L'attenzione sui social è già poco alta, ho sbagliato forse a pensare che spingere il "lettore" alla curiosità (senza rimandare visivamente ai titoli facenti parte le liste) ne avrebbe alzata la soglia (in parte pure su blogger e in altri lidi), e così, come potete notare, il banner standard attivo negli ultimi mesi per le liste dei peggiori e degli altri film del mese, è stato sostituto da uno classico. D'ora in poi infatti, anche grazie ad un sito di collage più flessibile dei precedenti che utilizzavo, tutto tornerà all'origine, i banner torneranno ad essere diretti e "coinvolgenti". Un'altra novità è che da questo mese la lista dei film scartati ed evitati conterrà solamente i titoli (e senza rimandi linkati), praticamente non specificherò il motivo per cui ho deciso di non vedere (almeno fino a quando qualcuno mi fa cambiare idea o mi insinua il dubbio) un determinato film. Comunque al di là di tutto questo, ecco le peggiori visioni del mese.
Alla fine ci sei tu (Dramma, Usa 2018)
Tema e genere: Agrodolce commedia romantica sul senso del tempo e della vita.
Trama: La vita di Calvin (un ragazzo ipocondriaco, Asa Butterfield) viene stravolta quando incontra Skye (Maisie Williams) un'adolescente che soffre di una malattia terminale. La sua nuova amica lo assume per aiutarla a completare la sua lista di cose da fare prima di morire, una missione che lo costringerà ad affrontare le sue peggiori paure, e a vivere in maniera nuova l'innamoramento con la bella ma apparentemente instabile Izzy (Nina Dobrev).
Recensione: Alla fine ci sei tu è un film abbastanza intenso, toccante e commovente, da meritare apprezzamenti. Un film che non scivola (quasi) mai in inutili pietismi, evitando (quasi sempre) eccessi d'enfasi e retorica. Una storia quindi emozionante, divertente e commovente al contempo, inno all'amicizia e che celebra il senso profondo della vita. E' soprattutto, infatti, una storia di un'amicizia insolita e poco convenzionale, specie nel modo in cui scaturisce, in un malinteso di fatto e ancor più, si sviluppa, con diversi momenti simpatici, in cui fanno capolino i divertenti confronti-scontri, con i due poliziotti dal cuore tenero. Quanto più la pellicola procede, tanto più il film perde la sua connotazione leggera, collocando sullo sfondo il black humour della prima parte, acquisendo un tono decisamente più drammatico, facendo emergere l'aspetto introspettivo del racconto. Un racconto (di formazione) nel suo complesso godibile, perché discretamente tratteggiato e perciò capace di non annoiare né di lasciarsi andare a buonismi fastidiosi, dal buon impatto emotivo, ben interpretato e ben girato, che ci rammenta, come conti di più la qualità del tempo che abbiamo a disposizione, piuttosto che la sua durata. E quindi qual è il problema del film? E' che di originale ha ben poco, anzi, molte situazioni sembrano ricalcare quel gioiellino che era Quel fantastico peggior anno della mia vita, altre sembrano ricalcare i molti classici film di formazione della cinematografia statunitense degli ultimi anni, altre le classiche commedie romantiche giovanili. Insomma tutto già visto, e in misura forse migliore. Certo, ci sono alcune differenze, ma la base è quella, finale compreso. E così nonostante il film riesca ad intrattenere, e nonostante si lasci vedere, non riesce a distinguersi, risultando così solo un film sì carino ma facilmente (troppo facilmente) dimenticabile.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il cast mi è sembrato discreto, le interpretazioni convincenti (anche se Maisie Williams pare un po' spaesata, stessa cosa Asa Butterfield, che pare avere sempre la stessa espressione, e non è la prima volta, mentre Nina Dobrev è sempre bella e questo basta, gli altri invece nella media), la regia (firmata da Peter Hutchings, che non mi dice proprio niente) senza macchia, il ritmo degli eventi è fluido (le musiche in tal senso fanno il loro dovere) e i dialoghi alternano battute simpatiche con altre più portati all'emozionalità che un soggetto così deve avere nelle proprie corde. Un soggetto che però, se avesse avuto anche una punta di originalità, sarebbe forse risultato meno dimenticabile del previsto.
