Cambiano gli sviluppatori, Deck Nine Games si prende infatti l'onere di salire sul palcoscenico dopo Dontnod Entertainment, cercando di aggiungere qualcosa alla storia di Dontnod, ma non riescono a generare la stessa magia. Vuoi per il cambio di prospettiva, vuoi per altro, però Before the Storm lascia un po' di amaro in bocca (il problema? sappiamo che è tutto già scritto). Saper raccontare bene una storia non è cosa da tutti, ma Life is Strange c'era in qualche modo riuscito. Non senza strascichi, ma portando a casa il risultato (quello ascrivibile al capolavoro). Ma saper raccontare bene una storia di cui tutti conoscono già il finale, beh, è un'altra storia (pochi ci riescono, Rogue One per esempio). La colpa più grossa di Before the Storm, in fondo, è proprio questa: dall'inizio alla fine si ha la consapevolezza di come andranno a finire le cose (in particolare, capita spesso di pensare che tanto alla fine il destino è già tracciato, e le scelte che si stanno prendendo sono alla fine irrilevanti) e vengono quindi giocoforza a mancare tutti i colpi di scena, i cliffhanger e gli espedienti narrativi di questo tipo che chi scrive può utilizzare per stendere chi legge (o gioca, in questo caso) la sua opera. Before the Storm inciampa sulla sua stessa natura: sapendo che di fatto è un filler, viene a mancare l'empatia. Come da titolo, le vicende raccontate sono quelle prima della tempesta al centro di Life is Strange, prima quindi del ritorno ad Arcadia Bay di Max. Viene di conseguenza a mancare l'elemento sovrannaturale, tanto più che la scelta di Deck Nine è quella di mettere il giocatore nei panni di Chole Price, partner in crime di Max in quello che ormai è il capostipite di un franchise di successo e ribelle ragazza ordinaria. A spalleggiarla, quella che nel corso dell'esperienza diventerà la sua nuova migliore amica (in luogo, appunto, di Max) e attorno alla quale graviteranno gli eventi del primo capitolo: Rachel Amber. Raccontare altro della trama sarebbe di fatto tagliare l'unico flebile filo che tiene insieme la produzione. Ma comunque non c'è molto altro da dire: Before the Storm cerca di fungere da riempitivo andando a raccontare come Chloe e Amber siano diventate amiche (conoscenza che comunque rimane ininfluente ai fini di Life is Strange) e ripropone qualcuno dei personaggi già visti nel primo capitolo, tenendoli in massima parte confinati sullo sfondo e con anche una defezione illustre che fa una sorta di cameo solo nel finale. Bene o male gli eventi sono quindi scollegati da quelli del sequel: si, il punto di vista di Chloe permette di affrontare da un'altra angolazione alcuni dei motivi che l'hanno spinta a diventare quella ragazza che si incontra nel bagno all'inizio di Life is Strange, ma la sensazione è che si tratti più che altro di sprazzi inseriti su disco per cercare di far empatizzare con la ragazza, più che perché funzionali al racconto.
