Manca solo un giorno alla fine del mese che già domenica sarà Pasqua, e no, non è un pesce d'Aprile. Perché sì, questo personalmente bel mese, in cui ho compiuto 33 anni, festeggiato semplicemente in famiglia e con la classica torta di rito, che altresì è passato in un batter d'occhio, sta per finire e ci porterà in dono, speriamo più prima che dopo, la primavera (e qualche uovo di cioccolato da divorare). Intanto però colgo l'occasione, e prima di presentarvi i film del mese nel mio ormai classico post "finale", per augurare a tutti appunto, una serena e felice Buona Pasqua (e Pasquetta!). Ma ora ecco i "migliori" film, tra i film "meno noti" visti durante questo mese, mese in cui a parte il mio compleanno ha regalato poche soddisfazioni, poche novità, ma domani è un altro giorno, e dopodomani è un altro mese, che spero sarà migliore su molti punti di vista. Il tempo che almeno qualcosa si aggiusti c'è, perciò basta solo aspettare e avere pazienza, anche se io proprio non ne ho.
venerdì 30 marzo 2018
Gli altri film del mese (Marzo 2018)
giovedì 29 marzo 2018
I peggiori film del mese (Marzo 2018)
Marzo è stato un mese abbastanza movimentato per me, è passato il mio compleanno e quello di mio padre, ed è stato bello, purtroppo però i soliti problemi burocratici e piccoli problemini fisici sono rimasti. Il tempo che si sistemi definitivamente tutto c'è, ma il tempo sprecato a vedere questi film no, anche se tuttavia per alcuni è stato solo in parte. Comunque per ulteriori delucidazioni ecco la lista dei peggiori film e quelli scartati in questo marzo pazzerello.
Falchi (Thriller, Italia 2017): Pare che Napoli, sia diventata la location esclusiva e ottimale, per girare dei film che si occupano di malaffare. E Toni D'angelo, giovane e poco noto cineasta partenopeo, utilizza questa ambientazione, per raccontare una storia in bilico tra noir metropolitano, poliziesco e dramma umano. Peccato che la storia di due "falchi", cioè due agenti della squadra mobile napoletana, che agiscono solitamente in borghese e che si ritroveranno in un'indagine piuttosto complicata che li porterà a frequentare gli ambienti della locale malavita cinese, non porti praticamente a niente. Il film infatti, che non nasconde le sue elevate ambizioni, resta nel guado di una narrazione tesissima, ma che si attorciglia su se stessa, volendo scavare ed interrogarsi all'interno, finisce col diventare velleitaria. Ci sono molti tempi morti che rallentano il film e anche se l'interpretazione degli attori è più che efficace (tra questi Michele Riondino e Fortunato Cerlino), il lavoro non aggiunge niente di nuovo a quanto già visto tante volte, anche perché la sceneggiatura mostra diversi limiti che si traducono innanzitutto nella mancanza di un concept sufficientemente forte da essere sviluppato in un lungometraggio. Tanto che manca un vero collante a Falchi, un motivo che riesca a tenere desta l'attenzione dello spettatore, e l'indecisione sul tono da assumere (di tanto in tanto sono inserire scene d'azione abbastanza decontestualizzate) ne fanno un film con poca personalità. Un film perciò poco riuscito seppur non proprio brutto. Voto: 5
Neruda (Biografico, Argentina, Cile, Spagna, Francia, 2016): Sarà che conosco il poeta solo per nome, sarà che la mescolanza tra letteratura e cinema m'intriga e interessa poco, ma questa biografia di Pablo Larraín, mi ha lasciato una lieve sensazione di sconcerto. Di certo non mancano spunti interessanti (gli ingredienti per un film bello importante qui ci sono tutti), ma la mescolanza (seppur presentata con maestria e originalità) tra la biografia del poeta e gli stilemi di un noir degli anni '50, forse la narrazione che ibrida la ricostruzione della società cilena del '48 con una dialettica pirandelliana tra autore e personaggio, l'alternarsi di un registro "realistico" con spunti metaforici che rielaborano e dilatano le immagini fino ad accedere a una dimensione allegorica, proprio non mi ha convinto. La mia impressione infatti, è che siano stati mischiati male. Difatti ci si perde un po' in un mondo a metà tra quello del vate e quello del comunista fuggitivo, ed in questo perdersi la figura dell'inseguitore apparentemente subordinata a quella di Neruda (un uomo non propriamente "semplice") sovrappone un ennesimo piano ed un ennesimo mondo, il suo, che non si capisce quanto sia reale e quanto inventato. Non a caso non troppo semplice da intendere è la sceneggiatura in cui, nonostante buoni interpreti (anche se per colpa del personaggio mediocre è Gael García Bernal) l'impasto non sembra perfettamente riuscito, la sensazione è infatti quella di un ibrido dal sapore forte ma non armonico. Tuttavia, è un'opera coraggiosa e innovativa che conferma Larrain come un talento ormai consolidato (bellissimo era I Giorni dell'arcobaleno). Perché anche se non mi ha molto preso, il film non è stato del tutto malvagio. Voto: 5,5
mercoledì 28 marzo 2018
The Gifted (1a stagione)
A metà tra Agents of S.H.I.E.L.D. e Inhumans, fortunatamente con molti pregi della prima e pochi dei molti difetti della seconda, The Gifted, la serie televisiva statunitense creata da Matt Nix per Fox e basata sui personaggi degli X-Men dei fumetti Marvel Comics, prodotta da 20th Century Fox Television e Marvel Television, con Nix in qualità di showrunner e Bryan Singer (esperto del mondo degli X-Men) come regista, e ambientata nello stesso universo della serie cinematografica degli X-Men, discretamente convince e si fa sufficientemente apprezzare. Infatti, il primo impatto con The Gifted, anche con un primo episodio convenzionale ma godibile (che mette in scena un presente ancora più fosco per i mutanti Marvel e che nei primi 40 minuti trascinano lo spettatore in una corsa frenetica tra inseguimenti, poteri, effetti speciali e tanta azione), è decisamente positivo. Anche perché, entrando a gamba tesa in un mondo conosciuto, The Gifted non perde tempo a spiegare cosa sono i mutanti, da dove arrivano, dando per assodato quanto mostrato da anni dai film (senza menzionare ovviamente i fumetti). Inoltre la scelta di mescolare personaggi completamente inediti (e quindi da scoprire totalmente) a personaggi già noti crea un mix interessante e dall'alto potenziale. In più il ribaltamento di punto di vista tra chi dà la caccia e chi è cacciato, dà accesso a una serie di svolte narrative molto ampie, anche se in verità la storia scorre un po' altalenante nel corso della stagione, poiché ci sono momenti apprezzabili e altri invece un po' superflui e ridondanti, dando la sensazione (spesso) di staticità nella narrazione. Tuttavia le sorprese non mancano, giacché poco si conosce dell'universo cinematografico dei mutanti Marvel, che non ha una rigorosa continuity narrativa, e le sue avventure sono ormai frammentate in una timeline per lo più incoerente, o comunque non precisa e rigorosa come quella del Marvel Cinematic Universe.
