E' innegabile che Benedict Cumberbatch sia un grande talento, talento che ha dimostrato ancora una volta in Patrick Melrose, la miniserie Showtime in 5 puntate sbarcata settimane fa su Sky Atlantic, che è sembrata l'occasione giusta per valorizzare le doti interpretative della star di Hollywood. Peccato che la serie e la storia, ispirata ai romanzi semi-autobiografici di Edward St Aubyn, creata da David Nicholls e diretta da Edward Berger, nonostante la sua grande prova (che gli è valsa una nomination agli Emmy) sia di una tristezza fine a se stessa, senza spunti costruttivi e in cui la pesantezza la fa da padrona. Il filo conduttore delle cinque puntate (dove ognuna è l'adattamento a un romanzo del ciclo ed è da considerarsi come un film a sé stante, dedicato a un particolare periodo della vita del protagonista) sono le sofferenze inflitte a Patrick quand'era bambino da chi più di tutti avrebbe dovuto amarlo senza riserve, ovvero i genitori, due esponenti dell'alta borghesia britannica. Da una parte il padre, sadico e crudele che abusa di lui, dall'altro la madre, incapace di difenderlo perché a sua volta traumatizzata dal marito, e troppo presa a bere e impasticcarsi per accorgersi di quanto succede al figlio. Questi drammi faranno di Patrick Melrose un uomo distrutto, incapace di affrontare la vita, che si rifugia in alcol e droghe per evitare di restare lucido e ripensare a quanto ha subito da bambino. A salvare la situazione dal dramma totale e a rendere la serie più una dark comedy che una tragedia in piena regola, c'è quel filo di humor inglese tanto difficile da soffocare. Un aspetto deprimente dell'intera storia è che sotto la patina di disperazione che lo ricopre, si intravede l'uomo brillante e di successo che Patrick avrebbe potuto diventare se non avesse dovuto vivere simili indicibili traumi. La prima puntata ambientata negli anni '80, che vede il protagonista apprendere la notizia della morte del padre, farsi una bella risata per questo e successivamente drogarsi e ubriacarsi all'inverosimile, sorprende in positivo, grazie a Cumberbatch che convince del tutto nella sua prova di drogato schizofrenico, tanto da risultare quasi eccessivo ed antipatico. La seconda puntata, la più difficile da digerire e vedere fino alla fine, che ci porta in una splendida villa nel sud della Francia negli anni '60 dove vediamo il piccolo Patrick alle prese col padre sadico, convince meno, anche se plauso al regista che tratta questo argomento con i guanti, riuscendo a trasmettere tutta l'angoscia e la drammaticità della vicenda mostrando poco e niente.
La terza puntata, dove ritroviamo Patrick nel 1990, egli che adulto e (parzialmente) disintossicato, durante uno sfarzoso party dell'aristocrazia inglese, decide di confidare ad un amico gli abusi subiti durante l'infanzia (anche se ciò non basterà a salvarlo) convince ancora meno. La quarta puntata, ambientata 13 anni dopo la precedente, dove Patrick Melrose è marito e padre di due figli delude, ci ritroviamo al punto di partenza (atteggiamenti distruttivi a go go) e l'alcol la fa da padrona. L'ultima puntata, siamo nel 2006 e Patrick deve tenere un discorso al funerale della madre, ed ecco la botta finale a lui e alla storia, scopriamo un'aneddoto sulla (stronza) madre (interpretata comunque benissimo da Jennifer Jason Leigh), i demoni del passato ritornano e tutto (sul futuro e presente) rimane un'incognita. Dicevo la storia, qui alla fine di questa serie comunque di altissimo livello, diretta bene e recitata ancora meglio, si rivela eccessivamente deprimente e quel filo di humor inglese non basta a renderla digeribile e brillante. Sarebbe stato più costruttivo mostrare una sorta di soluzione per il protagonista, uno spunto positivo magari rappresentato da un medico in grado di aiutarlo seriamente. Invece il povero Patrick si dibatte da solo nelle sue sofferenze dall'inizio alla fine della serie e anche chi lo ama sinceramente, come per esempio la moglie, non è in grado di aiutarlo davvero perché maneggiare una psiche devastata come la sua non è una faccenda per persone non adeguatamente qualificate. Oltre a sviscerare le sofferenze del protagonista, nella serie succede ben