Commento Finale: Ormai il tema malattia terminale giovanile sta diventando un genere a parte, visti i tanti titoli che trattano gli stessi temi. Alcuni risultano piuttosto banali, altri invece più coinvolgenti e meno frivoli. Nel caso di Then Came You, possiamo parlare di una via di mezzo tra quella che è la poca originalità del soggetto con la capacità, comunque, di rendersi gradevole e spiritosa, in alcuni momenti. Tuttavia il ricorrere ad una certa (seppur inevitabile) retorica, unita alla non capacità di distinzione, non aiuta la pellicola a stare sulla soglia di galleggiamento.
Consigliato: No, se avete già visto film simili, sì se invece questa potrebbe essere la prima volta.
Voto: 5,5
Tema e genere: L'opera prima di Cristiano Anania con protagonista Salvatore Esposito, racconta la parabola della debolezza umana divisa tra etica e interesse.
Trama: Giorgio è un mediocre ma ambizioso giornalista trentenne. La sua vita cambia bruscamente quando il direttore del giornale decide di trasferirlo in una redazione di provincia. Proprio quando crede di aver trovato la sua nuova dimensione di vita, il direttore del giornale annuncia a Giorgio il suo licenziamento. Solo lo scioccante rapimento per mano di ignoti del nipote del più importante imprenditore locale restituirà a Giorgio il suo lavoro di corrispondente.
Recensione: Bisogna innanzitutto dire che questo ambizioso giallo dalle tinte noir, non convince propriamente del tutto, e poi bisogna dire che quel non del tutto non basta a salvare il film, come non basta la bravura ed il talento di attore di Salvatore Esposito. Quest'ultimo infatti, che si porta il film sulle spalle, è sicuramente efficace nel disegnare per sottrazione un personaggio alquanto enigmatico, chiuso, però non per questo poco comunicativo o noioso, peccato che il film per quanto permeato di idee ed intenzioni anche interessanti, alla fin fine non dona assolutamente nulla allo spettatore, se non confusione, disagio e perplessità di fronte ad un iter narrativo confuso e ben poco strutturato. Di base il problema più grosso di L'eroe è proprio nel manico, nella regia che appesantisce e soffoca una sceneggiatura di per sé non esattamente raffinata o ben strutturata, piena (per carità) di buone intenzioni che però rimangono tali. I personaggi sono tutti alquanto prevedibili, forzati, le situazioni narrative, i dialoghi appaiono sovente illogici e non approfonditi, la stessa messa in scena di per sé assomiglia a certi prodotti televisivi di scarso valore che ammorbano i nostri palinsesti. Il tutto sicuramente viene poi appesantito da una colonna sonora alquanto roboante e che sa di déjà-vu ogni minuto che passa, vanificando il bel montaggio e la fotografia. Il cast si muove quasi sempre con passo malfermo: d'altronde è difficile, da personaggi così scarni, trarre una qualsivoglia performance che ne esalti un contenuto che, in questo caso, manca già di partenza. Abbiamo la giovane bella ed ingenua (Marta Gastini, non nuova a film mediocri, come Bentornato Presidente), la donna di potere severa e mentitrice (Cristina Donadio, direttamente da Gomorra insieme al protagonista), la madre fragile (la Tiziana, Enrica Guidi de I delitti del BarLume), il meridionale pigro (Fabio Ferrari, storico protagonista de I ragazzi della 3ª C), lo scemo del villaggio (Vincenzo Nemolato), il capo malvagio (il sempre bravo Paolo Sassanelli), i carabinieri altezzosi e inefficienti (uno di questi interpretato da Pino Quartullo). Poco o nulla di nuovo sotto il sole.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Cristiano Anania, dopo aver collaborato come assistente con alcuni grandi del cinema, e dopo aver realizzato diversi spot pubblicitari e cortometraggi, giunge al suo primo film, di cui cura sceneggiatura e regia. Chiarissimi sono i modelli a cui fa riferimento per la stesura del suo giallo a tinte noir, contornato da personaggi ambigui e misteriosi. Non è un caso che quella che ci viene illustrata in questo lungometraggio è una vera e propria parabola sulla debolezza umana, sulla difficoltà di far coincidere etica e interessi personali, peccato che seppur lo stile registico sia buono, alcuni buchi nella sceneggiatura non rendano L'eroe un film all'altezza delle ambizioni del suo autore e delle aspettative dei suoi spettatori (e il finale più che far riflettere sembra una paraculata). Lo sviluppo di determinate situazioni è visibilmente superficiale, e il profilo psicologico dei vari personaggi non è adeguatamente approfondito, errore che rischia di abbandonarli alla mercé della più classica stereotipizzazione (e gli attori di più non possono fare). Ma è assolutamente chiaro che essendo un film indipendente e a basso costo, soffre di tutte quelle conseguenze che ne derivano (anche sul lato puramente tecnico). Ovviamente ciò non intacca il valore del regista, che sicuramente farà meglio con il prossimo lavoro.