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martedì 27 marzo 2018
Byzantium (2012)
Dai e nei tempi di Twilight, la leggendaria figura del vampiro è stata messa a dura prova, perché purtroppo per colpa di quella sciagurata saga (almeno personalmente poiché alcuni fan ci sono ancora e non vorrei mai denigrare i suoi estimatori) la sua figura è andata via via sempre più scemando, tanto che da allora ho visto pochi film e apprezzati ancor meno. L'icona del vampiro infatti da sempre sinonimo ed emblema universale di dannazione, perdizione, tormento, desolazione interiore, struggimento, diversità ed emarginazione, fu gettata in pasto alle fauci spalancate della sfera della cosiddetta "normalità", del conformismo, dell'happy ending a tutti i costi, purgando di fatto la figura del vampiro da tutti i suoi aspetti sensuali, conturbanti ed oscuri, e proiettandola al di fuori di un contesto realmente metropolitano. Non di meno, numerosissimi emulatori che sono seguiti, hanno altresì tristemente privato i loro "luminescenti" e innamoratissimi succhia-sangue di qualsivoglia speranza di autentico appeal, o valenza simbolica, da quel punto di vista, un vampiro (e idem dicasi per un lupo mannaro, o per qualsiasi altra creatura sovrannaturale in generale) altro non è se non un bonazzo (o una bonazza, chiaramente, a seconda dei casi) dagli occhioni languidi e l'atteggiamento remissivo. Per nostra fortuna, Neil Jordan, veterano regista di pellicole di ogni genere (e alcuni altri registi che si sono ultimamente distinti in questi termini), pur prendendosi diverse licenze (ad esempio viene accantonato il classico morso sul collo a favore di un'unghia acuminata), soprattutto perché racconta gli aspetti più duri di un'esistenza solo apparentemente senza fine, riesce a ridarle (senza scadere nel ridicolo) lustro, un quasi miracolo che riconsegna la mitologia vampiresca al regno del decoro e del buon gusto (anche se da 6 anni fa molto è cambiato). Perché Byzantium, film del 2012 diretto dal regista irlandese con protagoniste Saoirse Ronan e Gemma Arterton, basato sulla pièce teatrale di Moira Buffini "A Vampire Story", autrice anche della sceneggiatura, e prima pellicola facente parte delle mie promesse cinematografiche del 2018 (che sarà continuamente aggiornato, e che trovate qui), è un film sui vampiri fatto bene. Un film in cui le mie aspettative (seppur mi aspettavo qualcosa di ancor migliore) non sono state disattese.
lunedì 26 marzo 2018
Animation Weekend: Pets - Vita da animali, Rock Dog & Doraemon - Il film: Nobita e la nascita del Giappone (2016)
Dagli autori di Cattivissimo Me ed I Minions ecco Pets: Vita da animali (The Secret Life of Pets, letteralmente la vita segreta degli animali), film d'animazione del 2016 diretto da Chris Renaud e Yarrow Cheney. Questo nuovo cartone animato sugli animali domestici prodotto da Illumination Entertainment infatti, piuttosto leggero, privo di crudeltà e del tutto innocuo, ci racconta di svariati animali domestici (cani di varia razza e taglia, gatti, canarini, criceti, ecc...) i quali, non appena i loro padroni escono di casa per andare, si suppone, a lavorare, lasciati soli negli appartamenti, si scatenano nelle più strane avventure (in storie però prevedibili e banali). Poiché se vi aspettate qualcosa di originale e stupefacente, vi sbagliate di grosso. I registi, infatti, hanno realizzato un progetto prevedibile e banale, dove a farla da padrone è l'utilizzo di cliché. L'intento dei due sembra proprio quello di voler offrire al pubblico un lavoro classico, senza discostarsi troppo da altre pellicole animate. Divertente sì, ma basato su una sceneggiatura a dir poco ridicola in termini di trama. E' sempre la solita storia, da una parte abbiamo un cane domestico che si trova a dover convivere con un altro essere della sua specie (un cagnolone a metà tra Chewbecca e Boo di Monsters & Co.) e da questo evento prende forma la rivalità tra i due, come spesso accade anche nella vita reale e più in generale tra gli uomini. I due, in assenza della padrona, si troveranno a dover affrontare il cattivo di turno, unendo le forze e diventando così amici. Dall'altra parte, invece, troviamo una cagnolina innamorata di Max, che cercherà di salvarli dalle grinfie del coniglio bianco (che paura!), aiutata da un gruppo di animali. Insomma, niente di più banale, ma a sorprendere è il fatto che (nonostante la totale assenza di una sceneggiatura ben scritta) la pellicola sia in grado di far ridere con molta naturalezza. Sarà che in fondo ci sentiamo un po' tutti bambini dentro, ma certamente l'idea non è del tutto da buttare. I personaggi difatti, alcuni dei quali vengono poco approfonditi caratterialmente, sono molto diversi tra loro, ma sono tutti dotati di una certa forza espressiva.