Tutto quello che riguarda Rachel invece è inedito, visto che la sua figura era invece tenuta ai margini nel primo capitolo, ma appunto (chi ha giocato Life is Strange lo sa) si va avanti con la consapevolezza che alla fine è già tutto scritto, il finale è ineluttabile e alla fine non c'è nemmeno poi tutto questo interesse nei confronti di Rachel. Sarebbe stato diverso se in-game si fossero affrontati i perché dietro il ruolo che la figlia del procuratore di Arcadia Bay va ad assumere nel primo capitolo, ma invece si è puntato tutto su un'inedita storia dell'inizio di un'amicizia (o di qualcosa di più) che alla fine lascia la sensazione di essere un riempitivo, prima del prossimo (già uscito) capitolo. Questo non vuol dire che sia tutto da buttare o che non valga assolutamente la pena di tornare ad Arcadia Bay: si è comunque davanti a quella che è probabilmente l'ultima possibilità di vedere Chloe (e Max, vista la sua presenza indiretta nei tre episodi "principali" e quella diretta in quello bonus) sotto i riflettori e di immergersi in quel mondo che Dontnod aveva saputo costruire con una certa maestria, e i personaggi (per quanto funzionali) riescono a fare il loro dovere. Ci sono delle scelte un po' fuori dalla caratterizzazione che ci si aspetterebbe (giustificabili in buona parte nell'ottica di un processo di crescita che in Life is Strange era terminato e qui è solo all'inizio) ma al netto di questo la sensazione di ritrovare dei vecchi amici c'è tutta. Solo che non si va molto oltre a quella, e sta a chi gioca decidere se va bene così, se vale la pena affrontare il tutto anche solo per poter avere un ultimo assaggio o se ci si ritiene sazi. Ma la verità, forse, è che è più facile fare questi ragionamenti a ragion veduta, dopo aver giocato i quattro episodi di Before the Storm. Senza questo senno di poi molto probabilmente non appena finito Life is Strange si sarebbe sentita la necessità impellente di rimanere attaccati a quel mondo, per metabolizzare il finale ma anche molto banalmente solo perché non si era ancora pronti a voltare pagina. Oppure forse il problema è proprio legato al finale di Life is Strange, o meglio a come questo finale (ma in generale tutte le scelte più o meno importanti fatte in-game) lo si è vissuto. A Deck Nine, per i motivi che si dicevano più su, è mancata l'empatia di chi stava davanti allo schermo, ed era proprio l'empatia il segreto dietro la riuscita del lavoro di Dontnod (personalmente poi, chi c'ha giocato può capire, era tanta). In conclusione, al netto dei suoi problemi, e pur non riuscendo in alcun modo a concorrere in modo equo con il suo predecessore, Life is Strange: Before the Storm resta ed è un buon prodotto (coerente con il materiale originale, fruitore di temi di grande profondità grazie a personaggi intensi, trama piuttosto lineare e colonna sonora efficace). Un prodotto da giocare se ci sente a digiuno da Life is Strange e vuole a tutti i costi tornare ad Arcadia Bay (o magari non ne è mai uscito del tutto), perché trova in Before the Storm un perfetto metadone videoludico, anche solo come avvicinamento (già comunque anticipato con Le fantastiche avventure di Captain Spirit) al vero e proprio Life is Strange 2 con di nuovo Dontnod in cabina. Voto: 7
Nel 2007 Crytek stupì il mondo videoludico con il suo Crysis, sia per la potenza visiva che per il gameplay. Come in Far Cry (non è un caso questo esempio, dato che all'epoca fu etichettato "il Far Cry con gli alieni"), le missioni di Crysis (in particolare quelle ambientate all'aperto) davano un senso di libertà di azione, ed era possibile sviluppare tattiche di attacco differenti a seconda della volontà del giocatore. Il protagonista era (ed è tutt'ora) dotato di una tuta all'avanguardia, un prototipo denominato "Nano Muscle Suit" da qui in poi chiamato "Nanotuta". Nell'anno 2011 l'arrivo di Crysis 2 lasciò i videogiocatori basiti, purtroppo in gran parte in negativo, sia per la maggiore linearità dell'ambientazione che per un livello tecnico decisamente scadente, per non parlare della totale assenza dell'editor di mappe multiplayer (presente invece nel primo capitolo): un capitolo che sembrava quindi più