Commento Finale: Pesa sicuramente nel giudizio finale l'aver ancora una volta ritratto un'Italia già vista, già sentita, quella provinciale, religiosa in modo quasi fanatico e chiusa, che appare sinceramente poco attuale ed adatta ad una qualsiasi narrazione che miri a parlare della tragedia della verità nel mondo dell'informazione moderna. Appare chiaro l'intento metaforico di L'eroe, ma è una metafora strozzata, inespressa, incomprensibile perché frutto di un'operazione ingarbugliata che si perde mano a mano senza scampo, con un finale che lascia alquanto interdetti e spaesati, perché non supportato da una narrazione adeguatamente sviluppata. A conti fatti un film che pretende troppo da sé stesso senza averne alcun tipo di diritto, perché da che mondo è mondo le buone intenzioni e idee di partenza non bastano a fare un buon film.
Consigliato: Per me è no, ma poi tocca sempre a voi l'ultima parola, la decisione.
Voto: 5
Tema e genere: Diretto da Trevor Nunn il film è tratto dal romanzo di Jennie Rooney, La ragazza del KGB, a sua volta ispirato all'incredibile storia vera di Melita Norwood, scoperta colpevole di spionaggio contro l'Inghilterra a più di ottant'anni, e per questo chiamata "nonna spia". La catena di ispirazioni ha quindi prodotto un film che, con una spolverata leggera di thriller, affonda le radici nel genere romantico e sentimentale.
Trama: La storia di Joan Stanley che, nata inglese ma simpatizzante del partito comunista e dell'Unione Sovietica, divenne funzionaria del governo britannico per essere poi reclutata come spia dal KGB a metà degli anni Trenta del Novecento e che riuscì a trasferire segreti militari e politici mantenendo la sua identità segreta per oltre mezzo secolo.
Recensione: L'ambientazione di Red Joan ci riporta al tempo della II guerra mondiale in Inghilterra, con scenari e atmosfere simili a quelle di The Imitation Game. Anche qua al centro della vicenda ci sono un gruppo di scienziati che lavorano a progetti segretissimi: prima per contrastare l'asse tedesco-giapponese, poi per conquistare una supremazia sul blocco dominato dall'Unione Sovietica. Con un gioco di continui flashback il film alterna la cronaca dell'arresto dell'anziana Joan Stanley, con le scene di gioventù, quando la donna prima facente parte di un ristretto gruppo di fisici si fece manipolare da molti e successivamente divenne una spia. I presupposti per un thriller ad alta tensione c'erano quindi tutti, ma la mancanza di verve e l'eccessiva linearità l'hanno affossato. Perché sulla carta Red Joan doveva essere un film tra il dramma sentimentale e la storia concitata di spionaggio ma si è rivelato essere un film già visto e assai noioso. Un po' perché la regia di Trevor Nunn è anonima, un po' perché lo spettatore sa già dove andrà a parare il film. Anche il tema femminista del film è trattato senza verve, così come la sceneggiatura sembra un po' indecisa se presentarci Joan come una vittima delle manipolazioni del belloccio di turno o come una donna indipendente, che rischia tutto perché crede nella pace data dall'equilibrio atomico. Judi Dench, anche se confinata quasi esclusivamente nelle scene al commissariato dopo l'arresto, recita con l'usuale bravura e credibilità, la Cookson dà il meglio di sé nelle scene iniziali, quando si presenta per la ragazza intelligente ma poco avvezza alle cose di mondo, in compenso le scene di flashback risultano presto abbastanza ripetitive e confinate sempre in ambienti ristretti, i personaggi di contorno molto stereotipati e anche le motivazioni di Joan e dei suoi accusatori vengono ripetute senza eccessiva convinzione. Da una storia vera di questo livello, nella quale sono state in gioco milioni di vite umane, sarebbe stato lecito aspettarsi un thriller coi fiocchi, invece così, senza alcuna tensione, né almeno un tentativo di respiro epico (il confronto con altri film di genere, come ad esempio Il ponte delle spie, è impietoso), la montagna partorisce il classico topolino: un raccontino intorno al caminetto, quello messo in scena dal regista Trevor Nunn (più noto per le regie teatrali, e più impegnato con film tv che al cinema), con tazzine e centrini ricamati, nel quale tutto sembra superfluo, a partire (purtroppo) dal talento di Judi Dench.