La settimana scorsa è stata davvero incredibile, tra la neve, le feste finite e l'inizio delle regolari attività, non si è capito niente, compreso in casa, per il trambusto che le nevicate comportano sempre in questi casi, comunque nonostante questo ho avuto il tempo, non che prima non avessi ovviamente, di vedere tre film abbastanza identici nel genere, thriller (con alcuni spruzzi d'horror), ma quasi completamente diversi nei temi come nel risultato, comunque più o meno sufficienti. Tre film abbastanza originali ma non tanto eccezionali, anzi, deludenti un po', poco decisi anche, non coinvolgenti il massimo soprattutto, nonostante l'interessante incipit o il discreto spunto di riflessione. Partendo da Dark Places: Nei luoghi oscuri (Dark Places), film del 2015 diretto da Gilles Paquet-Brenner, un thriller cupo e dai toni horror che faceva ben sperare, e invece molto cose non funzionano e poco rimane impresso. A partire dalla storia, quella di Libby Day, trentenne che non ha mai lavorato in vita sua, visto che è vissuta di rendita sulla tragedia che ha devastato la sua famiglia, quando aveva solo sette anni infatti sua madre e le sue due sorelle sono state uccise. Della strage è stato considerato responsabile suo fratello Ben, che da allora è rinchiuso in carcere. Ora i soldi che Libby ha messo via (provenienti dagli assegni inviati da tutta l'America, commossa dal suo caso, e dai proventi del libro sulla strage che Libby ha accettato di far pubblicare) stanno finendo. Quindi la ragazza, che ha contribuito a far andare in galera il fratello con la sua testimonianza, accetta di partecipare alle indagini di un fan club appassionato di omicidi di cronaca che vuole scagionare Ben, molti infatti sono convinti che in galera non ci sia il vero colpevole, ma solo un capro espiatorio, e che quindi non sia mai stata fatta vera luce sulla strage della famiglia Day. Dall'omonimo romanzo di Gillian Flynn e sceneggiato dallo stesso autore, Dark Places, family-thriller del rimosso e del senso di colpa, non brilla certo per l'originalità del solito plot sui torbidi inganni di una provincia rurale di anime semplici e turpi delitti né tantomeno per l'appeal di personaggi scialbi e contraddittori le cui motivazioni e dinamiche psicologiche sfuggono persino alla sinossi del più aggiornato manuale di psichiatria forense, a partire dalla protagonista. Anzi, proprio per colpa della protagonista (alienata e straniante) e nonostante una mediocre regia, un buon uso (anche se eccessivo) di flashback, una narrazione fluida e scorrevole, con un cast fa quello che può, tutto è meno che coerente o credibile, a partire dai personaggi che compongono l'improbabile banda di appassionati ossessivi di cronaca nera, che si dimostra una poco credibile sequela di personaggi impresentabili e decisamente poco credibili, tutti eccentricità e movenze isteriche che diventano già da subito insopportabile se non addirittura inaccettabili.
Poiché proprio quest'ultimo fatto, conseguente di molte incongruenze, il film di conseguenza, lascia presto ogni sua parvenza horror o da incubo per svilirsi in una furba e scontata sequenza di colpi di scena che naufragano (più che far decollare) una pellicola che guarda al blockbuster, ma inciampa nella noia e nel ridicolo involontario. Tutto poi sembra già visto, come pure l'originale incipit, non poi così tanto originale, perché se è vero che l'America continua ad interrogarsi sulle sperequazioni economiche alla base dei processi delittuosi sin dagli anni '60, il Kansas e le sue immense distese agricole sono ancora una volta lo scenario per un massacro familiare in cui è più facile vedere pretestuose motivazioni esoteriche piuttosto che il realismo di una disperazione sociale che affonda le sue radici nello strozzinaggio del sistema creditizio e nelle incertezze di un'economia di sussistenza basata sui raccolti e le intemperanze del clima. Detto così il soggetto non sarebbe stato neanche tanto male e farebbe volentieri sorvolare sull'abusato cliché della strage familiare tanto in voga tra gli sceneggiatori del thriller di provincia, come pure sui pretesti di una detective story dove il privato sopperisce alle inadempienze del pubblico, ma quello che veramente rende indigesto questo polpettone di 100 e più minuti è una struttura del racconto in cui l'insopportabile flusso di pensieri in voice over della protagonista fa da contrappunto ad una confusa dialettica dei piani temporali nel loro continuo andirivieni da un