motivazioni che animano una trama a tratti abbastanza scontata ed insulsa, il film di Mark Neveldine (Crank, Gamer e Ghost Rider 2) vorrebbe spuntarla sul versante di un utilizzo del materiale da found footage dell'horror contemporaneo quale strumento per spiegare le insinuanti manipolazioni visive del demonio, ma tutto quello che ne ricava è semplicemente trascinare questa storia balzana di militari tutti d'un pezzo e figlie di buona donna inconsapevoli dei propri natali nella luciferina predestinazione di una 'strafiga' coi tacchi a spillo verso la sua irresistibile cavalcata sulla ribalta mediatica ed il successo di pubblico (magari non quello di questo film però). Puntando su soluzioni narrative abbastanza scontate e le solite comparsate di personaggi e attori (tra cui Michael Paré), questo noioso succedaneo di un tema abusato appare quindi afflitto dalle perversioni di un montaggio senza costrutto e si conclude con il solito esorcismo fatto in casa la cui unica novità non è quella di liberare lei dal demonio ma del demonio che è in lei di liberarsi di tutti gli altri tranne uno, il sopravvissuto testimone di un nuovo corso nella storia dell'umanità. Quando si dice che le donne ne sanno una più del diavolo o che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Il risultato è perciò un polpettone esagitato buono solo per completisti e appassionati del genere. Voto: 5,5
Son of a Gun, film del 2014 diretto da Julius Avery, è un insolito action thriller, insolito non solo per il ruolo di Ewan McGregor nei panni di un cattivo (in fondo 'buon cattivo'), quanto per il film stesso, dato che questa pellicola australiana comincia come un prison movie per poi proseguire con il genere crime/heist e poi finire in modo poetico simile drama-romantico. Insolito però non sempre è auspicio di buon risultato, anche se a me è piaciuto, certo non tanto ma discretamente, poiché la storia che il film racconta è alquanto attraente, quella di un giovane ragazzo, JR, che arrestato per un reato minore, si scontra rapidamente con la dura vita carceraria e accetta la protezione offertagli da Brendan Lynch, il nemico pubblico numero uno australiano, che per restituirgli il favore gli chiederà di aiutarlo a fuggire con un'audace fuga. Una volta liberi i due uomini, insieme alla banda di lui, ottengono un lavoro come rapinatori da un potente boss, ma la missione è molto pericolosa e una serie di eventi ne aumenterà i rischi. E quando le cose inizieranno ad andare male, saranno costretti a fuggire, anche se nel frattempo i due proveranno a riprendersi l'oro, la vendetta, e per JR, la donna di cui si è innamorato. Il finale sarà quindi imprevedibile. Son of a Gun però, nonostante la trama, che ha un impianto di partenza simile ad altri film anche se poi gli sviluppi sono diversi, è un thriller che promette bene, ma scivola nella convenzionalità nonostante l'impegno di tutti gli attori. Le premesse difatti c'erano perché questo thriller australiano potesse risultare coinvolgente e divertire. E invece se non fosse per la presenza di un cast d'eccezione cadrebbe nell'oblio. Julius Avery infatti, al debutto nel lungometraggio con una sua sceneggiatura ha strutturato un cast di tutto rilievo, solo per portare sullo schermo una storia in gran parte déjà-vu innervandola però di linfa nuova. La prima parte in ogni caso funziona con la descrizione del giovane immaturo JR (interpretato dall'attore in ascesa Brenton Thwaites, The Giver: Il mondo di Jonas e The Signal) che gioca a fare il gangster sottovalutandone ogni rischio, ma conservando un'innocenza di fondo, saprà come cavarsela mentre avrà più difficoltà nelle dinamiche amorose. Perché l'incontro con Tasha (la meravigliosa Alicia Vikander, qui davvero bellissima, anche se lei lo è sempre, anche in certi mediocri film visti pure recentemente), cambia il suo modo di guardare