venerdì 23 marzo 2018
La La Land (2016)
Premetto che il musical è il genere cinematografico che meno apprezzo, per il quale, solitamente, non ho il minimo interesse, tanto che non ne ho mai fatto mistero di questa mia avversione. Tuttavia nel corso degli anni alcuni li ho visti e li ho anche un po', anzi, abbastanza amati, non ultimo il discreto Les Misérables, senza dimenticare tra i pochi davvero apprezzati, Chicago, Moulin Rouge!, Mary Poppins, Sweeney Todd, The Blues Brothers e Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (ed alcuni altri di cui non ricordo il titolo), altri invece come Into the woods e soprattutto High School Musical tremendamente odiati. Poi ci sono quelli visti, che per alcuni sono oggettivamente (non solo soggettivamente) capolavori ma per me solo "interessanti". Perciò non che mi aspettassi granché da La La Land, film del 2016 scritto e diretto da Damien Chazelle, ma devo però ammettere che il suddetto, grazie a molti elementi, può tranquillamente far parte della prima categoria. Perché sinceramente, che cos'è un genere se non una semplice etichetta quando ci si trova dinnanzi ad una regia di certi livelli? Una regia che oltre a strizzare l'occhio ai grandi classici del genere e non solo, ha la capacità di integrare al musical puro (anche se fortunatamente a farla da padrone non sono le canzoni, che qui non sono assolutamente superflue e messe un po' a caso ma davvero, più che altresì meglio di altre occasioni, asservite alla narrazione) una storia solida e discretamente sfaccettata. Non a caso le due ore di musica che fa da contorno, non protagonista assoluta, alla bella, magica e credibile storia d'amore tra i protagonisti (che ha un finale non troppo prevedibile), passano piacevoli tra sogno e realtà. Proprio perché questo film è composto da elementi che messi insieme danno vita ad una storia semplice, reale ma che circondata da un'aura di magia grazie soprattutto alla chimica tra i protagonisti, alla fotografia (più tantissimi altri aspetti tecnici) e ad una regia fatta di piani sequenza che sono uno dei punti forti del film, si fa amabilmente apprezzare.
giovedì 22 marzo 2018
Autobahn: Fuori controllo (2016)
Partendo dalle cose essenziali, bisogna ammettere che Collide (come da titolo originale) non vuole essere un prodotto originale o innovativo, non cerca di essere un prodotto destinato ai cinefili di nicchia e nemmeno una pellicola per cui stracciarsi le vesti. Anche perché Autobahn: Fuori controllo (2016), prodotto da Joel Silver (e da quelli di Matrix e Sherlock Holmes) e diretto dal regista di Welcome to the Punch Ervan Creevy, è un'opera che sembra cercare costantemente il basso profilo, un action-romantico che vorrebbe essere un qualche cosa di diverso dalla massa ma finisce per somigliare a troppi altri film. Eppure questo film d'azione onesto che fa il suo dovere, senza annoiare, e che annovera tra i suoi punti di forza una regia vertiginosamente veloce e un ritmo serrato che cattura lo spettatore e lo catapulta al centro dello spettacolo, è un buon prodotto di puro intrattenimento abbastanza divertente da vedere nonostante alcuni evidenti difetti. Dopotutto gli ingredienti che costituiscono lo script sono quanto di più classici e prevedibili, droga, auto da corsa, soldi e due boss mafiosi pericolosi che si odiano a vicenda e tra i quali scoppia una faida. In mezzo aggiungete una love story che tenga incollato tutto insieme e che funga da motore per il protagonista, Nicholas Hoult, e se poi i boss mafiosi prendono rispettivamente i volti di Ben Kingsley e Anthony Hopkins il gioco è fatto. Ma poiché il film, basato su una buona sceneggiatura composta da pochi dialoghi alquanto diretti e inequivocabili, si erge sulla rapidità con cui le scene si susseguono, di tutti quei problemi non ci si fa caso, d'altronde Autobahn sembra solo voler rispondere alla banale domanda "cosa si è disposti a fare per la persona che si ama?".
mercoledì 21 marzo 2018
Geek League: La mia compilation Geek
Dopo un'assenza lunga più di un mese (qui la mia scheda e qui il mio oggetto geek), finalmente la combriccola dei Nerd/Geek fondata dal sempre attivo Moz, si è nuovamente riunita, ed ha deciso di proporre questa volta una minicompilation personale tematica generale (sigla telefilm, sigla cartoon, sigla programma tv, colonna sonora film, videogame). E poiché non potevo mica esimermi nel farlo e giacché l'idea mi è piaciuta fin da subito, mi trovo qui oggi a proporvi i 5 pezzi/stacchi musicali delle 5 categorie. Cinque canzoni o musiche che nell'intera mia vita hanno segnato indelebilmente la mia memoria e la mia esistenza, a cominciare dal cinema.
Sinceramente non è stato facile decidere e scegliere tra le tante pellicole mie preferite la "mia" colonna sonora,
tuttavia per semplificarmi la scelta ho "solamente" preso in considerazione una delle mie saghe, anzi, la mia saga preferita in assoluto,
e quindi il risultato non poteva che essere quella composta da Alan Silvestri
martedì 20 marzo 2018
The Handmaid's Tale (1a stagione)
In attesa della seconda stagione, che godrà presto di molte attenzioni (anche da me), perché eccezionale è stato il primo intermezzo, ho finalmente recuperato, grazie e tramite a TimVision (che manderà in onda da aprile il secondo attesissimo intermezzo) la prima stagione di The Handmaid's Tale, la serie televisiva statunitense del 2017 ideata da Bruce Miller, di produzione Hulu e basata sul romanzo omonimo distopico del 1985 dell'autrice femminista Margaret Atwood. La serie infatti (dai contenuti forti e spiazzanti) ha disorientato in positivo anche me, anche perché la suddetta si basa su di un mondo distopico davvero inquietante, oscuro e ambiguamente attuale, poiché se per noi maschiacci la serie può appartenere al filone del dramma distopico, per una donna (e per una madre soprattutto) The Handmaid's Tale (letteralmente Il racconto dell'ancella) fa presto a trasformarsi in un horror-psicologico-distopico, nel quale il mondo è diventato letteralmente un inferno, un mondo in cui a confronto quello di Mad Max è Mirabilandia. Una volta al mese difatti, il padrone di casa violenta la sua ancella durante la Cerimonia, un atto legale (anzi, perfino religioso) per ingravidarla, e se per caso l'ancella dovesse rimanere incinta, nove mesi dopo il figlio le verrà strappato senza tanti complimenti subito dopo lo svezzamento, il neonato così sarà affidato alla famiglia del patriarca, e lei spedita in un'altra casa, a farsi ingravidare da un altro patriarca. Tutto perché in un immaginario futuro non nascono quasi più bambini, e quindi le donne fertili (tenute nelle famiglie più abbienti, sostanzialmente come madri surrogato, ma completamente prive di libertà e della possibilità di esprimersi in qualunque ambito) vengono utilizzate per ripopolare il mondo. Tuttavia oltre ad una riflessione in questo senso davvero utile (d'altronde potrebbe questa distopia diventare realtà?), si parla anche di come la paranoia riesca ad influenzare il comportamento umano, di come la religione possa diventare l'arma dei governi per schiacciare le masse, di società anti-femministe e di rivoluzioni. Ma anche di amore, amore fra uomini e donne e amore fra madri e figlie. Il tutto raccontato attraverso impressionanti interpretazioni di molti (ora ma anche prima) grandi attori.
