Dopo una pausa di un mese, quello scorso in cui ben 9 serie finirono sotto la mia lente di "gradimento" (trovate qui il post), tornano, come accennato proprio nel precedente listone, le serie da recuperare (fermatasi a Giugno), ovvero recuperi di serie già prefissate (da me ovviamente) ad inizio anno (che sono esattamente sette). E dopo la prima (The End of the F***ing World) e la seconda (Narcos), la terza oggi conclude il suo ciclo (è Banshee), e si affaccia pure una nuova serie (con la prima stagione delle tre complessive), ma un'altra ancora comincerà dal prossimo mese, così da concludere, successivamente e finalmente, il tutto. Nel frattempo, com'è ovvio, concentriamoci su questo quarto appuntamento, che continua a regalare (fortunatamente per me), belle sorprese.
BoJack Horseman (4a stagione) - La quarta stagione di BoJack Horseman si dimostra essere meno potente delle precedenti (la terza Qui): non appaiono infatti puntate davvero interessanti come "Fish Out of Water", nonostante ciò il prodotto si distingue per avere comunque una scrittura sempre attenta ai drammi dei personaggi, i quali però, a conti fatti, non avanzano abbastanza nelle loro vite turbolente. Il filo conduttore di questi ulteriori 12 episodi è il legame tra il protagonista e la presunta figlia Hollyhock, intorno al quale ruotano alternativamente anche le storie di Diane (il rapporto sempre in crisi con Mr. Peanutbutter), Carolyne (il rapporto con il topo Stilton) e infine Todd che pur essendo il motore "più comico" dell'insieme, avrà anche lui il suo momento introspettivo. Un aspetto negativo di questa stagione rispetto alle precedenti riguarda proprio l'accumulo delle storyline: alcune sono piuttosto carine e interessanti, ma mentre la serie pone i riflettori su quella dello stesso Bojack (la più toccante, tra l'altro), ci sono altre che purtroppo non reggono il confronto. Una quarta stagione dunque molto introspettiva che si concentra sull'esplorazione, l'involuzione e l'evoluzione di quasi tutti i personaggi, molto depressa e intima, si focalizza sulla psicologia dei suoi protagonisti. Lo fa anche grazie all'aggiunta di animazioni nuove, a due dimensioni, psichedeliche e decisamente comunicative. Anche in questa stagione, BoJack Horseman ci propone una stringente satira sulla società e la politica, presentate con il sarcasmo sottile a cui ci ha abituato nelle scorse stagioni. Gli animali sono sempre l'espressione dei vizi dell'umanità che permettono di unire la critica sociale a tematiche estremamente delicate. In modo molto naturale infatti si parla di emancipazione femminile, LGBTQ e di asessualità. Il finale è diverso dal solito, ci prepara a nuovi possibili scenari per una stagione differente dalle precedenti. Una stagione, la quinta, in cui probabilmente molte cose cambieranno, anche se già in questa quarta stagione la serie ha cambiato pelle, rivelandosi una serie dinamica che muta e si trasforma riuscendo a essere all'altezza di se stessa, e tutto ciò nonostante in questa particolare stagione la storyline più interessante è affiancata da altre un po' meno, ma questo non è andato comunque a minare (troppo) l'alto livello qualitativo e tematico che ha sempre contraddistinto questa gran serie. Voto: 7,5
Banshee - La città del male (4a stagione) - Una stagione, la quarta ed ultima, purtroppo dai tempi mozzati (8 episodi contro i classici 10), ma paradossalmente non sono mancati inutili digressioni e spunti interessanti persi per strada (come in parte successe anche nella precedente, comunque molto migliore, terza stagione). Il calderone multi-villain a cui Banshee ci ha abituato non è certo mancato: ecco infatti i fratelli Bunker (l'amorevole poliziotto redento vs il Nazi-fasci tutto pazzo), l'amichevole Kingpin di quartiere, il Proctor a cui ormai non si può volere male e che nel frattempo ha fatto carriera in politica, c'è la new entry del satanista, a cui sin da subito sembra legata una morte eccellente della serie, senza dimenticare la scomparsa di Job. L'ex sceriffo "Hood" è rimasto decisamente preso a male per la scomparsa del suo amico, dandolo oramai per morto. Cosa non funziona in questa stagione? Molto semplicemente, troppa carne al fuoco in così poco tempo. Lo stile quasi giallo dei primi episodi, spinto con i flashback di Rebecca è una variazione interessante ma che viene persa per strada, diversi personaggi vengono appena abbozzati, gettando qualche dubbio sull'effettiva utilità di presentarli da principio (vedi la poliziotta badass, o il presunto capo supremo dei nazifasci) tutta la faccenda stessa dei satanisti esplode e si risolve in un arco davvero breve, lasciando ben poco, a differenza degli storici nemici di Hood. Eppure, Brock è semplicemente magnifico come nuovo sceriffo della città, regalando delle perle di dialogo e qualche divertente siparietto con Bunker. Lo sviluppo psicologico dei nostri beniamini è decisamente sull'acceleratore, con il Job post-rapimento e Hood dai nervi a pezzi, ben lontani dai maschi alfa delle scorse avventure (almeno per parte della stagione). E cosa dire del finale, che fa contenti davvero tutti, riservando anche a chi obiettivamente buono non è un'uscita di scena coi fiocchi. Nelle 4 stagioni si è visto di tutto e di più, colpi di scena a non finire, triangoli amorosi, donne pazzesche (Eliza Dushku l'ultima perla), tanto sesso e ancora più sangue, e di una cosa si può essere assolutamente certi: Banshee è stata chiusa nel momento giusto, ma mancherà ugualmente tantissimo. Voto: 6+