passato di peccati originali (il satanismo, la violenza domestica, l'abuso pedofilo, la truffa assicurativa, i dissapori familiari) ed un presente di connivenze e omertà in cui riesce veramente difficile capire chi ha fatto cosa e soprattutto perché. La spiegazione ovviamente arriva sempre fuori tempo massimo quando, esaurite tutte le possibili ramificazioni del plot, la situazione precipita irragionevolmente verso un finale inverosimile quanto scontato, segnando la revisione di un processo fatta nel tempo di un lancio d'agenzia e la riabilitazione di un reo che pure qualche colpa dovrebbe avere. Insomma il festival delle incongruenze narrative e dei personaggi di cartapesta solo per dirci che ristabilendo la verità si ritorna a nuova vita, sia uscendo dalla prigione del proprio passato che da quella più angusta di un carcere federale ed arruolando allo scopo il caschetto biondo (mortificato da un logoro berretto sportivo) di una dimessa Charlize Theron ed il teutonico e tatuatissimo Corey Stoll, ancora invischiato dagli orrori metropolitani firmati Guillermo del Toro (The Strain). Praticamente niente di veramente eccezionale, ma dimesso come il montaggio, la fotografia, la sceneggiatura, imperniata o troppo su una rivelazione non proprio sconvolgente. Peccato, si poteva fare meglio. Voto: 5,5
Poiché proprio quest'ultimo fatto, conseguente di molte incongruenze, il film di conseguenza, lascia presto ogni sua parvenza horror o da incubo per svilirsi in una furba e scontata sequenza di colpi di scena che naufragano (più che far decollare) una pellicola che guarda al blockbuster, ma inciampa nella noia e nel ridicolo involontario. Tutto poi sembra già visto, come pure l'originale incipit, non poi così tanto originale, perché se è vero che l'America continua ad interrogarsi sulle sperequazioni economiche alla base dei processi delittuosi sin dagli anni '60, il Kansas e le sue immense distese agricole sono ancora una volta lo scenario per un massacro familiare in cui è più facile vedere pretestuose motivazioni esoteriche piuttosto che il realismo di una disperazione sociale che affonda le sue radici nello strozzinaggio del sistema creditizio e nelle incertezze di un'economia di sussistenza basata sui raccolti e le intemperanze del clima. Detto così il soggetto non sarebbe stato neanche tanto male e farebbe volentieri sorvolare sull'abusato cliché della strage familiare tanto in voga tra gli sceneggiatori del thriller di provincia, come pure sui pretesti di una detective story dove il privato sopperisce alle inadempienze del pubblico, ma quello che veramente rende indigesto questo polpettone di 100 e più minuti è una struttura del racconto in cui l'insopportabile flusso di pensieri in voice over della protagonista fa da contrappunto ad una confusa dialettica dei piani temporali nel loro continuo andirivieni da un passato di peccati originali (il satanismo, la violenza domestica, l'abuso pedofilo, la truffa assicurativa, i dissapori familiari) ed un presente di connivenze e omertà in cui riesce veramente difficile capire chi ha fatto cosa e soprattutto perché. La spiegazione ovviamente arriva sempre fuori tempo massimo quando, esaurite tutte le possibili ramificazioni del plot, la situazione precipita irragionevolmente verso un finale inverosimile quanto scontato, segnando la revisione di un processo fatta nel tempo di un lancio d'agenzia e la riabilitazione di un reo che pure qualche colpa dovrebbe avere. Insomma il festival delle incongruenze narrative e dei personaggi di cartapesta solo per dirci che ristabilendo la verità si ritorna a nuova vita, sia uscendo dalla prigione del proprio passato che da quella più angusta di un carcere federale ed arruolando allo scopo il caschetto biondo (mortificato da un logoro berretto sportivo) di una dimessa Charlize Theron ed il teutonico e tatuatissimo Corey Stoll, ancora invischiato dagli orrori metropolitani firmati Guillermo del Toro (The Strain). Praticamente niente di veramente eccezionale, ma dimesso come il montaggio, la fotografia, la sceneggiatura, imperniata o troppo su una rivelazione non proprio sconvolgente. Peccato, si poteva fare meglio. Voto: 5,5