lunedì 19 marzo 2018
Il diritto di contare (2016)
Segregazione razziale, emancipazione e conquista dello Spazio, ecco le tre tematiche così apparentemente diverse che fanno da collante a questo "originale" e interessante (anche storicamente) film. Perché tutti questi temi ne Il diritto di contare (2016), titolo italiano dell'americano Hidden Figures (che gioca sul doppio significato Figure nascoste/Cifre nascoste) e diretto da Theodore Melfi (già regista del bel St. Vincent), non solo vengono trattati in modo appunto originale ma anche in modo convincente. Il film infatti, ben costruito, a tratti avvincente, e che ha il grande merito di trattare un argomento sgradevole e avvilente come quello del razzismo con una dose di ironia difficile da riscontrare in opere che trattano questo tema (senza per questo apparire superficiale o scontato), con grande abilità e maestria porta i riflettori sulla storia vera e inedita di tre brillanti donne afroamericane che sono riuscite a integrarsi e imporsi in un'ambiente tipicamente maschile (e maschilista) sfidando pregiudizi e discriminazioni razziali di ogni tipo. Anche perché il film, arrivato certamente con un tempismo perfetto per la data situazione politica e sociale che stiamo attraversando, non è il classico "pippone" sulle discriminazioni razziali e di genere, non ci sono scene di violenza agghiacciante, nessuno è schiavizzato e, soprattutto, la colonna sonora è super allegra. Tanto che già la prima scena del film setta il tono, i colori e lo spirito dei 120 minuti successivi, niente è come ci si potrebbe aspettare e di sicuro ci sarà da divertirsi. Questo grazie al regista che in tal senso confeziona una pellicola intimamente ottimista, riuscendo comunque a trattare con grazia e senza superficialità il problema dell'emancipazione sociale e della conquista dei pari diritti civili da parte dei cittadini afroamericani. Infatti, puntando la camera su tre eroine "sconosciute", il regista fa emergere tutte le caratteristiche brillanti e notevoli di queste donne (la loro tenacia, il coraggio, la perseveranza e la determinazione), evitando tuttavia di appesantire la pellicola con dosi abbondanti di retorica o moralismi che ne avrebbero snaturato il contenuto. Mantenendo sempre una debita leggerezza tipica della commedia, e sdrammatizzando alcune situazioni Il diritto di contare risulta così un prodotto pienamente riuscito, che racconta di una storia inedita e lo fa senza pietismi ma puntando piuttosto sul messaggio finale, intrinsecamente ottimista e costruttivo, che lascia agli spettatori.
venerdì 16 marzo 2018
Lion: La strada verso casa (2016)
Guardando il trailer del film la prima cosa che pensi (anche a distanza di un anno e più dalla sua uscita) è che ti ritroverai alla fine del film in una valle di lacrime, ed è stato per larga parte davvero così anche per me. La storia effettivamente è da lacrime. E infatti i miei occhi erano pieni di lacrime a causa della eccezionale narrazione, le fantastiche riprese, e le sbalorditive interpretazioni insieme a un finale mozzafiato. Giacché Lion: La strada verso casa (Lion), film del 2016 diretto dall'esordiente all'epoca Garth Davis, ora al cinema con Maria Maddalena, è veramente un film eccezionale. L'emozione che trasuda, la colonna sonora, la regia, le scenografie, e una sceneggiatura azzeccata, sono tutti aspetti che rendono Lion (candidato a ben sei Premi Oscar all'89esima edizione, vincendone però nessuno) un film basato su una storia vera fantastica. Ovvero la storia di Saroo, un bambino di cinque anni che va in giro a procurarsi cibo e beni (anche rubando) da scambiare o vendere per sostenere la famiglia con il fratello maggiore Guddu, ma che per pura fatalità si ritrova da solo e, spaventato e confuso, si ritrova dopo un lungo viaggio in treno nella caotica Calcutta, lontano un migliaio di miglia da casa. Cercando di sopravvivere alla vita di strada, finisce per essere adottato da una coppia di australiani che lo cresce con amore a Hobart. Non volendo ferire i sentimenti dei genitori adottivi, Saroo seppellisce il suo passato e il desiderio di ritrovare la madre e il fratello biologici. Un incontro casuale però (e grazie all'aiuto di un nuovissimo mezzo tecnologico come Google Earth può essere) riporterà a galla il suo sogno, facendolo imbarcare in una delle più grandi avventure della sua vita, anche se trovare quella stazione, quei luoghi, sembra una ricerca impossibile, e infatti i suoi umori e i suoi equilibri saranno messi a dura prova, almeno fino alla risoluzione del "giallo".