al futuro. Thwaites finisce così con il rubare la scena a Ewan McGregor (comunque ottimo "cattivo", duro e spietato), che decide di fargli da mentore probabilmente per una questione di simpatia. Fatto che, come è solito accadere in questo genere di film, sviluppa la trama tra questioni di fiducia che inclinano certi rapporti e tradimenti mortali, ma gli intrecci che ne derivano sono troppo scontati e difficilmente si rimane coinvolti. Il film infatti si perde un po' troppo appresso i cliché del film carcerario, e sulla storia d'amore dall'avvio stentato e poi zuccheroso che caratterizzerà il rapporto tra i due giovani. Ci si risolleva leggermente con il finale che, nonostante la sua serietà di fondo (e nonostante la prevedibilità), si concede un breve momento di gioco che impreziosisce il rapporto tra i due protagonisti. Risultato medio quindi per Julius Avery, sia in scrittura che in regia, anche se il thriller risulta più corretto e convenzionale che incalzante o dirompente. Ma nonostante ciò non è male e lo si può tranquillamente vedere. Voto: 6+
Da quando nei cinema italiani ha fatto capolino Leonardo Pieraccioni, autore di uno dei più bei film della storia cinematografica italiana (parlo de Il ciclone ovviamente), tutti, compreso me, non riuscivamo a non adorarlo, ma gli anni passano e a ogni suo nuovo lavoro, ognuno di noi in fondo, spera di trovare qualcosa di quel film. Anche questa volta purtroppo un buco nell'acqua. Le battute goliardiche e i doppi sensi ci sono, i personaggi macchiette pure (Davide Marotta per esempio, il nano), ma tutto è costruito sul nulla. Poiché Il professor Cenerentolo, film del 2015 scritto, diretto ed interpretato da lui stesso, convince poco, per non dire affatto. La storia infatti, quella di un recluso in un carcere (Umberto) che viene scambiato per un operatore culturale dalla bella Morgana (che tutto può pensare meno che sia un detenuto), e che approfittando dell'equivoco la frequenta (anche se c'è un orario da rispettare e ogni giorno, proprio come Cenerentola, dato che Umberto deve far rientro in carcere a mezzanotte per evitare che il direttore gli revochi il permesso di lavoro in esterno) è quantomeno debole (esile, banale ed anche molto superficiale, nonché irreale) e i personaggi non hanno caratterizzazioni particolari, fatto che rende il tutto un po' banale, se non infantile. Questo difatti è il classico esempio a partire dal titolo di come con una sceneggiatura a dir poco bizzarra, finisce solo per avere qualche picco di simpatia grazie solamente alla bravura degli attori. Pieraccioni insomma, anche in questa sua ultima occasione difatti, come del resto anche in tutte quelle immediatamente precedenti, non riesce più a costruire un'opera di un certo rilievo pari alle sue prime. Poiché nonostante qui, egli abbia investito la propria persona nel ruolo di regista, attore ed anche sceneggiatore, il comico fiorentino non dimostra di avere più la verve e l'originalità dei tempi addietro che lo contraddistinguevano. Con il passare degli anni le opere del nostro buon Leonardo infatti stanno perdendo smalto, non tanto per la ripetitività di alcune situazioni o gag, piuttosto per prodotti privi di quell'ironia tutta toscana che faceva impazzire. Di fatto le ultime opere si concentrano su favolette morali, molto semplici e fantasiose, ma prive del mordente giusto e con una sceneggiatura non all'altezza. Ne Il professor Cenerentolo infatti il regista toscano, accompagnato dalla bellona di turno (Laura Chiatti), sembra non aver deciso che taglio dare alla vicenda narrativa, da un lato c'è il rapporto problematico con la figlia, che darebbe al film un taglio decisamente più introspettivo e dall'altro lui stesso, immerso nelle sue (non tanto riuscite) gag. Risultato? noia mortale e pochissime risate. Insomma, un altra occasione sprecata per il regista. Voto: 4,5