Il problema principale di The Captive: Scomparsa (The Captive), film del 2014 (che ha partecipato in concorso al Festival di Cannes) diretto da Atom Egoyan, di cui è coautore della sceneggiatura assieme a David Fraser, interpretato da Ryan Reynolds, Scott Speedman, Rosario Dawson, Mireille Enos, Kevin Durand e Alexia Fast (recentemente entrata nella classifica delle Bellezze cinematografiche 2016), non è tanto il tema, tosto e disturbante che non può sconvolgere le coscienze di genitori e non, ovvero la terrificante piaga della pedofilia e in particolare della pedofilia online, quanto le caratterizzazioni o spiegazioni nonché domande irrisolte, cioè tutto rimane in superficie, chi sono, da dove vengono, possibile che nessuno se ne accorgi, possibile sia così facile rapire un minore, addirittura rubare un camion di alberi e scaricarli uno a uno sul ciglio di una strada a mo' di mappa senza insospettire nessuno? Mettere in crisi un rapporto o insinuare un dubbio nei confronti dei genitori senza prove come fa la polizia che poi non fa niente, è davvero possibile o credibile, e potrei scriverne 10 di tante incongruenze o passaggi forzati. Quello che invece risulta credibile è la perdita della sicurezza umana, in quest'opera di Atom Egoyan, tutti i personaggi principali, a ben vedere, subiscono infatti la perdita dell'orizzonte di senso della propria esistenza. Certamente e in primo luogo è Cass, la giovane rapita per una svista occasionale del padre Matthew. Da qui il senso di smarrimento si allarga dal padre alla madre Tina, i quali, come coniugi, sono costretti a vivere la perdita della loro propria bambina incrinando il rapporto, fino a fare di Matthew il colpevole per eccellenza di tale perdita. Non solo, gli stessi poliziotti che operano sul caso, perdono sempre più la bussola, l'uno, Jeffrey, perché personalizza troppo gli eventi al punto di credere che lo stesso padre sia il responsabile del rapimento che ha venduto la figlia a una rete di pedofili per questioni di debiti, l'altra, Nicole, perché nonostante combatta contro il male è lei stessa ad averlo subito da adolescente. Si tratta insomma di un gioco di specchi, in cui la colpa e il male si insinuano nei personaggi, rimbalzano dall'uno all'altro, mettendo in discussione i rapporti famigliari, di colleganza e di innamoramento tra Jeffrey e Nicole, e in cui la stessa Cass negli anni trascorsi in prigionia cerca di essere compiacente al mostro pedofilo diventandone, col passare degli anni, in qualche modo complice, perché un po' più adulta diventa l'adescatrice coatta in rete nei confronti delle altre bambine e bambini. Il tutto calato in atmosfere cupe e paesaggi freddi e innevati, dove il nevischio continuo diventa il riflesso pervasivo di esistenze che vagano alla ricerca di frammenti di passato per ricostituire un presente che diventa sempre più minaccioso. In questo senso il film è tutto giocato sul montaggio flashback, in cui passato e presente si accavallano continuamente lasciando allo spettatore la ricostruzione del progressivo dolore che attanaglia i personaggi. Ad accentuare il senso di tragicità grottesca è che Cass, nonostante gli abusi subiti (che non si vedono), per essere una buona adescatrice, ha bisogno di ispirazione, e perciò il pedofilo riprende costantemente, con telecamere nascoste, la madre di Cass presentandole ricordi della figlia, al fine di farle rivivere la sua presenza. Il tutto è girato con un'attenzione quasi morbosa verso gli interni e gli esterni, i frammenti di tempo che si sovrappongono, un po' per disorientare e farci entrare nel disorientamento dei personaggi e un po' per rendere ancora più attraente la sceneggiatura, ma in tutte queste operazioni da una parte viene messo a nudo l'impotenza esistenziale di fronte a un baratro che sembra davvero insuperabile, ma dall'altra ne risente l'opera in generale, che rischia di essere manierata. Resta perciò un thriller doloroso per me solo sufficiente, giocato con sottrazioni durante l'arco del suo svolgimento, ma con accumulazioni verso il finale che finiscono per sovraccaricare con risposte scomparse e l'immancabile finale quasi lieto. Voto: 6