poco mentre abbondano le angosce. I temi trattati vanno dalla pedofilia alla depressione, dall'abuso di stupefacenti alla schizofrenia, dal suicidio (anche assistito) alle violenze domestiche, e chi più ne ha, più ne metta. Non c'è un dramma umano che questa serie non sfiori almeno, e questo la rende a dir poco pesante se non addirittura morbosa (non dimenticando che il ritratto che viene fatto della classe aristocratica inglese è vomitevole e disumanizzante). Gli attori sono bravi (del cast fanno parte anche la Allison Williams di Scappa: Get Out, Holliday Grainger e Indira Varma), su tutti svetta il terrificante Hugo Weaving e davvero dotato risulta essere il piccolo attore che interpreta Patrick bambino, ma fondamentalmente la serie (seppur esteticamente curata ed affascinante, musicalmente interessante e concettualmente originale, in cui tuttavia sembri che l'età non conti) rimane un "one man show" in cui il bel Doctor Strange di Marvel la fa meritevolmente da padrone. E quindi la serie è vedibile solo per lui (e se siete amanti del bell'attore inglese e volete vederlo in una delle sue migliori interpretazioni, ancora meglio) ma di per sé la storia è deprimente, pesante e con pochi spunti realmente interessanti. Tanto che, seppur la sufficienza la strappa, la serie rimanga leggermente indigesta. Voto: 6
La prima stagione di Ballers, il dramedy sportivo targato HBO, fu una bella sorpresa, la seconda (qui) fu invece una mezza delusione, e la terza? La terza, anche se sembri abbia trovato finalmente l'equilibrio giusto, mi è sembrata comunque un enorme filler. Questa nuova stagione infatti, non dico sia stata insoddisfacente ma letteralmente è troppo volata. Una trama potenzialmente buona (che spreca tuttavia la possibilità di raccontare la trama diversamente) e che lancia la quarta stagione ma guardando puramente a questo capitolo l'ho trovata troppo di passaggio. Anche le tematiche come il desiderio di paternità del protagonista vengono affrontate troppo superficialmente. E quindi non voglio dire che si sia persa però il piccolo passo in avanti non soddisfa del tutto. In ogni caso continuano le avventure di Spencer Strasmore, impegnato ora a cercare di far trasferire una squadra NFL a Las Vegas. Sarà completamente concentrato su questo progetto, tanto da trascurare amici come Ricky, Charles e Vernon. E in tal senso è un peccato che la caratterizzazione del protagonista, vero punto focale della serie, dopotutto è questo un one-man show, e quell'uomo è Dwayne "The Rock" Johnson (l'attore giusto al posto giusto, un po' come lo è stato in Jumanji: Benvenuti nella giungla), non si evolva mai. Il personaggio interpretato dall'ex wrestler è sempre più affamato di successo (e in difficoltà a gestire la sua vita privata), ma, per quanto si rimanga affascinati e coinvolti dal suo carisma, è indubbio che sia rimasto intrappolato nella sua caratterizzazione senza evolversi. Il finale di stagione è l'emblema di questo ciclo continuo, che sembra ogni volta riportarlo al punto d'inizio. I personaggi secondari invece, seppur continuino ad evolversi e maturare, presentano delle trame secondarie non proprio interessanti. Al contrario le new entry sono un po' monodimensionali, ma efficaci. E insomma così così, anche se, se contiamo che Ballers è puro intrattenimento, e continua ad esserlo, con il suo swag, la sua regia da videoclip di Snoop Dog, e la vincente presenza dei veri campioni del professionismo americano, il risultato non può che essere apprezzabile. A tal proposito, sulla realizzazione di Ballers c'è poco da eccepire, HBO mantiene comunque degli standard apprezzabili e la regia è sempre attenta, sposandosi con una colonna sonora fresca ed accattivante. E in tal senso è un peccato che lo show passi sempre abbastanza in sordina, un po' per la poca pubblicità, un po' perché si parla di football americano, sport poco amato in Italia, anche se poi in verità la NFL è solo un elemento del contesto della storia in cui si muovono i personaggi, senza essere minimamente invasiva, visto che in 30 episodi non si è mai assistito nemmeno a un segmento di partita. E quindi, anche se si ha un po' la sensazione che ci si stia sedendo sugli