Neanche il tempo di digerire l'ennesima trasposizione di un classico venuto abbastanza malino (I, Frankenstein, 2014) eccone uno nuovo, l'ennesimo film atto a narrarne le origini e anche le gesta del mostro nato dalla penna di Mary Shelley, ovvero Fankenstein, di cui l'anno scorso c'è stata anche una mediocre serie tv, qui. Victor: La storia segreta del dott. Frankenstein (Victor Frankenstein) infatti, film del 2015 diretto da Paul McGuigan (Push, Slevin), si basa nuovamente sul celebre romanzo, e poco cambia se il film parte da un punto di vista inedito, cioè attraverso il punto di vista di Igor, assistente del protagonista, perché è davvero un brutto film, dato che di una trasposizione così pessima, e anche se fosse stata discreta, non ne sentivamo affatto la mancanza. Perché questa nuova versione della celebre storia di Frankenstein, raccontata principalmente attraverso lo sguardo di Igor Strausman (Daniel Radcliffe), che mette in scena il rapporto di amicizia tra lui e Victor Frankenstein (James McAvoy) e che svela il passato segreto del Dottor Frankenstein che lo spinge verso la sua ossessione, ossia creare la vita dalla morte, fa acqua da tutte le parti, innaturale, pieno di anacronismi e pessimo. Poiché se anche la storia di base è sempre quella (togliendo qui la critica sociale), e senza stare a scomodare l'immenso romanzo e i predecessori lungometraggi, il film non funziona, primo perché scontato, in seguito per una composizione del quadro e dell'immagine non buona ed infine per la recitazione sopra le righe e troppo teatrale. La trama difatti è fragile (sconclusionata e incasinata) come la sceneggiatura, piena di buchi immensi continui con elementi secondari buttati li solo per riempire, sceneggiatura che quindi crolla in più punti sfiorando l'ovvietà. Il richiamo infatti, che è ai grandi classici di un tempo, Il gobbo di Notre Dame e La bella e la bestia, è troppo evidente e finisce per mascherare l'intera pellicola che manca di un gancio che arpioni se non l'anima almeno la mente che, a qualche giorno di distanza, già fatica a ricordarsene. Questo perché, nonostante la prima ed esclusiva cosa che salta all'occhio dello spettatore è la messa in scena, ambientata in luoghi fascinosi da cui, stranamente, non si riesce a distogliere lo sguardo, e nonostante una buona fotografia, niente è al posto giusto. Difatti tolto questo, resta il nulla o almeno non caratteristiche degne di nota. La Cgi inoltre è davvero mediocre, tanto che nel terzo atto è davvero troppo invadente, dato che il film sembra diventare un videogioco e Frankeinstein diventa il boss finale da sconfiggere. Infine troviamo anche, parecchie scelte del voice over sbagliati, momenti comici involontari e banali moralismi di fondo che compromettono anche la regia dato che non potendo mostrare sangue o violenza "aggiusta" con inquadrature davvero brutte. Ma le note dolenti arrivano soprattutto nelle interpretazioni dei vari personaggi, se James McAvoy recita la propria parte in maniera egregia (facendo uno sforzo sovrumano per trascinare da solo l'intera pellicola) la stessa cosa non si può dire del suo personaggio, eccentrico ed esaltato ma allo stesso tempo poco profondo e scialbo (ritratto solo come un lunatico schizoide e non come il pazzo che vorremmo, tanto che il povero McAvoy finisce per enfatizzare il personaggio in modo eccessivo). Il personaggio di Igor (Daniel Radcliffe), che nell'immaginario collettivo risente troppo del suo passato di Harry Potter, appare al contempo decisamente patetico e privo di spessore, apparendo come una vittima perenne degli eventi, e questo forse, dal momento che il punto di vista utilizzato è il suo, rende lo spettatore poco coinvolto. Se poi ci aggiungiamo un finale scontato, un mostro non tanto eccezionale, una storia d'amore forzato e i capelli inguardabili dell'ex maghetto, senza dimenticare errori grossolani e scene disgustose, il risultato non può che essere pessimo. Voto: 4