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il regista (che non offre alcun colpo di scena e che fa qui il compitino) divide la narrazione in due linee temporali: il presente, con Judi Dench a interpretare (ottimamente) la parte di Joan Stanley ottantenne, e il passato (Cambridge nel 1937), in cui la parte della giovane Joan è affidata a Sophie Cookson. Quest'ultima (seppur acerba e non ancora pronta a lasciare il segno) dà prova di carattere e grande espressività, risultando più che credibile nel confronto attoriale-temporale con Judi Dench. Peccato che entrambe (per non parlare del resto del cast, comprendente il Tom Hughes di Victoria e Stephen Campbell Moore) siano penalizzate da una struttura e una sceneggiatura ingenerose con entrambe. Il passato, infatti, teatro dei fatidici scambi di documenti, segreti e tradimenti, si rivela poco più che scenario di storie d'amore e sentimenti. Non che queste, di per sé, danneggino il film, ma la protagonista al centro di un intrigo internazionale è appiattita su un ruolo quasi secondario, trascinata nelle proprie azioni e decisioni, invece di intraprenderle col coraggio che meriterebbero. Tanto più che, osservando in parallelo le confessioni della Joan anziana, sappiamo già come la faccenda andrà a finire, e gli elementi che vengono mantenuti un mistero, oltre a essere piuttosto prevedibili, non sono sufficienti a creare la giusta suspense. Il ritmo, alternato tra passato e presente senza grande equilibrio, finisce per interrompere più di quanto concateni le due storie, a scapito del pathos, che ne risulta fiaccato. Si percepisce marcatamente sul finale, che tenta di dimostrare come il racconto del presente non fosse mero strumento narrativo. Non ci riesce né risolleva, purtroppo, le sorti della pellicola. Una pellicola anche tecnicamente mediocre (allorché patinata e modesta).
Commento Finale: A volte la fantasia supera la realtà ma in questo caso si può dire che la fantasia ha semplicemente preceduto la realtà. Il discorso è semplice: sebbene Red Joan racconti una vicenda incredibile e paradossale avvenuta 40-50 anni fa, bisogna fare i conti con diversi decenni di cinematografia spionistica. Quanto vissuto dalla protagonista della pellicola in fondo è già stato visto e rivisto dallo spettatore, che quindi ha bisogno di qualcosa in più per essere stupito. Il film non riesce invece ad andare oltre e si limita a raccontare dei fatti clamorosi per l'epoca ma quasi banali per il XXI secolo. Sicuramente la storia scorre fluida, alternando racconti puramente storici ad altri più romanzati. Non manca l'elemento amoroso né quello avventuroso, ma tutto viene solamente sfiorato e mai approfondito. Il vero punto debole di Red Joan (quello da cui mai riesce ad affrancarsi) è di essere stato battuto sul tempo da tante opere di fiction più coinvolgenti e realistiche di questa storia vera. Sottoutilizzando Judi Dench e non avendo un ritmo incalzante, Red Joan risulta purtroppo soporifero.
Consigliato: No. Certo, peggio di altri non è, ma proprio non convince.
Voto: 4,5
Most Beautiful Island (Drammatico, USA, Spagna, 2017)
Tema e genere: Sospeso tra thriller psicologico, dramma e film di denuncia sociale, Most Beautiful Island racconta la storia di Luciana, una giovane donna spagnola immigrata a New York, con alle spalle un lutto che non ha ancora superato, che si ritrova inavvertitamente protagonista di un crudele gioco in cui vengono messe a rischio delle vite per l'intrattenimento perverso di pochi privilegiati.