allori, ripresentando una formula che fino ad ora ha convinto una volta sì e una volta no, senza volersi davvero rinnovare, anche questa terza stagione rimane godibile e riuscita (meno della prima ma più della seconda). Perché la parte dedicata alla commedia funziona senza nessun intoppo, mentre quella riguardante il dramma, nonostante la superficialità, anche (non dimentichiamoci che siamo di fronte ad un dramedy, dunque la componente drammatica non deve prevaricare quella comedy, che come al solito convince e regala molti momenti divertenti). In conclusione perciò, nonostante i difetti, lo show rimane comunque gradevole e meritevole di essere visto (nota di merito finale alla stupenda e sensuale Serinda Swan, e a tutte le altre gnocche). Voto: 6-
Ebbi modo, praticamente due anni fa, in occasione della mia recensione sulla seconda stagione di Outlander (qui), la serie tv ispirata alla celebre saga letteraria di Diana Gabaldon, di constatare come la natura ibrida ed eclettica dello show (dato che all'interno della generica cornice romance contiene moltitudini: period drama, feuilleton d'avventura, sci-fi, commedia e dramma intimista, solo per citarne alcuni) rendi alquanto difficile decifrare il tutto nella sua interezza (dato che la sua mutevolezza apre continuamente nuove storyline al proprio interno e connette presente e passato, ricordi e profezie, piccoli dettagli con eventi fondamentali per il corso delle vicende), ma è anche ciò che lo rende piacevole da guardare e capace di intrattenere tutti (dopotutto duelli cappa e spade, corse forsennate fra le lande desolate della Scozia, intrighi, misteri, sotterfugi e profezie di morte, sono queste alcune delle caratteristiche più particolari che hanno reso tale il successo della serie). Infatti superficialmente Outlander è una storia d'amore tormentata, incorniciata in una vicenda da romanzo d'appendice piena di avventure e colpi di scena, a un livello più profondo è la storia di un eroe e di un'eroina che puntano a ridefinire i ruoli tradizionali grazie a una storia d'amore tutt'altro che anticonvenzionale ma ad un uso totalmente anticonvenzionale del sesso, e ancora un grande racconto sul potere e sugli imperi, sui mutamenti culturali, sul ruolo dell'uomo e della donna attraverso i secoli visti con la lente di una prospettiva contemporanea e debitrice del femminismo anche se mai esplicitamente femminista, di una scrittura mai a tesi ma sempre profondamente immersa nella vicenda che vuole raccontare. E in tal senso la forza di Outlander, al terzo giro diretta ancora una volta da Ronald D. Moore, il papà di Battlestar Galactica, e con la supervisione dell'autrice, sta proprio nel riuscire a coniugare tutti questi diversi intenti senza mai distanziarsi dalla capacità di intrattenimento, e difatti anche quest'anno le avventure di Jamie (Sam Heughan) e Claire (Caitriona Balfe), si confermano un crogiolo di grande intrattenimento, un dedalo infinito di emozioni dove storia, mito e fiction si confondono in un vortice di usi e costumi di un'epoca che fu. In questa terza stagione, divisa a metà dall'atteso ricongiungimento dei due innamorati, Outlander ha infatti prima traghettato i propri lettori/spettatori in parallelo tra le separate avventure dei due protagonisti rispettivamente nella Scozia post-Culloden e negli Stati Uniti degli anni '50 e '60, e poi con il vento in poppa, si son attraversati i sette mari per approdare sulle coste della Giamaica, e nonostante in tal senso la narrazione perda un po' ritmo dilatando i suoi tempi di fruizione, gli ultimi tre episodi della stagione (seppur essi sono caratterizzati da un esotismo un po' raffazzonato e dalla stessa debolezza che nella seconda stagione aveva caratterizzato la sotto-trama parigina, soffocata dalla quantità di personaggi e intrighi che finivano per mettere in secondo piano la relazione tra Jamie e Claire, vero punto di forza della serie) sono stati degni di nota. Outlander ha insomma la sagacità di saper raccontare una storia forte e vibrante, che si intreccia episodio dopo episodio e, quello che è accaduto nella stagione 3, non ha fatto altro che confermare le caratteristiche vincenti delle annate precedenti. Il suo punto