giovedì 15 marzo 2018
The Exorcist (2a stagione)
Dopo la più che discreta e sorprendente prima stagione (qui la mia recensione), ecco nuovamente tornare The Exorcist, la serie tv ispirata al terrificante mostro sacro del cinema horror del 1974, che con la seconda stagione conferma e non smentisce le sue peculiarità di una serie che è riuscita ad appassionare (anche inquietare e sconvolgere) molti spettatori, soprattutto gli amanti del genere, anzi, proprio quest'ultimi, che avevano sicuramente apprezzato il primo movimentato atto, in cui i nostri due eroi in talare e colletto bianco avevano fronteggiato una serie devastante di possessioni e un complotto demoniaco all'interno della Chiesa, erano i primi ad attendere con impazienza. È dunque per questa ragione che anch'io attendevo molto anche dalla seconda stagione che, tentando fin da subito una nuova formula scenografica, abbandonando i grattacieli e la neve di Chicago, per abbracciare il clima torrido, ma anche piovoso di un'isola semi-desolata, faceva però storcere un po' il naso. Tuttavia, nonostante la mancanza di nessi evidenti con l'intrigante storyline del culto di Chicago, esplorata appunto nella prima stagione, si faccia sentire di tanto in tanto, la nuova ambientazione delle avventure di Tomas (Alfonso Herrera) e Marcus (Ben Daniels) riesce immediatamente (e nuovamente) a inquietare lo spettatore. Anche perché nella seconda stagione di The Exorcist non sarà facile immediatamente intuire chi sarà il bersaglio del demone, come invece lo era stato nel caso della famiglia Rance, dato che stavolta si ha a che fare con più di una personalità facilmente attaccabile da un demone, che non sempre sceglie la stessa tipologia di vittima. Il Demone stesso stavolta si insidia in maniera differente dal solito che siamo abituati a vedere. Differente è anche il modus operandi di Padre Tomas e Padre Marcus nel combattere il Male. Imprevedibile è anche l'esito della battaglia (le conseguenze dello scontro saranno molteplici, per tutti i personaggi principali), perché a differenza della prima stagione in cui sin da subito si era capito dove saremmo andati a parare con l'esorcismo della giovane Casey Rance (che avrà ancora qualcosa da dire a Padre Tomas nel finale di stagione), in The Exorcist 2 la trama principale si delinea dopo un po', intrecciandosi non da subito con la vicenda dei due padri esorcisti. La vicenda di Andy e della sua famiglia allargata infatti arriva in un secondo momento al centro della storia.
mercoledì 14 marzo 2018
Florence (2016)
Una storia ironica e molto divertente che ci restituisce un personaggio (poco conosciuto) che ha vissuto per il teatro e la musica e che sognava di potersi esibire sul palcoscenico nonostante l'evidente carenza di intonazione, questo è Florence (Florence Foster Jenkins), film del 2016 diretto da Stephen Frears. Il film infatti, tratto da una storia vera, come fu per il controverso ma discreto The Program e come spesso è insito nella filmografia del regista britannico, che non stupisce di certo per l'interpretazione di Meryl Streep, che già aveva dato mostra delle sue doti nell'interpretare la vecchiaia e la malattia, racconta la storia del soprano statunitense priva di doti canore, che aveva ispirato anche Marguerite di Xavier Giannoli (uscito l'anno prima e che ultimamente ho scartato), che riuscì ad esaudire il sogno di esibirsi in pubblico, nientemeno che al Carnegie Hall. La storia difatti e il film stesso (che nell'eleganza e nella struttura scenica e interpretativa è assolutamente riuscito), che sebbene sembri surreale nella sua trama nonostante riporti una storia vera, ci restituisce l'incredibile e grottesca biografia di una donna dal cuore d'oro, che cantava col cuore. Ottimista, malgrado la sventura di un primo matrimonio fallimentare, che le aveva lasciato come "regalo" solo la "sifilide" causa di danni articolari gravi, che le impedirono di coltivare la sua prima passione per il piano (e di avere figli), si dedicò quindi, alla morte del padre, che le aveva lasciato un ingente eredità, al canto lirico. E nonostante Florence sia completamente stonata e inadeguata, riesce a conquistare tutti con la sua passione che rende l'impossibile possibile. Lei infatti, nonostante i piccoli inganni del marito che a sua insaputa "compra" il pubblico e grazie all'approdo fortunoso del suo disco alla radio, allietando i militari che cercano distrazione in teatro durante le loro "pause" dalla guerra e dalla tragedia, conquisterà tutti, critici compresi, con un memorabile ultimo concerto.
martedì 13 marzo 2018
[Tag] My last 5 travels
Se frequentate il mio blog da tempo o più semplicemente mi seguite sui social, sapreste che oggi è il mio compleanno (ben 33 candeline, anche se spiritualmente ne ho la metà), ma mentre gli altri (due) anni ho proposto semplici pensieri e parole ed altresì alcune novità o cambiamenti riguardanti il blog e non solo, qui e qui, quest'anno ho deciso di proporvi un tag visto molto tempo fa sul blog della viaggiatrice Anna di Profumo di follia e di cui solo adesso, anche se non c'era nessun vincolo e non c'è tuttora (non fui nominato e nessuno poteva, il blog verrà infatti molti mesi dopo), anche perché è un post abbastanza vecchiotto (di 3 anni fa), ho deciso di "partecipare", ovviamente con alcuni miei piccoli accorgimenti. Innanzitutto è utile spiegare il tag stesso, intitolato My last 5 travels, che non vuol dire letteralmente che vi parlerò degli ultimi cinque viaggi che ho fatto, ma, riportando le parole delle creatrici ecco in che consiste questo interessantissimo tag: "L'idea di base è più o meno questa: avete a disposizione cinque viaggi, solo cinque. Dopo di che non ci saranno più né trolley da preparare né aerei da prendere, nessuna nuova meta. Insomma, quali mete scegliereste se sapeste che queste cinque destinazioni saranno le ultime che raggiungerete?". Inoltre ecco le regole, simili a tante altre, anche se non le seguirò in tutto e per tutto: 1) scegliere le 5 mete prescelte (ci sarà invece anche un bonus); 2) Taggare altri 5 bloggers e comunicare loro il tag (non taggherò nessuno, tutti sono liberi di partecipare, anche se a chi deciderà di partecipare chiedo di essere almeno citato come "fonte"); 3) Condividere il proprio post sui social (facebook, twitter ecc.) con l'hashtag #mylast5travels (questo invece lo seguirò). Infine però e prima di partire un presupposto importante, io nella mia vita ho viaggiato prevalentemente, tra gite, vacanze e controlli medici, in Italia, l'unica escursione estera è stato quando sono andato due volte a San Marino, e quindi le tappe che mi sono prefissato di raggiungere o anche solo assaporare in questo post, e in cui credo non andrò mai, sono state da me scelte soprattutto grazie ad esperienze cinematografiche che altro, tuttavia non del tutto.