Backtrack, thriller australiano, di impianto psicologico e con sfumature horror, del 2015 diretto da Michael Petroni, più noto come sceneggiatore che come regista, ha infatti scritto Le Cronache di Narnia: Il viaggio del veliero e Storia di una ladra di libri, anche se nel suo curriculum ci sono Possession e Il rito, è un inedito e non tanto eccezionale film, ma minimamente coinvolgente, dato che riesce a intrattenere fino all'ultimo per scoprire la verità, quella che il protagonista (Adrien Brody) scopre e ricorda dopo un attento esame di coscienza, il film è difatti un ritorno alla coscienza di quel che si è voluto volontariamente o inconsciamente dimenticare. La vita dello psicologo Peter Bowers infatti, è gettata nello scompiglio quando l'uomo scopre che i suoi pazienti altro non sono che i fantasmi delle persone morte in un incidente di venti anni prima. Temendo di perdere la lucidità mentale, Peter decide di tornare al suo paese natale, dove lo attende una terribile verità che solo lui può affrontare. Backtrack, anche se prende in prestito dal genere horror i canoni generali di rappresentazione dei fantasmi (discreti ma non tanto efficaci), nonché i loro giochini per spaventare il protagonista, è più un thriller che un film dell'orrore. Un thriller che rischia spesso uno strano déjà-vu nello script, ma il regista riesce a dribblarlo, grazie anche alla scelta del sempre professionale Adrien Brody (recentemente visto in Manhattan Nocturne) che con quella faccia un po' così riesce ad offrire le giuste sfumature al suo personaggio. Sfumature che vanno dal dolore per la morte di una figlia al senso di colpa per l'accaduto fino all'impressione di essere sull'orlo della follia. Perché non trascorre molto tempo dall'inizio del film prima che sia lui che lo spettatore dubitino dei suoi pazienti e di quanto affermano. Quando poi entra in scena la bambina cupamente misteriosa il gioco è fatto. Il problema viene dopo, dato che l'attore, che si presta per una pellicola che non riserva grosse sorprese e tuttavia svolge il suo lavoro con dignità (ha dato prove di sé decisamente migliori, più sentite, più accorte) non convince fino in fondo, anche se molto ha fatto la caratterizzazione del personaggio che la scrittura gli impone. Scrittura che, va da sé, non è smagliante né originale, anche se interessante e avvincente, ma solo personalmente. Tanti sono i dettagli lasciati un po' a caso, tante le incongruenze, ma nonostante tutto, soprattutto nel finale, la scoperta sposta benissimo il focus della narrazione su un vissuto del passato che Bowe ha cercato di rimuovere e questo crea qualche spruzzo di empatia e voglia di 'menare', e comunque non così tanto prevedibile è lo stesso sconcertante finale. Insomma non è un granché ma il minimo indispensabile, per un film 'normale' che in effetti non ha tanto da offrire, di per sé il film deve infatti molto agli ambienti, sempre freddi e in notturna, ma a parte questo ed altro, davvero poco o niente da al film una connotazione da film imperdibile, solo la trama sufficientemente riesce a tenere alta la tensione, ma non basta del tutto. Voto: 5,5
Premettendo che sono uno, se ancora non ve ne siete accorti, che si entusiasma facilmente, primo perché sono un grande fan del genere action, secondo perché sono un grande fan di Luc Besson, uno dei miei registi preferiti ma che ultimamente stava diventando un po' una macchietta di sé stesso, anche se in questi anni non ho mai perso la speranza, Lucy, film del 2014 diretto, scritto e co-prodotto dal regista francese, mi è piaciuto tanto, soprattutto per la fase action, poiché il film fallisce nel tentativo di trasmettere un qualsiasi significato superiore, dove la perfettibilità umana sembra essere legata meramente alla percentuale