Trama: Luciana, una giovane donna immigrata a New York, si sforza di sbarcare il lunario mentre tenta di sfuggire al proprio passato. Come ogni giorno, affronta una serie di problematiche e imprevisti quando, prima che la sua giornata sia finita, un lavoro si trasforma in qualcosa di stranamente ambiguo.
Recensione: Most Beautiful Island segna il claustrofobico esordio alla regia di Ana Asensio e tocca temi forti e delicati come la condizione degli immigrati e lo sfruttamento dei più deboli, tralasciando però qualcosa che andava approfondito. Della storia si è già detto, e comunque il tutto porterà (per colpa della sua amica Olga, Natasha Romanova) ad un luogo in cui la ragazza correrà un insospettabile pericolo. Da qui inizia forse la scena più bella di un film che, comunque, non convince fino in fondo, con la tensione che aumenta esponenzialmente avvicinandosi alla scoperta del reale fine della festa: nessuno dice nulla alla protagonista, mentre le altre donne presenti in questo scantinato newyorkese asettico e spoglio entrano, a turno, in una stanza, con la porta che si richiude alle loro spalle, cui fanno seguito applausi o urla. Luciana cerca di capire cosa c'è in quella borsetta chiusa ermeticamente che le hanno dato, e quel lavoro che le frutterà 2000 dollari rimane misterioso fino a quando non lo dovrà affrontare, senza poter ormai più scappare né tirarsi indietro. Luciana ha con sé un dolore: qualcuno, probabilmente sua figlia, non c'è più, lei non è a New York solo per lavoro, ma per fuggire da un passato che vuole dimenticare e lasciarsi alle spalle. Il film cerca di mettere in scena sia la solitudine di una donna che non sa come sopravvivere in una città sconosciuta dove non ha nessuno, sia l'elaborazione del lutto per aver perso una delle persone più importanti della sua vita. Di questo Luciana si sente responsabile, forse per essere ancora viva mentre sua figlia non lo è più. Tuttavia la questione non è chiara, e sapere qualcosa in più sul passato di Luciana avrebbe arricchito il film e il personaggio: cosa ha perso? E cosa cerca? Troppe le domande che vengono lasciate senza risposta, tra cui quella su cosa l'esordiente (alla regia) Ana Asensio voglia realmente dire. Luciana probabilmente capisce qualcosa di sé nel corso della storia, ma non è chiaro se riesca a trovare quello che cerca o a sentirsi nuovamente viva attraverso quella terribile esperienza, tanto da domandarsi se ciò che cercasse davvero fossero effettivamente quei 2000 dollari. Suspense a parte, il lungometraggio della Asensio ha l'ambizione di dare un senso di amarezza, ma lo fa attraverso l'utilizzo di espedienti banali, per suscitare una reazione forte nello spettatore, che distraggono dalla poca efficacia del film. La regia piuttosto semplice mette in evidenza un altro punto di forza, non sfruttato al massimo: il contrasto, continuo tormento che la stessa protagonista vive. La fotografia a tinte chiare tendenti al giallo crea un'ottima contrapposizione con la crudezza e la durezza di tutto il film. A Luciana e alla stessa Olga viene richiesto un out-fit particolare, viene imposta l'eleganza per diventare poi vittime di un gioco perverso, come se la loro condizione fosse inevitabile: vengono scelte da altri per puro sadico divertimento, elemento che sottolinea la situazione di Luciana, immigrata spagnola inevitabilmente sola in un mondo pronto ad inghiottirla, che si fida e crede in un sogno americano che la delude, in cui vige comunque lo sfruttamento dei più deboli. Lei stessa sembra vivere una perenne contraddizione, se continuare a vivere e a lottare o arrendersi e lasciarsi andare. E insomma riuscito a metà.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: E' girato abbastanza bene dalla Asensio che fa tutto qui (è anche la protagonista), diciamo però che la storia (ispirata a fatti veri, pare) è parecchio minimal (anche in termini di durata). Cioè, il film vive di un unica idea e per quanto narrata piuttosto bene, si risolve un po' in una bolla di sapone. Si poteva osare di più (tecnicamente è ben poca cosa), ma capisco il budget e tutto il resto.