Rape and Revenge classico eppur atipico, Reversal (film thriller-horror del 2015), comincia dove molti altri film del genere finiscono, è questa la vera grande intuizione del film, incentrato sulla vendetta di una vittima, ai danni del suo carceriere. A tutti gli amanti del cinema di genere infatti la premessa concettuale di Reversal: la fuga è solo l'inizio sicuramente accende la curiosità, d'altronde un film che si propone di innovare un filone tanto prolifico come quello dei revenge movies facendo del momento, che di solito segna la svolta narrativa e la parte principe dei canovacci legati al genere, il proprio prologo è di sicuro interesse per chi apprezza certi generi di cinema. Legata, affamata, stuprata e prigioniera una ragazza (la bella Tina Ivlev) è stesa in uno scantinato, quando il suo carnefice le porta da mangiare sfrutta un momento di distrazione e lo tramortisce riuscendo a liberarsi. Si ritrova di colpo da sola in una casa che non conosce e in mezzo al niente, in poco scopre di non essere l'unica, altrove ci sono altre ragazze nella sua condizione e nonostante desideri solo fuggire si fa forza, prende prigioniero l'uomo che l'ha imprigionata e lo costringe a portarla a liberare le altre per tutta la notte. Di casa in casa, di prigione in prigione, scoprirà che la situazione è molto peggiore di quello che avesse immaginato. La trama perciò è piuttosto semplice, la regia di un regista a me sconosciuto fino ad ora (José Manuel Cravioto) piuttosto discreta, le scene 'action' forse un po' troppo confusionarie mentre il montaggio è la parte più interessante e dinamica. Il problema però sono proprio i presupposti narrativi, difatti spesso non torna un cavolo, ovvero le azioni della protagonista non hanno senso, anche se il film si lascia vedere anche facilmente dato che di horror ce né ben poco, ma in ogni caso il thriller funziona. Poiché pur non evitando del tutto le insidiose trappole del genere, il film ha i suoi momenti bastardi ed efficaci, vere perle di cattiveria pura in un altrimenti rodato panorama di tensione. Più ci avviciniamo al finale (finale tutto da gustare, nero come la notte e impietoso come la vita) la discesa negli inferi della nostra protagonista si fa totale, calandola anima e corpo in un luogo altro, privo di luce, speranza e pietà umana. Un vero e proprio climax, che culmina nella bellissima sequenza a rallentatore, che segue la visita alla fatidica ultima casa, tassello finale di una verità probabilmente prevedibile, eppur necessaria, che chiude per sempre la porta alla sanità mentale, facendo sprofondare la nostra protagonista, nei neri labirinti della pazzia. La vendetta che diventa catarsi ed epifania di un cambiamento morale e radicale dell'essere, trasformando nell'ultima allucinante ed inaspettata inquadratura, la vittima in carnefice. Comunque nonostante tutto il buono e l'originalità della pellicola, poco in Reversal ha davvero tanta sostanza. Perché in ogni caso pur salvando anche una buona fotografia che mescola bene i colori, sotto tutti gli altri campi ci troviamo di fronte a qualcosa di molto meno, anche se sufficiente. Tutto un po' approssimato, lacunoso, incomprensibile, forzato, prevedibile, ma, anche senza un'ottima creazione né di tensione né empatia, è un film intrigante, spiazzante e coinvolgente. Di sicuro però non un film solidissimo, anzi, per alcuni potrebbe anche essere deludente, ma a me è piaciuto tanto, perché Reversal (nuovo, fresco e originale) è un piccolo film da tenere d'occhio, un più che sufficiente tentativo di riflettere sulla cupa natura dell'uomo, essere sempre meno umano, men che mai divino. Voto: 6,5
Ma sai Pietro che mi sembra di averli visti tutti e tre? Ora non so se pechè il thriller mi affascina sempre e non mi fa addormentare( cosa molto difficoltosa) e allora le trame che vedo si accavallano e spesso non brillano di fantasia...ma , con dubbi sul primo per la presenza dalla Theron che forse avrei ricordato , gli altri mi sanno di dejà vu..forse..
RispondiEliminaComunque tra un difetto e un pregio , per me da vedere..
Abbraccione Pietro caro e buona cena!
Per una volta meglio così, comunque è in effetti uno dei pochi generi il thriller dove dormire non si deve perché se succede vuol dire che qualcosa non funziona ma questi nonostante tutto non lo fanno fortunatamente perciò si, sono da vedere ;)
EliminaGrazie e altrettanto a te :)
Ottima Pietro...
RispondiEliminaRiguardo il finale le interpretazioni son tante.
Io ho solo creduto che lei torni indietro per "far sapere", pentita di averlo lasciato libero e pulito moralmente.
Come a dire, no, qui non chiudete nulla, ora vi dico io chi è ques'uomo.
Ma l'ipotesi di una vendetta e omicidio finale ci stanno.
Però, ecco, io non c'ho visto questo scavalcamento della sanità ed entrata nella pazzia, anzi, il finale credo sia il momento in cui è più lucida.
Ma è solo una sensazione
Sì è vero, ma per quello che è stato il finale, è stato comunque quello che avrei voluto vedere...in ogni caso ognuno la può sentire e capire come vuole e il tuo ragionamento è comunque ottimo ;)
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