lunedì 12 marzo 2018
La battaglia di Hacksaw Ridge (2016)
Il grande ritorno alla regia di Mel Gibson, a dieci anni da Apocalypto, a dodici dal controverso ma eccezionale La passione di Cristo e a quasi 23 dal capolavoro Braveheart che gli valse anche un meritato Premio Oscar, è una singolare, incredibile ma straordinaria storia di sangue e fede in cui alla violenza della guerra (la battaglia in questione si svolse sull'isola di Okinawa e fu, come altre con i giapponesi, tra le più cruente della guerra) si contrappone la forza della coscienza di un uomo, illuminato dalle sue convinzioni, tanto più forti perché ancorate a un Oltre capace di dar senso alla morte così come alla vita. La battaglia di Hacksaw Ridge (Hacksaw Ridge) infatti, film del 2016 diretto dal regista australiano, racconta la storia vera di Desmond Doss, soldato (pacifista ed obiettore di coscienza) che per ragioni di fede rifiutò di usare le armi, ma che con il suo coraggio salvò la vita di 75 compagni durante la sanguinosa battaglia di Hacksaw Ridge. Perché quello poteva essere un racconto edificante di pacifismo e di rifiuto della guerra (cosa per il quale molti l'avranno forse scambiato) si dimostra invece ben presto di ribaltarsi nel suo contrario, giacché il film, non un film pacifista, ma nemmeno un'apologia della guerra fine a sé stessa, è un film che attraverso la guerra vuole porre un problema di etica e di posizione soggettiva. Attraverso la figura di Desmond Doss difatti, la figura dell'antieroe per eccellenza, la pecora nera alla quale chiunque di noi si affeziona per un motivo o per l'altro, Hacksaw Ridge, altresì un'opera audace e coraggiosa, osa andare controcorrente, sfidare l'establishment del rigido e rigoroso esercito americano, ed in un certo senso osa sfidare un'intera filosofia sociale, militare e politica. Perché Desmond appunto, fervente religioso (avventista Cristiano), che matura presto la ripulsione verso qualsiasi forma di violenza, fisica e psicologica, che tiene sempre vicino la Bibbia come bussola per non smarrire i propri principi e valori, e rifiutandosi perciò di impugnare, e tantomeno usare, una qualsiasi arma, rifiutandosi altresì di completare l'addestramento militare armato e restando fermamente ed irremovibilmente convinto di tener fede al comandamento biblico "non uccidere" (neppure quando si tratta del nemico, la guerra del resto non si limita al portare via delle vite ma anche a salvarle) sceglie di servire la sua Nazione e difendere i suoi connazionali e ideali, in un modo completamente nuovo e rivoluzionario rispetto al mondo che lo circonda.
venerdì 9 marzo 2018
T2: Trainspotting (2017)
Era il 1996 quando nelle sale usciva Trainspotting, pellicola diretta da un giovane ma già talentuoso Danny Boyle (che negli anni a venire vincerà meritatamente un Oscar per The Millionaire). Il film, tratto dall'omonimo romanzo dello scozzese Irvine Welsh, segnò un'intera generazione portando sullo schermo in modo del tutto originale ed inedito le vicissitudini di un gruppo di ragazzi di Edimburgo, uniti non solo dall'amicizia ma soprattutto dalla comune dipendenza dall'eroina. In un mix originalissimo infatti, si intrecciavano appunto le vicende di quattro personaggi, alle prese con problemi di dipendenza, violenza, microcriminalità, sentimento e morti paradossali ed inquietanti e al centro protagonista assoluta l'eroina, con tutti i suoi annessi e connessi, aveva anche un passo e un tratto assolutamente originali, soprattutto per il tema trattato. Potente e smodato, estremo in tutti i sensi, con una colonna sonora convulsa e frastornante, perfettamente in linea, con quella storia di tossicodipendenza, fuori dalle righe e dai cliché. Il sequel (del 2017) con lo stesso regista, intitolato T2: Trainspotting, che riprende la storia dei quattro personaggi, dopo vent'anni, non ha però più niente del tono dissacratorio e trasgressivo della pellicola precedente. Perché certo, Boyle ci fa rivivere le suggestive atmosfere che ci avevano affascinato e coinvolto nel primo film (che io personalmente comunque non ritengo un mio cult, anche perché a rivederlo oggi, per la prima volta da quando è uscito nel 1996, è un film di bruttezza epocale, e poi a parte alcune "incredibili" scene poco lo si ricorda), ma questo sequel molto meno irriverente e scorretto del primo, altresì più operazione commerciale che nostalgica, non è un film completamente riuscito. Perché anche se tuttavia la nostalgia è perennemente presente in questo secondo episodio (ben costruito senz'altro, ma, al contrario del primo, troppo conformista), quest'operazione nostalgia non arriva ai fasti dell'originale, vive certamente di momenti, di qualche lampo ma la trama complessiva non convince.
