Eccoci arrivati all'ultimo appuntamento della rassegna filmica istituita per non lasciare nessun film indietro, e per chiudere come si deve, ecco il genere commedia, che brillantemente quest'anno si è fatta discretamente valere. Come la protagonista anche io non sono indifferente al fascino del Giappone (e dell'estremo oriente in generale) ed anche se non ho quasi mai approfondito o assecondato il mio interesse, seppur ho visto tante pellicole, orientali più che giapponesi (animazione e wuxia), questo film del 2014 di Stefan Liberski ha avuto il merito di riaccendere questa passione dormiente, che ultimamente ha avuto altresì un picco per la visita, e quindi il racconto fotografico e non, di due blogger che ci sono state pochissimo tempo fa. Perché anche se Il fascino indiscreto dell'amore (Tokyo Fiancée), è una gradevole commedia romantica, forse adatta più ad un pubblico femminile, è comunque capace di accontentare tutti, mostrando sentimento e passionalità tali da rendere tutto molto scorrevole, coinvolgente e godibile. Denso di avvenimenti seppur al contempo un po' ridondante, questo è un film infatti ad ogni modo (e a suo modo) assai godibile, dato che si ride e ci si commuove in egual misura. Giacché il racconto, questo racconto (per niente stucchevole) tratto dal romanzo "Né di Eva, né di Adamo" di Amélie Nathomb, della singolare scoperta dell'amore da parte di una giovane donna belga in Giappone, tra le gioie e i dolori del toccante scontro culturale tra Oriente e Occidente, scivola via senza grossi problemi. Il film infatti, nell'ambito di una produzione Belgio, Francia, Canada, girato tutto in Giappone, che ha per protagonisti la giovane attrice belga Pauline Etienne, e dall'attore giapponese Taichi Inoue, è piacevole per la delicatezza con cui la storia sentimentale tra i due protagonisti viene raccontata e presentata, e pertanto essa risulta sicuramente piacevole.
Dopotutto per quanto non si addentri profondamente nell'anima del Giappone, il film (una commedia dal sapore agrodolce, molto simile al Il favoloso mondo di Amélie per frivolezza narrativa e leggerezza emotiva) riesce a comunicare perfettamente allo spettatore il concetto dell'impenetrabilità e della distanza che separa una persona occidentale da quella giapponese, descrivendo il paese ed i suoi abitanti in un modo quasi "macchiettistico" per ciò che concerne le loro usanze. Si intuisce benissimo che il Giappone è molto di più di quanto mostrato nel film, ma questo poco importa e la maniera, forse un poco superficiale con cui esso viene rappresentato, serve solo, appunto, a sottolineare la sua impossibilità a farsi conoscere. E pertanto Amélie (interpretata da una fascinosa Pauline Etienne, forse più concreta e meno sognatrice di quella interpretata da Audrey Tatou nel film di Jeunet, anche se entrambe hanno in comune non solo l'avvenenza ma anche il garbo e la ricerca dell'amore, con tutti i dubbi e gli imprevisti che comporta) ne uscirà delusa e sconfitta, sebbene arricchita (maggiore coscienza del suo ego e della sua cultura) e sempre in ammirazione. In quanto è pressoché impossibile immedesimarsi, imparare completamente e soprattutto capire a fondo l'anima delle "leggi" comportamentali in base alle quali il popolo giapponese regola e concepisce la propria esistenza. La sua invece subirà scosse improvvise da una lunga passeggiata in montagna, la catastrofe di Fukushima (ripresa dal vero nel 2011 dalla troupe di Liberski), oltre una improvvisa richiesta di matrimonio di Rinri (interpretato in modo convinto da Taichi Inoue, apparentemente romantico, ma inconsciamente misterioso e realisticamente responsabile) che cambierà il suo destino e la sua visione del mondo. Il fascino indiscreto dell'amore è quindi un opera ben condotta, con narrazione incalzante e ritmata dai pensieri figurati della protagonista, dove le musiche sostengono adeguatamente le sfumature emotive di quello che per la Amélie di Pauline Etienne (perfetta, determinata e compostamente euforica e simpatica all'inizio, poi spaesata e alla ricerca di ciò che non riesce a trovare) è una sorta di romanzo di formazione. Insomma un buon film, con splendidi paesaggi (che certamente piaceranno ai "nippofili"), bella fotografia e sceneggiatura comunque senza buchi, forse pecca un po' nel ritmo soprattutto nella seconda parte e forse ha delle situazioni un po' ambigue che vengono lasciate senza grande approfondimento, ma alla fine dei conti la storia (con un finale coerente e malinconico) si sviluppa bene e lascia soddisfatti senza bisogno di artifici vari. Voto: 6,5