di attività neuronale. Quella che, a seguito di circostanze indipendenti dalla sua volontà, la giovane studentessa Lucy (Scarlett Johansson), vedrà crescere all'infinito. "Colonizzando" il suo cervello infatti, acquisirà poteri illimitati che le permetteranno di trasformarsi in una micidiale macchina da guerra contro ogni logica umana. Con questo film Luc Besson omaggia se stesso, dato che questo thriller fantascientifico che rispolvera i fasti di Nikita e Leon rivisitandoli in chiave fantascientifico-esistenziale, funziona, non alla perfezione, anzi, ma decisamente meglio di Transcendence (con Johnny Depp che impersonava un cervellone nella rete con manie di onnipotenza) che ha ricevuto giudizi contrastanti. La regia è quella sua solita, cioè molto rapida, con un montaggio abbastanza frenetico e un ritmo sempre al top che tuttavia a volte rallenta per immergerci nella psiche della protagonista e questo ci sta alla perfezione, perché è giustificata e pure efficace, grazie anche alla scelta azzeccata della fantasmagorica protagonista, Scarlett Johansson, sempre bravissima e bellissima, che riesce a caratterizzare molto bene il personaggio che risulta all'inizio antipatica, stupida, priva di un vero e proprio scopo nella vita, la classica studentessa sopra le nuvole, che non sa nulla del mondo, ma dopo 'l'incidente' che la porterà ad utilizzare il 100% del proprio cervello poco a poco, diventa fredda, spietata ma comunque non perde mai del tutto la propria umanità, e la Johansson è bravissima a rendere il cambiamento in modo esaustivo. Con questo film ho insomma riacquistato un po' dell'entusiasmo che stavo ormai perdendo nei confronti di questo regista, che in questa pellicola dimostra di avere ancora molto da dire e soprattutto dimostra di avere ancora smalto in ambito cinematografico. È un bel furbone il nostro Luc, mette tanta carne al fuoco, sparatorie, inseguimenti, poteri mentali che fanno invidia alla donna invisibile, e Morgan Freeman, il vecchio Morgan è come il prezzemolo, ci sta sempre bene. Così bene che non sembra ci sia qualche originalità nella pellicola, eppure il primo tempo, come il resto, tiene, c'è azione, ritmo, ci sono i coreani cattivi e il poliziotto 'piacione' e ci si diverte, e anche se molti attori risultano solo funzionali ma che alla trama non lasciano veramente nulla, è un discreto film. La parte da leone in questo film quindi la fanno la regia, gli effetti speciali veramente fantastici (anche se a volte hanno esagerato) e il ritmo come già ripetuto, il film infatti scorre benissimo. Tuttavia oltre a questo la trama è veramente interessante e a mio parere originale, e la pellicola porta lo spettatore a fare delle riflessioni non da poco, si mette infatti in discussione l'esistenza stessa di un Dio, si mettono in discussione la percezione umana del tempo e dello spazio, ma la cosa più interessante è che è proprio una donna a superare i limiti umani. Donne non 'usate' come semplici macchine da sesso come si è abituati (anche nel cinema), ma come concetto dell'uomo stesso, concetto incarnato da una donna bionda che da sempre è lo stereotipo (mai capito perché) della persona stupida e svampita. Non stiamo parlando certo di un capolavoro, tuttavia se contestualizzato in un ambito soprattutto action in cui le donne non vengono a sua volta contestualizzate, Lucy è una vera perla non solo per l'azione e le esplosioni, anche per il tutto il resto. Resto che in ogni caso non sempre risulta all'altezza ma sufficiente. Voto: 6,5