una demo tecnica che un prodotto a tutti gli effetti. Ed ecco che nel 2013 arriva Crysis 3 (io ovviamente in colpevole ritardo nel giocarci, a tutti i capitoli in verità), avranno aggiustato il tiro? Innanzitutto bisogna dire che Crysis 3 (terzo Crysis ufficiale, quarto considerando l'espansione Warhead) risulta essere decisamente un passo in avanti rispetto al secondo capitolo, il dare maggiore libertà d'azione e l'aggiungere alcune varianti tattiche interessanti è servito, tuttavia il confronto con il primo capitolo della serie è improponibile. Infatti, l'evirazione dell'editor di mappe nel multiplayer, il sonoro scadente e la sempre presente linearità lo vede sconfitto in favore del capolavoro del 2007 targato sempre Crytek. In ogni caso vediamo cosa si sono "inventati" il Crytek-Team per "divertire" il videogiocatore. Raccontare la trama di Crysis, dipanatasi nel corso dei tre titoli, è compito arduo, soprattutto se si vogliono evitare inutili spoiler. Questo perché i protagonisti sono cambiati nel corso del tempo mentre altri sono tornati in grande stile in seguito a tragiche morti presunte. Potremo fortunatamente fare un recap veloce degli ultimi ventisette anni delle vicende di Alcatraz e Nomad attraverso un video introduttivo di ottima fattura. Otterremo ulteriori informazioni a riguardo grazie al tutorial che ci introdurrà all'utilizzo della nanotuta, il potente strumento realizzato con tecnologia aliena che implementa forza, velocità e precisione di chi la indossa. In questo terzo capitolo vestiremo i panni di Prophet, aiutati dal mitico Psycho, ritornato in azione. Ancora una volta dovremo batterci contro la megacorporazione CELL, badando anche alla terribile minaccia di Cef. La trama è incentrata particolarmente sul rapporto uomo/tecnologia attraverso l'interazione tra il simbionte e la propria tuta. Interazione che assumerà contorni molto più profondi e adulti che in passato. Crysis 3 è uno sparatutto in prima persona che fa della qualità grafica e dell'elevato livello di dettaglio il suo (unico?) massimo punto di forza. Sul fronte "giocoso" non offre nulla di realmente innovativo e si limita a riproporre situazioni viste e riviste, condite da un'intelligenza artificiale tutt'altro che stimolante ed un grado di sfida che può fare il solletico ai veterani del genere (tuttavia per me non è stato sempre facile). La campagna in giocatore singolo si focalizza sul ruolo di Prophet nel conflitto tra buoni e cattivi, senza poter vantare grandi scossoni o colpi di genio, come tutta la serie del resto. C'è una grande differenza fra il poter definire "bello" Crysis 3 ed il doverlo definire "buono", ma di questo si tratta: l'ultimo capitolo fa bene il suo dovere, si lascia giocare e diverte, ma stiamo parlando del terzo capitolo di una serie che (come tante altre) ha detto tutto. Oltre a sbalordire sul fronte grafico c'è poco che possa renderlo memorabile, non è un gioco che lascia il segno. Voto: 6,5
Nel 2007 Crytek stupì il mondo videoludico con il suo Crysis, sia per la potenza visiva che per il gameplay. Come in Far Cry (non è un caso questo esempio, dato che all'epoca fu etichettato "il Far Cry con gli alieni"), le missioni di Crysis (in particolare quelle ambientate all'aperto) davano un senso di libertà di azione, ed era possibile sviluppare tattiche di attacco differenti a seconda della volontà del giocatore. Il protagonista era (ed è tutt'ora) dotato di una tuta all'avanguardia, un prototipo denominato "Nano Muscle Suit" da qui in poi chiamato "Nanotuta". Nell'anno 2011 l'arrivo di Crysis 2 lasciò i videogiocatori basiti, purtroppo in gran parte in negativo, sia per la maggiore linearità dell'ambientazione che per un livello tecnico decisamente scadente, per non parlare della totale assenza dell'editor di mappe multiplayer (presente invece nel primo capitolo): un capitolo che sembrava quindi più una demo tecnica che un prodotto a tutti gli effetti. Ed ecco che nel 2013 arriva Crysis 3 (io ovviamente in colpevole ritardo nel giocarci, a tutti i capitoli in verità), avranno aggiustato il tiro? Innanzitutto bisogna dire che Crysis 3 (terzo Crysis ufficiale, quarto considerando l'espansione