Dopo tanti film italiani dignitosi (seppur non del tutto memorabili ma parecchio buoni) visti durante l'anno e di quelli anche troppo scemi usciti al cinema, finalmente una discreta commedia ben sviluppata, comica quando deve far ridere (e la sceneggiatura, comunque non eccezionale, sfrutta bene tutte le occasioni), anche con un suo significato e con due grandi interpreti come Kasia Smutniak (lo ammetto, ero un po' prevenuto nei suoi confronti) e Pierfrancesco Favino, capace come pochi di essere credibile sia come comico sia nei momenti più seri, senza mai cadere nella macchietta. Moglie e marito infatti, commedia del 2017 diretta da Simone Godano, senza troppe pretese, con una morale scoperta ma non pesante, dove per capirsi bisogna acquisire anche il punto di vista di chi si ha accanto, e nonostante la non originalità, anche se la stessa non è difatti la base del film, è una buona commedia, divertente il giusto e nel suo piccolo, una piacevole sorpresa. Perché anche se l'idea dello scambio di cervelli, o identità cerebrale, non è nuova, anzi, ce ne sono tante di commedie americane che trattano lo stesso argomento, e anche se se non è originale nemmeno l'asse portante vero della storia, cioè il rapporto di coppia in crisi che genera allontanamento e ribaltamenti in corsa, non è un film così banale come sembrerebbe. Poiché quello che si apprezza in questo film, che narra come detto la storia di una coppia di coniugi in crisi che dopo un esperimento scientifico di Andrea (geniale neurochirurgo che porta avanti una sperimentazione sul cervello umano) si ritrovano improvvisamente uno dentro il corpo dell'altra, Andrea è Sofia (un'ambiziosa conduttrice televisiva in ascesa) e Sofia è Andrea, e dove da quel momento non avranno altra scelta se non quella di vivere ognuno l'esistenza e la quotidianità dell'altro, è la capacità e la voglia di intrattenere con brio e ironia, nonostante delle caratterizzazioni incomprensibilmente forzate e gonfiate ad arte per gag dalla facile risate che però sembrano funzionare (non si capisce infatti perché un neurochirurgo debba avere il comportamento di un coatto e una donna apparentemente decisa e dinamica quello di una piagnucolosa e isterica sprovveduta). Si diceva non banale, proprio perché al di la' dell'aspetto "commedia" si cela un film che mette in luce una semplice cosa, nelle crisi di coppia dovrebbe accadere ciò che accade nel film, per uscirne immediatamente. Il film parla proprio di calarsi completamente nei panni dell'altro, averne i pensieri, i ricordi, i sentimenti e tutto il resto. Come detto altresì forzata è la trama, ma poiché la suddetta viene rappresentata in maniera simpatica e divertente, essa da origine ad un raccontino semplice ma efficace che riesce nel compito di regalare un'ora e mezza di buon umore allo spettatore. Certo, il finale ampiamente scontato rimette le cose a posto e lascia un po' di amaro in bocca, ma davvero buona è l'interpretazione dei protagonisti. Anche perché il punto forte sono i due protagonisti e anche alcuni comprimari, su tutti Valerio Aprea già visto nella serie Boris e nei due Smetto quando voglio (anche se il secondo mi manca), prodotto da quel Matteo Rovere (anche regista di Veloce come il vento), qui in veste di co-produttore. Altro aspetto da sottolineare è che qui finalmente non c'è la solita canzone italiana scritta apposta per il film, qui invece ci sono i giusti pezzi in inglese di musica moderna, che si uniscono alla funzionale colonna sonora. Tutto per un film che avrebbe potuto in ogni caso essere meglio interpretato e soprattutto imbastito in maniera più credibile, ma tutto sommato, avendo a che fare con un prodotto leggero, rimane comunque il risultato positivo. Niente di straordinario ovviamente, ma divertente e sufficientemente gradevole. Voto: 6,5