di forza è saper tratteggiare una storia d'amore unica nel suo genere, un amore che vince sulle avversità, che lotta contro le stesse leggi del tempo e che si ritrova, alla fine, ancora più irruento di prima (un amore così ben gestito e costruito dallo show che riesce a far passare inosservati dettagli che in qualsiasi altro sarebbero incongruenze irreparabili, uno su tutti, il fatto che nessuno dei due sia visibilmente invecchiato). E quel sentimento che è nato fra Claire e Jamie quest'anno ha vacillato pericolosamente, salvo poi rafforzarsi ancor di più. A tal proposito la terza stagione è stata densa di avvenimenti, forse ancora di più rispetto alla precedente, dato che la linea narrativa (costituita da 13 episodi) è stata costruita come un grande puzzle di eventi incastonati in una cornice in continuo movimento. E tuttavia per questo non tutto va a gonfie vele, perché anche se poche sono le note di demerito che si possono scrivere nei riguardi di Outlander, dato che, la stagione 3, è stata complessa (anche troppa), accattivante, erotica, intensa, emozionante e curata nei minimi dettagli, improbabili colpi di scena e cambi di rotta improvvisi (un arrivederci forte all'affascinante ambientazione scozzese) fanno perdere le sue sicurezze a livello narrativo. Comunque si può dire che questa terza annata di Outlander non ha perso nulla della propria identità originaria, mixando bene (ma non perfettamente) fatti realmente accaduti ad una buona dose di romanticismo, non ha infatti perso di vista il proprio centro nevralgico: Jamie e Claire, ma soprattutto la soddisfazione e l'intrattenimento del proprio pubblico. Sperando che tutto, a parte il sentimento dei due che sicuramente riuscirà a sopravvivere anche a questo, non venga svilito da una quarta stagione (che vedrà i due affrontare le inside del Nuovo Mondo) deludente. Si vedrà, ma nel frattempo, seppur la terza stagione non raggiunga l'eccellenza, è anche leggermente migliore della precedente. Voto: 6,5
Ho sentito molto parlare della serie tv Outlander, ma non l'ho mai vista. In futuro potrei guardare i primi episodi!😊
RispondiEliminaSe ami le storie d'amore con un pizzico di avventura, storia e fantasia, sarebbe più che giusto farlo in effetti ;)
EliminaMa quindi The Rock fa 2-3 film all'anno e anche una serie tv? :D Ma dove lo trova il tempo quest'uomo?
RispondiEliminaNon so dove lo trova il tempo, però è un bene che lo sfrutti così ;)
EliminaBallers, con the Rock, mi incuriosisce
RispondiEliminaAll'inizio mi aveva incuriosito proprio perché c'era lui, e nonostante i bassi più che gli alti, mi è andata bene ;)
EliminaIo con te sono ancora offesa.
RispondiEliminaTe lo dico qui, visto ce non leggi le risposte ai tuoi commenti. Tiè.
Addio
Certo che li leggo, ma non credevo avessi risposto così rapidamente, in ogni caso una piccolissima sorpresa ci sarà presto ;)
EliminaMa io rispondo sempre in tempo reale, perché attivo le notifiche dei post..
EliminaSorpresa per me? Mmmmm
Non mi compri! Se non vedo, non credo! 😂😂😂😂😂😜
Io non le attivo invece, perché non funziona, ma ci sono quasi sempre ;)
EliminaTra queste vista solo Patrick Melrose, e per quanto mi abbia fatto male e qua e là cali di ritmo, è riuscita a conquistarmi, agrodolce com'è. Certo, più amara che dolce, ma Benedict e la colonna sonora han saputo mitigare anche i colpi più duri.
RispondiEliminaInnegabilmente sono proprio entrambi la cosa migliore della serie, lui e la colonna sonora, tuttavia la storia non mi ha per niente coinvolto, peccato, anche se resta un buon prodotto, in certi aspetti anche originale ;)
EliminaManco sapevo che The Rock si fosse messo a fare serie TV. Ormai ce lo ritroviamo ovunque, gli sono rimaste solo le soap opera. Lo voglio come nuovo Ridge! 😆
RispondiEliminaComunque ho la nausea dell'attore (che continuo ad adorare però) e il tuo voto non mi invoglia a provare la serie... magari darò una possibilità alla prima stagione dato che ti ha soddisfatto.
Questa per l'appunto è la prima serie che fa, e se il buongiorno si vede dal mattino, dato che la serie è comunque molto seguita in America, son sicuro che lo rivedremo ancora e ancora ;)
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