Warhead) risulta essere decisamente un passo in avanti rispetto al secondo capitolo, il dare maggiore libertà d'azione e l'aggiungere alcune varianti tattiche interessanti è servito, tuttavia il confronto con il primo capitolo della serie è improponibile. Infatti, l'evirazione dell'editor di mappe nel multiplayer, il sonoro scadente e la sempre presente linearità lo vede sconfitto in favore del capolavoro del 2007 targato sempre Crytek. In ogni caso vediamo cosa si sono "inventati" il Crytek-Team per "divertire" il videogiocatore. Raccontare la trama di Crysis, dipanatasi nel corso dei tre titoli, è compito arduo, soprattutto se si vogliono evitare inutili spoiler. Questo perché i protagonisti sono cambiati nel corso del tempo mentre altri sono tornati in grande stile in seguito a tragiche morti presunte. Potremo fortunatamente fare un recap veloce degli ultimi ventisette anni delle vicende di Alcatraz e Nomad attraverso un video introduttivo di ottima fattura. Otterremo ulteriori informazioni a riguardo grazie al tutorial che ci introdurrà all'utilizzo della nanotuta, il potente strumento realizzato con tecnologia aliena che implementa forza, velocità e precisione di chi la indossa. In questo terzo capitolo vestiremo i panni di Prophet, aiutati dal mitico Psycho, ritornato in azione. Ancora una volta dovremo batterci contro la megacorporazione CELL, badando anche alla terribile minaccia di Cef. La trama è incentrata particolarmente sul rapporto uomo/tecnologia attraverso l'interazione tra il simbionte e la propria tuta. Interazione che assumerà contorni molto più profondi e adulti che in passato. Crysis 3 è uno sparatutto in prima persona che fa della qualità grafica e dell'elevato livello di dettaglio il suo (unico?) massimo punto di forza. Sul fronte "giocoso" non offre nulla di realmente innovativo e si limita a riproporre situazioni viste e riviste, condite da un'intelligenza artificiale tutt'altro che stimolante ed un grado di sfida che può fare il solletico ai veterani del genere (tuttavia per me non è stato sempre facile). La campagna in giocatore singolo si focalizza sul ruolo di Prophet nel conflitto tra buoni e cattivi, senza poter vantare grandi scossoni o colpi di genio, come tutta la serie del resto. C'è una grande differenza fra il poter definire "bello" Crysis 3 ed il doverlo definire "buono", ma di questo si tratta: l'ultimo capitolo fa bene il suo dovere, si lascia giocare e diverte, ma stiamo parlando del terzo capitolo di una serie che (come tante altre) ha detto tutto. Oltre a sbalordire sul fronte grafico c'è poco che possa renderlo memorabile, non è un gioco che lascia il segno. Voto: 6,5
Ci sono videogames che ti appassionano per l'adrenalina che ti offrono. Quelli nei quali ti immedesimi in un personaggio che senti a te vicino. E poi ci sono videogiochi che sono autentiche perle, opere d'arte in piena regola. Valiant Hearts: The Great War rientra a pieno titolo in quest'ultima categoria. Questo gioco è infatti un piccolo capolavoro (grazie Ema per avermelo fatto conoscere). E' un fumetto interattivo, di genere adventure, ambientato in Francia durante la Prima Guerra Mondiale. La trama, per quanto estremamente semplice e fin troppo spesso ricca di fortuite casualità, è molto poetica e coinvolgente. I vari protagonisti, nel corso del gioco si prendono le redini di quattro distinti personaggi (e il cane, non bisogna dimenticare il cane), sono carismatici ed è facile identificarsi con loro nel corso degli eventi. Come detto si tratta di un adventure, in cui i dialoghi sono sostituiti da fumetti e le esclamazioni appena abbozzate. L'unica voce narrante è quella che fa da contorno agli eventi del gioco e che narra la storia dei protagonisti e delle battaglie (vere) che si svolgono intorno ad essi. Gli enigmi sono piuttosto semplici e raramente ci si ferma a pensare al da farsi, anche quando le schermate in cui cercare o utilizzare gli oggetti sono tante (comunque alcune delle sequenze d'azione possono risultare frustranti se si perde il ritmo e si muore nello stesso punto più volte). Per chi sa andare oltre il gioco poi, Valiant Hearts offre una lezione di storia e umanità da cui imparare