Commento Finale: Tante le possibili interpretazioni del film, ma nessun chiaro messaggio. La regista sembra voler sottolineare la condizione di sfruttamento dei più deboli, l'ipocrisia di chi si offre di aiutare (ma solo per un piacere personale), e fino a quanto si è disposti a spingersi per sopravvivere, temi troppo labili e quasi sfuggenti in un film che aveva in partenza delle ottime potenzialità. Most Beautiful Island sembra un lungometraggio che non lascia abbastanza allo spettatore se non delle idee e degli spunti di riflessione, ma quale sia il messaggio e la condizione delle protagoniste su cui puntare davvero l'attenzione rimane un mistero, rendendolo un lavoro incompleto che lascia poche sensazioni forti e molte troppo sottili, forse causate dalla pretesa di voler dire troppo.
Consigliato: Dipende da cosa vi aspettate dal film, se vi aspettate molto resterete delusi, altrimenti no, però in quest'ultimo caso non è detto che vi piaccia o che riesca a convincervi abbastanza.
Voto: 5,5
Ecco infine i film evitati e scartati:
Modalità aereo, Out of Blue - Indagine pericolosa, Wildwitch - Il mondo selvatico, Zoo - Un amico da salvare, Echo il mio amico delfino, Il campione, Inch'Allah, We were young, Onda su onda, Nancy Drew e il passaggio segreto, Se son rose, Un viaggio a quattro zampe, Ti proteggerò, The Rainbow Tribe - Tutto può accadere, La nostra terra, La tenerezza, Affairs of State - Intrighi di stato, Super palla di pelo, Vitelloni allo sbaraglio, L'agenzia dei bugiardi, Black Beauty - Una storia di coraggio, Cold Hell - Brucerai all'inferno.
Ce ne vuole a riuscire a sprecare Judi Dench eh!
RispondiEliminaGià, anche se poi gli anni cominciano a pesare anche per lei ;)
EliminaEvitati tutti per fortuna! 😁
RispondiEliminaMe tapino allora ;)
EliminaIo me lo sarei anche risparmiato, ma non potevo passarci sopra ;)
RispondiEliminaCold Hell l'ho visto proprio ieri sera, sai?
RispondiEliminaNon é malvagio, anche se a tratti ho sonnecchiato.
E poi si vedono molti seni...
Strano che non ti piaccia. 😜
Davvero? Allora ci faccio un pensierino per l'anno prossimo :D
EliminaL'eroe lo hai bocciato, ma mi incuriosisce assai..cronista di provincia, trentenne..ahha!
RispondiEliminaPino Quartullo? Da quanto tempo non vedevo scritto il suo nome!
Non c'avevo pensato, però forse un film con te protagonista era meglio :D
EliminaLi ho saltati tutti!
RispondiEliminaHai fatto bene ;)
EliminaNon era mia intenzione guardarli, non potrebbero catturare il mio interessa manco per sbaglio ma per sicurezza è meglio che me li segni, per evitarli!
RispondiEliminaDi quelli che hai evitato ho visto solo Out of Blue e ti dico che hai fatto benissimo! A me ha fregato la sinossi di Sky, "agghiacciante thriller"... ma de che?
Modalità aereo potrei vederlo a tempo perso, non mi ricordo se l'ho scaricato da SkyGo.
Io ho letto la trama (ufficiale) di Out of Blue, non mi fido neanch'io delle sinossi di Sky, e mi è bastato, anche se un giro su internet me lo faccio sempre ;)
EliminaHo visto oggi L'Agenzia dei Bugiardi. Dal trailer mi aspettavo di più (credo sia un remake di un film straniero), poco di più, specifichiamo. Alla fine dal trailer si capisce che è una commedia telefonata ma confidavo in qualcosa in più, magari grazie agli attori (alcuni attori).
RispondiEliminaNon è proprio da evitare ma ti sei perso poco 😉
L'avevo immaginato sarebbe stata poco più che una cavolata, e pure quello originale non che sia meglio, che non ho visto ma ho spizzicato ed è davvero poca cosa..
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