giovedì 8 marzo 2018
Victoria (2a stagione)
Dopo una sorprendente perché affascinante e non noiosa prima stagione (qui la mia recensione), è tornata, e nuovamente in 8 puntate più uno speciale di Natale, la serie tv di Laeffe sulla leggendaria Regina Vittoria. Una seconda stagione di Victoria che, tra nuovi protagonisti, dolorosi addii e colpi di scena, si conferma piuttosto riuscita (tanto che seppur continui a non essere nelle mie corde, vorrei tanto vedere altre stagioni perché questo è comunque davvero un buonissimo prodotto). La serie infatti non ha perso nulla rispetto alla prima stagione, mantenendo un livello davvero alto e gli ascolti, molto soddisfacenti, lo hanno dimostrato. Primo fra tutti, il cast ha confermato la propria bravura, se non superata. Jenna Coleman e Tom Hughes hanno difatti dato (forse per colpa di una certa complicità bella e vera che lega i due attori) interpretazioni magistrali nei panni della Regina e del Principe Consorte. Inoltre la sceneggiatura, nonostante qualche licenza, si dimostra storicamente accurata, e costumi e ambientazioni (come anche la fotografia mozzafiato) riflettono una cura per i dettagli e un'accuratezza che permettono di immergersi completamente nelle vicende. Le vicende che, seppur la storia ha già scritto la parola fine, ha sempre regalato contenuti eccellenti, miscelando le vicende reali con quelle della servitù, garantendo così non solo una mera (ed ovviamente un po' romanzata) biografia della sovrana inglese ma anche un occhio di riguardo sulla vita delle persone che la circondavano. D'altronde questa è una di quelle storie dove è il modo in cui vengono raccontate a fare la differenza, la personalità dei personaggi e le loro relazioni sono il motore portante dello spettacolo. Tuttavia, non solo alcune di queste storie non vengono approfondite come si deve, ma la stagione ha evidenziato (soprattutto nella puntata conclusiva della stagione) alcuni difetti che ne hanno leggermente precluso un giudizio migliore finale.
mercoledì 7 marzo 2018
Baywatch (2017)
In piena tendenza con i revival che stanno riportando a galla tutti i culti televisivi e cinematografici degli scorsi decenni (poiché purtroppo Hollywood può tutto), ecco Baywatch, il film basato sull'omonima serie tv anni '90 che racconta le avventure dei bagnini guidati da David Hasselhoff alias Mitch Buchannon. Poteva infatti mancare Baywatch fra i tanti franchise da trasporre al cinema? No, ma avrei preferito di si. Non perché tenga particolarmente a cuore quella serie, ma perché dopo il deludente e davvero mediocre reboot di CHiPs, anche in questo adattamento i toni si fanno ben più demenziali, mentre l'umorismo cresce d'intensità fino a sfiorare la parodia. La serie originale era molto kitsch certo, ma si prendeva relativamente sul serio, perché pur avendo elementi da commedia, non scivolava mai nell'autoironia. Il film dell'esperto del genere Seth Gordon (Come ammazzare il capo… e vivere felici, Io sono tu) all'opposto infatti (la cui cifra stilistica verte al surreal-demenziale con qualche sterile gag volgarotta e una lieve exploitation che non sfocia mai nel nudo gratuito), predilige appunto l'umorismo smaccato anche quando affronta gli snodi drammatici, con i suoi intrecci criminosi che sfociano in situazioni comiche o paradossali. Il risultato è che riprendendone gli spunti non si fa altro che replicarla, aggiornando ovviamente (e solo) il reparto gnocca, cosa che, per carità, fa molto piacere, ma è forse davvero poco e/o troppo. Si certo, i tempi cambiano e questo film ne è un lampante esempio, ma questo Baywatch è tamarro, scontato, semplicistico e volgarotto, basilare e sessista. Tuttavia poiché il suddetto non si vergogna di essere proprio ciò appena descritto, e poiché sa dove vuole arrivare, arrivando abbastanza bene e dicendo bene quel (molto poco) che vuole dire, è da premiare l'onestà del regista, che riesce in ogni caso anche elevando all'ennesima potenza il materiale di partenza, a mettere in piedi un film onesto e divertente (scoppiettante), certamente sopra le righe, come detto frivolo, sboccato e volgare ma mai compiaciuto, coerentemente divertente.
martedì 6 marzo 2018
I vincitori e le mie considerazioni su i Premi Oscar 2018
Alla vigilia degli Oscar avevo già intuito (altresì pronosticato in questo post) che sarebbero stati almeno 3/4 i film a vincere più premi, e invece come a sottolineare la diversità e la dispersione di voti dovuti a molti eccezionali film in lista, sono state ben 6 le pellicole candidate a questi 90esimi Premi Oscar a vincere (cosa abbastanza sorprendente e leggermente inusuale, anche se c'era d'aspettarselo) minimo 2 statuette. Altresì alcune sorprese i suddetti hanno generato (dettagliatamente le scopriremo tra poche righe), seppur tuttavia hanno vinto molte "mie" seconde scelte e prime scelte di molti. In ogni caso son contento di aver azzeccato, nonostante i soli 5 film visti e e nonostante ho solo letto e visto recensioni e foto dei film candidati, esattamente la metà dei premi in palio, ovvero 12 su 24. Innanzitutto tra i miglior film è utile sottolineare che erano soprattutto due i film a contendersi la vittoria, se non lo è stato Tre manifesti a Ebbing, Missouri, che si deve accontentare (si fa per dire) di vincere con due premi agli attori a Sam Rockwell e Frances McDormand (che si contendeva il premio proprio con la protagonista femminile Sally Hawkins del suo rivale e mio pronostico), è stato The Shape of Water, il trionfatore della serata (rivista in differita ieri pomeriggio) con ben 4 premi, meritato quello come miglior regista ad un Guillermo Del Toro tutto cuore, come anche quello a Alexander Desplat per la miglior colonna sonora originale, mentre personalmente abbastanza sorprendente è quello per la miglior scenografia, anche perché rispetto a Dunkirk, che giustamente si è aggiudicato ben 3 premi tecnici (sui 4 da me pronosticati, Montaggio, Sonoro e Montaggio Sonoro) e Blade Runner 2049 (un peccato soprattutto perché c'era anche un'italiana tra i scenografi), che non avuto rivali nella fotografia e che è riuscito a battere sia Kong ma soprattutto Guardiani della Galassia Vol. 2 negli effetti visivi (cosa che mi ha lasciato un po' perplesso pensando anche a Doctor Strange), aveva un'ambientazione più "semplice", di spazi più chiusi che aperti, di meno spettacolarità, ma tant'è va comunque bene.