un messaggio importante sulla natura umana, sulla guerra e sulla pace, anzi, in certi momenti offre una lezione di storia vera e propria, di un periodo storico troppo spesso messo in secondo piano rispetto alla Guerra Mondiale successiva. L'interfaccia è immediata, ci sono anche dei momenti di azione molto intuitivi e, inutile negarlo, la trama scorre fluida dall'inizio alla fine aumentando il coinvolgimento e facendo volar via in un lampo le 10 ore di gioco richieste per completarlo. Dei requisiti tecnici neanche ne parlo, è un fumetto animato, ovvero le ambientazioni, realizzate a mano, sono per la maggior parte statiche, mentre le animazioni si limitano ai personaggi principali e a specifici eventi che si manifestano intorno ad essi. Tuttavia questo non rappresenta un difetto del gioco, anzi, c'è molta espressività ed effetti come le esplosioni o gli spari sono comunque ottimamente riprodotti, nel perfetto stile del gioco. Di difetti veri e propri invece, la durata e il fatto che anche se al di là dei testi o delle immagini Valiant Hearts: The Great War riesce a comunicare al giocatore tanto, non tutto funziona alla grande, perché se sulla prima e sull'ultima parte c'è ben poco verso cui puntare il dito, qualche intermezzo risulta essere davvero poco riuscito, in particolar modo quando il gioco si va un po' a perdere nel buonismo più spicciolo. Poco male, perché Valiant Hearts: The Great War ne esce da vincitore. Forse l'unico, da quella guerra. La durata, come detto, è purtroppo breve: il gioco (al di là delle mie 10 ore) si dovrebbe aggirare attorno alle cinque ore, ma soprattutto ha una rigiocabilità praticamente nulla. Certo, il consiglio migliore è senz'altro quello di disattivare ogni aiuto sin da subito, pur senza avere chissà quale sfida in più, anche così, la longevità non può essere tirata per i capelli più di tanto, perché rimanere bloccati a lungo è pressoché impossibile. Va comunque specificato che il racconto è abbastanza intenso e vibrante da non lasciare scontento nessuno. E quindi assodato che nonostante tutto il gioco meriti di essere ri-scoperto, che meriti d'esser giocato da tutti, in definitiva Valiant Hearts: The Great War è un gioco splendido, dalla trama bella e fluida, da enigmi ben congeniati e (quasi) mai frustranti, da un briciolo d'azione intuitiva, con un'estetica originale e ottimamente realizzata, il tutto contornato da un'ambientazione ricca di riferimenti storici reali che amplificano il coinvolgimento e l'immedesimazione nei quattro protagonisti del gioco. Assolutamente da non perdere. Voto: 8
Condivido ogni parola di Valiant Hearts, davvero bello, peccato Ubisoft non abbia prodotto altri giochi di quel tipo.
RispondiEliminaGià peccato, anche se difficile riproporre la stessa qualità o forza espressiva in un gioco simile ma diverso.
EliminaI wish I could play games :)
RispondiEliminaBe safe!
Of course, it's a good pastime right now ;)
EliminaEccomi con ulteriore ritardo nonostante ti avessi detto che sarei passato subito. Avevo la pagina aperta da quando mi hai avvisato in privato 🤦♂️
RispondiEliminaI due Life is Strange (+ Capitano Spirito) sono tutti in lista. Se un giorno mai li giocherò, nel mio post DEVI linkarmi le tue recensioni, non so se la mia memoria funzionerà ancora, probabilmente avrò 98 anni 😅
L'FPS invece non è il mio genere, raramente do possibilità alla roba in prima persona e questo non sarà uno dei rari casi.
Venendo al gioco di guerra, grazie per la citazione! Dovrei ricordare ancora tutto senza doverla rileggere.
Che aggiungere? Concordo su tutto! È vero, della Grande Guerra se ne parla sempre troppo poco e questo titolo è uscito per il centesimo anniversario.
La longevità per me non è un problema, prediligo sempre i titoli che si portano a conclusione in 2-3 giorni, avendone una valanga da recuperare.
Va bene, la prossima volta farò così, ti aiuterò a ricordarti :D
EliminaComunque segnati pure Life is strange 2, a cui però devo ancora metterci le mani ;)
Sì, un giochino semplice ma istruttivo ed avvincente nonché divertente (nonostante l'argomento), ma la longevità è relativa, io un'ora al giorno (anche meno) ci son volute due settimane :)