Una notte con la Regina, film del 2016 diretto da Julian Jarrold, trae ispirazione da un episodio realmente accaduto ma viene forzatamente romanzato, forse troppo, dato che sembra tutto abbastanza assurdo. Il perché è presto detto, che la Principessa Elizabeth e la Principessa Margaret (che ottengono l'autorizzazione dai genitori tanto restii) uscirono per la prima volta dal Buckingham Palace per festeggiare la fine della seconda guerra mondiale (8 maggio 1945) ci può stare, ma che addirittura ciò comporta un inseguimento fra autobus, l'excursus in un bordello e l'incontro tra Elizabeth e un giovane aviatore, Jack, che non sa di avere a che fare con una principessa, mi sembra esagerato. Ci vuole tanta immaginazione e creatività che richiede una certa sospensione dell'incredulità, per credere davvero che sia tutto veritiero, soprattutto per quanto riguarda le due guardie reali ubriacone e donnaiole. Certo, c'era da immaginarselo, però non tanto convince, troppo improbabile, eppure nonostante ciò si rivela una divertente e per certi versi commovente cavalcata nella nostalgia per un'epoca lontana più semplice ed un cinema più incline al sogno. La ricostruzione d'ambiente, popolata da centinaia di comparse in costume, ha il sapore della messinscena teatrale o della favola disneyana, ma a rendere moderna la narrazione sono i dialoghi, ispirati nel vocabolario e nella enunciazione alle commedie sofisticate anni '40, ma carichi di senno di poi e colorati dalla nostra sensibilità contemporanea. Insomma non malissimo ma neanche eccezionale. Un altro problema è che Una notte con la Regina è un film inglese che più inglese non si può. Poiché è difficile per coloro che non lo sono comprendere l'ammirazione e la devozione che hanno gli inglesi tutti o quasi per la casa reale e che pervade tutto il film (io per esempio non l'ho mai capito e mai capirò). Da qui nasce, forse, la difficoltà per quest'opera di farsi apprezzare di più da chi non lo è. Ma superato questo che può essere anche un pregiudizio, è un film comunque simpatico e gradevole almeno un po'. Pervaso di quel caratteristico senso dell'humour che ti fa sorridere in totale assenza di volgarità. Un altro aspetto in positivo è la recitazione, in particolare quella di Rupert Everett, nella parte del re, dove risulta molto credibile al pari di Emily Watson, la saggia e severa Elisabetta I. Ma soprattutto le due protagoniste sono brave, tanto che, se non lo fossero il film non avrebbe avuto senso. E anche se a rubare la scena, ogni singola scena, è Bel Powley nei panni di Margaret, goffa e pasticciona, incosciente e maliziosa, affamata di vita e di emozioni forti eppure ingenua e teneramente naif, è grazie a Sarah Gadon, molto efficace nei panni di Elizabeth, che il film ha qualcosa da dire e vedere. Il film infatti si regge molto sull'atteggiamento, a seconda dei momenti affascinato, curioso, stupito, eccitato, innocente, della protagonista principale, bellissima donna già apprezzata in 22.11.63 e Dracula Untold. Insomma film non propriamente da bocciare, la ricostruzione storica e i costumi sono corretti e l'atmosfera di fine della guerra dona quel senso gioioso di allegria che non fa niente male. Certo, in definitiva, non è che è un gran film, ma senza grandi pretese, ti fa passare 90 minuti in totale rilassatezza, forse troppa a dir la verità. In ogni caso e nonostante molte sciocchezze e assurdità è un film in parte appagante, leggero e divertente. Voto: 6
Una notte con la Regina, film del 2016 diretto da Julian Jarrold, trae ispirazione da un episodio realmente accaduto ma viene forzatamente romanzato, forse troppo, dato che sembra tutto abbastanza assurdo. Il perché è presto detto, che la Principessa Elizabeth e la Principessa Margaret (che ottengono l'autorizzazione dai genitori tanto restii) uscirono per la prima volta dal Buckingham Palace per festeggiare la fine della seconda guerra mondiale (8 maggio 1945) ci può stare, ma che addirittura ciò comporta un inseguimento fra autobus, l'excursus in un bordello e l'incontro tra Elizabeth e un giovane aviatore, Jack, che non sa di avere a che fare con una principessa, mi sembra esagerato. Ci vuole tanta immaginazione e creatività che richiede