Commedia semplice e abbastanza leggera, condita con quel pizzico di critica sociale utile per imbastire una storiella fluida e rendere ancora più simpatici i protagonisti è Insospettabili sospetti (Going in Style), film del 2017 diretto da Zach Braff, alla sua terza regia dopo il riuscito Wish I Was Here, e remake del film Vivere alla grande del 1979, scritto e diretto da Martin Brest. Sì perché la pellicola si manifesta come una (ben riuscita) commedia godibile ed intelligente, dove a farla da padrone è un umorismo leggero, intelligente, che non si accosta minimamente alla volgarità (la pellicola, infatti, cerca di essere il più divertente possibile senza però esagerare) e che sa cogliere con ironia il mondo d'oggi, piegato da una crisi che non conosce fine e che colpisce tutti indiscriminatamente lavoratori e pensionati. Sì perché Joe, Willie e Albert lo sono. Sono ottantenni tutt'altro che ladri che come i sociologi ben direbbero sono stati spinti dalla società sulla cattiva strada. Dopotutto quando si perde tutto, si è disposti a fare qualsiasi cosa per riprendersi ciò che è nostro di diritto. È proprio questo che accade a tre amici di vecchia data, impersonati da tre grandissimi attori Morgan Freeman, Michael Caine e Alan Arkin (discreta la loro prova, giacché mimica e battute strappano qualche sorriso), i quali decidono di abbandonare per la prima volta la retta via quando vedono i loro fondi pensione andare in fumo. Furiosi per non poter pagare i conti e preoccupati per il futuro delle loro famiglie, vogliono vendicarsi della banca che si è dileguata con i loro soldi. Come? I tre organizzano una rapina da manuale, pensando anche a un alibi perfetto per il giorno dell'evento. Ma spesso, come sappiamo, quello che sembra essere un piano perfetto nasconde un errore madornale. Sarà il loro caso? Forse sì, forse no, ma comunque seppur scontato ma godibile, Insospettabili sospetti, è un film originale e piacevole, anche grazie a Zach Braff, bravo a mescolare insieme molti elementi importanti, una regia incisiva, un cast d'eccezione (mettere insieme tre giganti del cinema come quei tre non è cosa da poco), una colonna sonora bizzarra e una sceneggiatura buona, che (a prodotto finito) lascia intravedere un lavoro accurato ed elaborato di scrittura. D'altronde gli eventi sono raccontati in maniera semplice e lineare e il ritmo appare disinvolto, il tutto per garantire una visione senza fronzoli che sappia intrattenere in maniera sufficientemente valida. Inoltre la pellicola non eccede in inutili giri di parole e scene futili al fine del racconto, cosa che spesso troviamo in una commedia. Perché ella non è solamente volta al puro intrattenimento, anzi, la pellicola è colma di spunti di riflessioni importanti, grazie anche alla presenza di temi (non è difficile capire quali siano, in questo caso infatti la prevedibilità c'è e si vede) che possono essere definiti universali. Difatti non mancano certamente scene d'impronta drammatica, ma parliamo di una drammaticità che non emerge nel film, in quanto il regista lascia largo spazio alle battute più leggere, riuscendo ad inserire scene emozionanti in un contesto insolito e divertente, evitando però di appesantire la pellicola. Anche perché bravissimi sono i tre tenori che, dotati di una credibilità sconvolgente, ci fanno divertire e appassionare. Certo, a volte si esagera e le situazioni appaiono leggermente forzate, ma è un film che al contrario dei protagonisti di tante commedie della terza età, non si sofferma su incontinenza, piaceri sessuali (se non una liason con tanto di happy ending) prive di una scurrilità di fondo di tanto cinema americano. E infine momenti travolgenti e di grande commozione verranno affrontati nel sorprendente finale. Contribuiscono alla riuscita del film anche Christopher Lloyd, perfetto nei panni di un anziano poco lucido e Matt Dillon, in quelli di un poliziotto che vuole scoprire la verità. Insomma un film davvero gradevole per passare 90 minuti in totale spensieratezza e tranquillità. Voto: 7-
