E' giunta a conclusione la decima stagione di The Walking Dead, e questa volta per davvero. La serie televisiva sugli zombi più celebre dell'ultimo decennio si è infatti regalata eccezionalmente (ancora per colpa della Pandemia e il conseguente blocco della storia dopo l'emergenza) una terza tranche di episodi che, a dispetto delle intenzioni iniziali di chiudere l'agonizzante show della AMC, doveva fare da ponte all'undicesima e, salvo ulteriori sorprese, conclusiva stagione. Peccato che nella loro totalità le puntate non vanno ad aggiungere molto, anzi si lasciano andare a digressioni sui singoli personaggi, ai loro rapporti e passato. Per farla breve, sono tutte praticamente inutili. Difatti tutti gli episodi di questo terzo atto della decima stagione sono filler che non portano avanti la storia di un solo passo, bensì si soffermano, come se ce ne fosse ancora bisogno, sul passato dei personaggi, sui conflitti interiori e sulle dinamiche a due (ovviamente tramite l'insistito uso dei flashback, imbarazzanti nel caso di due ridicoli episodi). E così dopo l'attacco ad Alexandria e la dipartita di Alpha per mano di Negan (nella prima tranche) e la fine dei sussurratori (nella seconda), ciò che si sceglie di esplorare in questi sei episodi riguarda le macerie interiori che questo conflitto sanguinoso ha lasciato sui protagonisti e si accenna vagamente a quello che potrebbero essere le linee guida della narrazione a venire. A tal proposito al contrario di altre occasioni, proprio per l'irricevibilità di questi episodi (episodi che fanno sì che ci si ritrovi al vero finale di stagione con un pugno di mosche e tanto tempo perso sul groppone), è venuta a mancare la creazione dell'attesa, che pure nelle stagioni più sonnolenti era garantita, e questo è decisamente un bel problema. Poco interesse (non solo mio) difronte quindi alla (si spera) conclusiva (e per davvero) stagione, ma sfuggirli (ahimè) non potrò, io purtroppo devo. Nel frattempo da vedere c'è stato (ecco), c'è e ci sarà.
The Man in the High Castle (1a stagione) - Il complotto contro l'America? Niente in confronto a questa serie che, adattandosi quasi fedelmente al romanzo ucronico La svastica sul sole di Philip K. Dick (per quanto ne so non avendolo letto), ci immerge in una realtà alternativa ancora più spaventosa, quella in cui gli Alleati hanno perso la guerra e in cui conseguentemente la Germania domina gran parte del mondo, assieme agli alleati del Giappone. C'è anche però una zona neutrale in cui la Resistenza cerca di organizzare una sorta di rivoluzione, sicuramente una riscossa da parte del popolo oppresso e questo soprattutto grazie ad una serie di film che fanno vedere una realtà diversa da quella a loro conosciuta (quella vera) e che devono essere consegnati a "L'uomo nell'alto castello". Serie interessante e di grande impatto scenico, l'argomento della vittoria dei nazisti e dei giapponesi nella seconda guerra mondiale, è una bella base di partenza e la serie riesce a mantenere vivo l'interesse, anche se talvolta la credibilità viene leggermente meno, con situazioni che potevano essere gestite meglio, cercando un po' troppo il colpo di scena. Sicuramente ci sono dei risvolti melodrammatici, una sorta di storia d'amore a tre, ma, per fortuna, questo resta comunque sullo sfondo perché è la storia, la "vera" storia, a tenere incollati allo schermo gli spettatori, o almeno, questo è quello che è successo a me. Tra tutti i personaggi spicca sicuramente il nazista John Smith alias Rufus Sewell, un cattivo fatto davvero bene, un "bad to the bone" che si fa volere bene (porca miseria). Anche il Trade Minister giapponese (Cary-Hiroyuki Tagawa) ha il suo perché, non si capisce, in questa prima stagione, quale sia il suo ruolo né quali siano i suoi reali scopi, ma è impossibile non affezionarcisi e non guardare con occhio curioso la sua spiritualità. Oltretutto a lui viene affidata nel finale di stagione il colpo di scena più sorprendente e carico di interrogativi. Gli sceneggiatori decidono infatti, forse consci del fatto che nella seconda stagione non potranno più contare sullo spunto iniziale offerto dal romanzo di Dick, ormai superato dagli eventi mostrati negli episodi, di rischiare parecchio sul piano della credibilità con un finale aperto che contrasta con l'andamento sostanzialmente realistico degli episodi precedenti. Assumerà più decisamente i caratteri di un'opera fantascientifica (Fringe, X-Files) o preferirà seguire le orme fantasiose ed esoteriche di Lost? Chissà, comunque tra i tanti paradossi, sono i personaggi principali (Juliana, Frank e Joe, rispettivamente Alexa Davalos, Rupert Evans e Luke Kleintank) ad interessare di meno, forse per le dinamiche ripetitive che li vedono protagonisti in un continuo attrarsi per poi respingersi. Nonostante ciò e nonostante uno svolgimento non sempre centrato, The Man in the High Castle è una gran serie, è questa una spettacolare prima stagione, una prima stagione interessante, a mio avviso ben fatta, ricca di suspense e ansia, che non mi ha mai annoiato e che non vedo l'ora di continuare con la seconda stagione. Voto: 7,5