lunedì 5 marzo 2018
Ghost in the Shell (2017)
E' qualcosa che non faccio quasi mai (vedere o scoprire le origini di un prodotto o di una pellicola), ma poiché mai come in questo caso, come in occasione del live action di Ghost in the Shell, lo storico anime di Mamoru Oshii del 1995 (a sua volta trasposto dal manga di Masamune Shirow del 1989), non potevo non vedere l'originale e il suo sequel, dato che non l'avevo mai visto. Sì, vi sembrerà strano ma non mi aveva mai attirato e in seguito non l'ho mai recuperato, in ogni caso l'ho visto e mi è moderatamente piaciuto (entrambi, anche se più il primo). Moderatamente perché, se da un lato l'anime Ghost in the Shell, uno straordinario prodotto cyberpunk di indubbia potenza e qualità, mi ha conquistato con il suo appeal visivo, ricco di dettagli e sfumature decisamente accattivanti, compresa una colonna sonora davvero azzeccata, essa non l'ha fatto nel suo tema principale, ovvero le implicazioni filosofiche, morali ed intellettuali, che certamente mi sono arrivate, ma che non mi hanno entusiasmato perché prolisse ed anche un po' noiose (soprattutto nel suo sequel L'Attacco dei Cyborg, dove l'azione latita parecchio). E quindi pur facendo forse un torto ai fan storici del franchise (che probabilmente saranno rimasti delusi), devo, soprattutto soggettivamente parlando ammettere che, questa versione del 2017 diretta dal semi sconosciuto Rupert Sanders, regista del solo passabile fantasy Biancaneve e il cacciatore, seppur tradisce la profondità di contenuti per privilegiare l'esperienza visiva ed essere accessibile ad un pubblico più vasto, mi ha convinto proprio perché elimina in parte (perché non poteva ovviamente rinunciare in toto ad una riflessione morale sul ruolo etico della scienza) sia l'aspetto filosofico che le parti più "morte" dell'originale (miscelando con cura e abilità scene del primo e del secondo anime di Oshii e aggiungendoci altresì piccole modifiche personali). Il film infatti, semplificando il messaggio esistenziale delle opere originarie e concentrandosi sul versante visivo, e proponendosi perciò come pellicola di mero intrattenimento, regala un'esperienza videoludica e filmica (molto) appagante, interessante e coinvolgente.
venerdì 2 marzo 2018
Gli altri film del mese (Febbraio 2018)
Come avevo promesso giorni fa, dovevo oggi, dopo aver parlato degli aspetti negativi del mio mese di febbraio, parlare delle cose positive successe, ma al di là di qualche piccolo passo in avanti nella vendita della casa della mia defunta e adorata nonna e dell'arrivo della pensione a mio padre, che dopo tanti piccoli intoppi (relativi anche direttamente dall'Inps) tarda ancora ad arrivare (si spera ora ad Aprile), di veramente bello non è successo praticamente niente. Quindi non mi resta, anche se con due giorni di ritardo, dovuto soprattutto alla chiusura delle mie visioni pre-Oscar e poi ai pronostici relativi alla serata in questione, di farvi un resoconto degli altri film visti nel mese di febbraio oltre ai peggiori. Un mese di interessanti sorprese e godibili visioni, dove da segnalare c'è un bel documentario visto in prima visione su Sky Arte, Back in Time, ovvero il documentario "definitivo" sulla trilogia del Ritorno al Futuro. Peccato che, seppur bello è stato rivivere emozioni, ascoltare le interviste ai protagonisti (anche alla troupe di realizzatori) e rivedere alcune famose scene (nonostante e senza il doppiaggio originale), il suddetto, diretto da Jason Aron, si concentra poco sulla trilogia in questione, indagando solo marginalmente nei retroscena della realizzazione della popolare trilogia fantascientifica, dando così forse troppo spazio a molti fan. Comunque non male ma neanche bene, solo sufficientemente interessante.
giovedì 1 marzo 2018
Le altre serie tv (Febbraio 2018)
Se c'è una regola universale a cui tutte le serie tv sono sottoposte è quella secondo cui una seconda stagione non sarà mai (ad eccezione di rari casi) emozionante come la prima. Figuriamoci una terza, o una quarta. Eppure quando un prodotto come Agents of S.H.I.E.L.D., riesce ad ingranare la marcia giusta, creando il giusto mix di personaggi, trame e humor, mantenendo alto il livello della serie stessa, nonché l'interesse dello spettatore, tutto è possibile. E infatti questa quarta stagione (che prosegue le vicende lasciate in sospeso nella terza, qui la mia recensione), mi è sembrata un gradino sopra alle precedenti tre. Anche perché la serie, quantomeno per due terzi del suo (nuovo) percorso, ha regalato sorprese e ha confermato il trend positivo di una serie partita in sordina ma che nel corso degli anni è diventato (almeno personalmente) un punto fisso. Se la prima stagione era stata infatti un'assoluta novità, e mentre invece la seconda soprattutto meno la terza stavano, per colpa di una certa ripetitività, prendendo una brutta piega, la quarta stagione difatti, pur insistendo ancora sul fattore "Inumani" (comunque molto meglio descritti che nella pessima serie omonima), e virando verso personaggi Marvel di grande spessore e appeal, riesce con ritmo e adrenalina, con la spettacolarità delle sequenze, a farsi molto apprezzare. Anche se forse è grazie alla geniale suddivisione (narrativa) in tre parti, Ghost Rider (di 8 puntate), LMD (di 7 puntate) e Agents of Hydra (di 5 puntate) e con due puntate di epilogo, ma tutti comunque accomunate da un singolo elemento unitario (il Darkhold, un leggendario manoscritto che custodisce segreti indicibili e, soprattutto, devastanti) che ciò soprattutto accade. L'idea (vincente) infatti non solo ci permette di vedere molte più cose ma permette di rendere la visione meno complessa e più compatta, ma soprattutto più imprevedibile. Peccato solo che, nonostante attendevo questo momento con trepidazione (perché il suo personaggio mi ha sempre molto intrigato e affascinato), la parte che ha coinvolto la guest star Gabriel Luna nei panni del Ghost Rider, è stata la meno interessante da seguire. Perché nonostante proprio questo intermezzo faccia risaltare gli effetti speciali impressi proprio nel demonio dalle catene infuocate e dal volto scheletrico (giochi di prestigio non comuni per una serie tv, decisamente di più alto livello rispetto agli standard a cui siamo abituati sul piccolo schermo) il suo background non viene minuziosamente esplorato, e viene perciò poco utilizzato e non benissimo.
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