una certa sospensione dell'incredulità, per credere davvero che sia tutto veritiero, soprattutto per quanto riguarda le due guardie reali ubriacone e donnaiole. Certo, c'era da immaginarselo, però non tanto convince, troppo improbabile, eppure nonostante ciò si rivela una divertente e per certi versi commovente cavalcata nella nostalgia per un'epoca lontana più semplice ed un cinema più incline al sogno. La ricostruzione d'ambiente, popolata da centinaia di comparse in costume, ha il sapore della messinscena teatrale o della favola disneyana, ma a rendere moderna la narrazione sono i dialoghi, ispirati nel vocabolario e nella enunciazione alle commedie sofisticate anni '40, ma carichi di senno di poi e colorati dalla nostra sensibilità contemporanea. Insomma non malissimo ma neanche eccezionale. Un altro problema è che Una notte con la Regina è un film inglese che più inglese non si può. Poiché è difficile per coloro che non lo sono comprendere l'ammirazione e la devozione che hanno gli inglesi tutti o quasi per la casa reale e che pervade tutto il film (io per esempio non l'ho mai capito e mai capirò). Da qui nasce, forse, la difficoltà per quest'opera di farsi apprezzare di più da chi non lo è. Ma superato questo che può essere anche un pregiudizio, è un film comunque simpatico e gradevole almeno un po'. Pervaso di quel caratteristico senso dell'humour che ti fa sorridere in totale assenza di volgarità. Un altro aspetto in positivo è la recitazione, in particolare quella di Rupert Everett, nella parte del re, dove risulta molto credibile al pari di Emily Watson, la saggia e severa Elisabetta I. Ma soprattutto le due protagoniste sono brave, tanto che, se non lo fossero il film non avrebbe avuto senso. E anche se a rubare la scena, ogni singola scena, è Bel Powley nei panni di Margaret, goffa e pasticciona, incosciente e maliziosa, affamata di vita e di emozioni forti eppure ingenua e teneramente naif, è grazie a Sarah Gadon, molto efficace nei panni di Elizabeth, che il film ha qualcosa da dire e vedere. Il film infatti si regge molto sull'atteggiamento, a seconda dei momenti affascinato, curioso, stupito, eccitato, innocente, della protagonista principale, bellissima donna già apprezzata in 22.11.63 e Dracula Untold. Insomma film non propriamente da bocciare, la ricostruzione storica e i costumi sono corretti e l'atmosfera di fine della guerra dona quel senso gioioso di allegria che non fa niente male. Certo, in definitiva, non è che è un gran film, ma senza grandi pretese, ti fa passare 90 minuti in totale rilassatezza, forse troppa a dir la verità. In ogni caso e nonostante molte sciocchezze e assurdità è un film in parte appagante, leggero e divertente. Voto: 6
Da un film intitolato PPZ: Pride + Prejudice + Zombies (Pride and Prejudice and Zombies), come il famoso romanzo di Seth Grahame-Smith, seguito di quello originale (di Jane Austen, un classico della letteratura, molto più famoso), è lecito aspettarsi qualcosa di grottesco, trash e delirante. E invece in questa roba che stento a definire "film" l'unica cosa a regnare sovrana è la noia. Il film, del 2016 scritto e diretto da Burr Steers (sconosciuto e mai sentito), si prende dannatamente sul serio, non diverte e gli zombi sono davvero poco presenti. La regia è piattissima a dir poco, non da spessore a niente, né alla classica storiella d'amore (che comunque paradossalmente funziona), né alla componente delirante, né ai personaggi che, arti marziali a parte, sono un pigrissimo copia/incolla degli originali del romanzo della Austen, come la trama del resto. Ci si aspetta infatti che il regista, che è anche sceneggiatore, lavori maggiormente sull'aspetto propriamente horror che invece rimane confinato a scene poco significative e mai topiche. La presenza dei morti viventi non intacca né deforma l'andamento degli eventi. Il regista si