Ispirandosi all'incredibile storia di David Ghantt, l'uomo che nella storia degli Stati Uniti detiene il record insuperato della rapina bancaria più fruttuosa di sempre (ben 17 milioni di dollari, 2 dei quali mai recuperati) la simpaticissima (leggera ma briosa, dotata di interpreti bravi e scenette simpatiche capaci di intrattenere e divertire in maniera sufficientemente valida) commedia Masterminds: I geni della truffa (Masterminds), pellicola del 2016 diretta da Jared Hess (conosciuto per altrettanti spassosi film demenziali come Super Nacho), racconta gli incredibili retroscena di questo leggendario colpo ai danni di un deposito di denaro destinato a pagare gli stipendi degli agenti federali (tra cui quelli di una esuberante Leslie Jones). La trama, pur con qualche trovata spassosa sa un po' di già visto, anche se strutturata in modo geniale, giacché il merito del film (come tutti quelli che si appoggiano a vere storie assurde), è di avere un andamento molto strano, cioè di non seguire la tipica struttura ordinata dei film ma di mascherare quell'andamento dentro la cornice di una sequenza di fatti che ha il passo caotico delle cose come accadono nel mondo reale. Diventa così difficile anticipare gli eventi e si rimane sempre spiazzati dalla folle idiozia e dalle coincidenze, implausibili e assurde se fossero state inventate ma accettabili solo sapendo che sono davvero accadute. Comunque non mancano altri elementi per intrattenere il pubblico (e salvare il film), dalla comicità fisica e stralunata di Zach Galifianakis, l'indimenticato strambo Alan de Una Notte da leoni, che impersona il protagonista, un semplice e innocuo (goffo) addetto ai trasporti che si lascia coinvolgere nel piano criminale per amore della bella collega Kelly, interpretata dalla brava Kristen Wiig, agli inseguimenti rocamboleschi tra le strade assolate del Messico, agli stravaganti personaggi di contorno, tra cui il sicario con l'ossessione per la caccia e le armi anticonvenzionali che conserva pezzi delle sue vittime che ha il volto di Jason Sudeikis (sempre efficace). Al cast di volti noti e habitué del genere si aggiunge anche (il sempre versatile) Owen Wilson alias Steve Chambers, la vera mente criminale, spiantato padre di famiglia con manie di grandezza e poca voglia di faticare, mentre (la credibile) Kate McKinnon è la scorbutica e volgare promessa sposa del protagonista. Tutti questi attori offrono perciò una serie di siparietti tra il grottesco e il demenziale che si susseguono con un discreto ritmo, immersi in una colorata atmosfera anni '70 che condisce con un tono naif il tutto, soprattutto nel finale. Perché dopo la rapina succede di tutto e di più, in un precipitare di avventure non stop, un vortice inarrestabile di comicità allucinata cui è difficile resistere. Si ride, e molto. I toni pesanti, le gag trivialissime, accompagnate a battute talmente allucinanti da apparire straniate e stranianti infatti, generano un'ilarità irrefrenabile. Soprattutto grazie a Zach Galifianakis in stato di grazia (osservatelo nei suoi travestimenti, c'è da morire dalle risate), perché è inutile negarlo, il film funziona ed ha un motivo di esistere se non grazie a lui (d'altronde chi altro se non lui poteva impersonare un personaggio così sgangherato?). Mattatore mostruoso nel suo esaltare sensualità sgradevole e "cazzonaggine", sentimenti infantili e somma cialtroneria. Difatti questo è un film ben fatto, divertente, con equivoci pazzi e gag che funzionano (anche se poco originali). Certo, a volte si eccede con il trash ma sicuramente vale la pena guardarlo se si vuole passare un'oretta in allegria. Giacché la storia è interessante, grottesca e scorrevole quanto basta, e come detto ci sono diversi momenti davvero esilaranti. Certo, questa commedia sembra proprio più per la tv che per il grande schermo, addirittura poteva esser molto meglio (alcune scene infatti sono a dir poco forzate), ma riesce a strappare la sufficienza in quanto qualche sana e vera risata la strappa. Perché questa commediola divertente e senza pretese, spassosa e sufficiente, è una commedia più che guardabile e gradevole. Voto: 6+
Negli ultimi anni in effetti davvero poche commedie sono riuscite davvero a far ridere, ma questi qui in modo abbastanza semplice ci riescono e senza troppe esagerazioni, quindi potresti andare sul sicuro ;)
RispondiEliminaComunque grazie a te che prendi in considerazione quello che scrivo, mi fa piacere :)
Anche se non sono presente (tempo tiranno!) mi sto segnando tutti i film e tornerò a commentare quando li avrò visti!
RispondiEliminaComunque mi mancano tutti quelli che stai recensendo.
Di questa rassegna sono tutti minimo sufficiente, quindi fai bene a segnarteli ;)
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