lascia maggiormente sedurre dal testo della Austen, di cui ripropone pedissequamente dialoghi e situazioni, anche se rappresenta le giovani protagoniste come fanciulle capaci di tirare di spada, imbracciare fucili e pistole accantonando l'uncinetto e i ricami a piccolo punto. Tra scene simil kung fu e seduzioni amorose del tutto scollate le une dalle altre, il regista privilegia le seconde. Darcy si dichiara all'amata Elizabeth secondo il più classico dei cliché ammettendo che di tutte le armi che esistono al mondo, l'amore è la più pericolosa. Niente a che vedere con la brutalità zombie. Non c'è né fusione dei generi né volontà dissacratoria. L'intento innovativo che si intuisce vorrebbe essere serio e credibile, ma rende davvero difficile immaginare a che tipo di pubblico abbia pensato il regista poiché sul versante splatter-horror non si intravedono scene memorabili. Insomma un mezzo pasticcio perché dopo gli (comunque) ottimi titoli di testa (non so perché ma mi sono proprio piaciuti, ben fatti e originali) il nulla assoluto. Umorismo quasi sempre sciatto e forzato, voragini nella trama, certo non m'aspettavo una complessa o perfetta, ma in questo film è davvero imbarazzante e insensata, con talmente tanti esempi da non valer la pena di elencare. Clamorosamente si salva il cast, che non è del tutto da buttar via, ma di sicuro nessuno da il massimo, Charles Dance e Lena Headey in primis. In ogni caso menzione d'onore la merita la dolce e carinissima Lily James, perfetta nel ruolo, dato che in ruoli simili ha dato il meglio di sé, non tantissimo in Cenerentola, ma in Guerra e Pace era davvero bravissima. Comunque delle scene d'azione se ne salva forse una (quella del primo attacco al ballo) e stop. L'errore qual è stato? La sceneggiatura, che cerca inspiegabilmente di rimanere troppo fedele al libro, intento anche nobile nelle intenzioni, ma che alla fine penso abbia rovinato tutto. Sembra davvero che i non morti non c'entrino assolutamente nulla con la storia e che siano solo dei pericolosi e inutili terzi incomodi. Inoltre, perché scomodare i quattro cavalieri dell'apocalisse, senza poi usarli per nulla? Insomma, quella che, magari, poteva sembrare una simpatica idea in partenza, si è risolta nei peggiori dei modi. Voto: 5
Ripeto, secondo me dovresti fare di ogni rece un post a sé.
RispondiEliminaCooomunque, Vatican Tapes non me lo sono cagato perché mi sembrava un mix tra gli eccelsi L'Esorcista e Stigmate.
Peccato che a oggi qualsiasi film sulle possessioni riproduca quei modelli,mah.
Certo, tranne Regression che però non ti è piaciuto XD
Pieraccioni per me è morto dopo i primi due o tre film, lo trovo insopportabile (e non mi fa ridere manco a pagamento).
Moz-
Ma siccome sono tanti sarebbero troppi post e alcuni anche sprecati, ma certamente qualcosa cambierò in futuro :)
EliminaPer adesso anch'io non ho trovato nessuno all'altezza, ma Regression è un capitolo a parte, e comunque avrei voluto ci fosse davvero il diavolo :D
Perché io secondo te ho mai pagato per vederlo? ;)
Ahaha bene, che tanto non lo merita :p
EliminaMoz-
No infatti, è un bischero ;)
EliminaConcordo con Miki, anche secondo me potresti fare di ogni rece un post a se stante.
RispondiEliminaPurtroppo concordo anche con la sua opinione su Pieraccioni....e credimi avendo visto I Laureati ed Il Ciclone al Cinema (in Toscana poi) quando uscirono mi dispiace doppiamente doverlo dire.
Ci penserò e poi deciderò :)
EliminaConcordiamo praticamente tutti, perché anche a me non fa più ridere ;)
Se non voi farne uno almeno non più di tre. E comunque Lçucy è l'unico che ne meritava uno a parte! Come farò io con The loft che non hai ancora visto.. te possino!
RispondiEliminaIn effetti ci ho riflettuto e prossimamente ci saranno novità, non ti preoccupare prima o poi lo vedo, sicuro ;)
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