The Man in the High Castle (2a stagione) - La seconda stagione va a riprendere l'ultima scena della prima stagione e su di essa e sul personaggio di Nobusuke Tagomi si va a creare l'arco narrativo più importante dell'intera stagione, una stagione che riflette nuovamente sui poteri dei Media, del giornalismo e dell'importanza di immagini, che sciogliendo qualche mistero (sulle pellicole "divergenti") non dà comunque certezze sulle derive che intraprende la serie in questa stagione, serie ora slegata definitivamente dal romanzo di Philip K. Dick. Al momento infatti siamo tra la fantascienza e il fantastico esoterico, e in questo senso dico subito che la seconda stagione (in cui compare il fantomatico Uomo dell'Alto Castello, interpretato da Stephen Root) evita il problema della (scomoda) spiegazione del "viaggio" di Tagomi, rimandandola probabilmente a una terza stagione, concentrandosi invece sull'evoluzione drammatica dei personaggi le cui vite sono sempre più legate agli eventi fanta-storici e agli intrighi spionistici visti nascere nella prima serie (di 10 puntate). Questa seconda stagione scava nelle viscere della distorta morale nazista, ne mette in luce tutte le discrasie e le contraddizioni e lo fa attraverso le vicende degli uomini che ne compongono la società. Vicende che non necessariamente coincidono con la storyline principale che spesso pecca di lungaggini e sviluppi poco interessanti. Eppure nonostante una certa lentezza nei primi episodi ed alcuni punti non risolti o un po' comodamente accantonati, la seconda stagione di The Man in the High Castle si fa vedere con grande interesse e nel complesso non delude le aspettative: quasi tutti i personaggi (anche quelli secondari, e quelli meno "forti") acquisiscono una complessità psicologica, uno spessore drammatico e un ruolo attivo nella vicenda dando finalmente all'azione un andamento più incalzante. The Man in the High Castle 2 va infatti ad approfondire ogni singolo carattere mostrandolo in una realtà nuova e inedita a loro ed i loro comportamenti all'interno di questa. In queste dieci puntate nessuno dei personaggi è più quello conosciuto all'inizio della prima stagione, ma si sono evoluti nel bene e nel male. In questo senso una delle cose più riuscite di questa seconda stagione (che comunque migliore non è, meglio non fa della precedente), è il singolare e ambiguo rovesciamento di ruoli tra buoni e cattivi che fanno risultare quest'ultimi quasi più "simpatici" (se così si può dire) agli occhi dello spettatore. Una scelta, da parte degli sceneggiatori, sicuramente non banale e coraggiosa. In conclusione con la seconda stagione, The Man in the High Castle pur continuando a creare "disagio", ne conferma le doti positive. Voto: 7
Santa Clarita Diet (1a stagione) - Una commedia divertente, densa di ironia e di prese in giro alla vita della periferia americana, estremamente leggera, piacevole da vedere nei momenti di relax, ma di certo non adatta a tutti. Santa Clarita Diet è infatti una serie per stomaci forti: uno splatter gioioso che lascia alla porta il virtuosismo distopico a cui la televisione ci sta troppo abituando. Un inno alla leggerezza e all'esorcizzare i propri tumulti interiori, che non perde occasione di sviscerare (termine estremamente appropriato) la fine del sogno americano, cannibalizzato da sé stesso. Soltanto i coraggiosi sono in grado di rivalutare la normalità. Già prima di Santa Clarita Diet altre serie come Ash vs Evil Dead, Scream Queen e tutta la saga di American Horror Story, hanno cercato di creare un prodotto televisivo che si potrebbe definire horror leggero, ed è questo che la serie fa, riuscendoci abbastanza bene (difficile raggiungere l'ottimo livello della serie dell'iconico Ash Williams), con il pregio che sta nelle puntate (10 a stagione) tutte da circa 25 minuti, da guardare una dietro l'altra (cresce piano piano col passare delle puntate) in un binge watching sempre più "affamato" (dopotutto qui si parla zombie, anzi di zombismo, mica di altro). Creata da Victor Fresco (già creatore di altri show) e distribuita da Netflix, questa serie televisiva statunitense, che nella sua stagione introduttiva si gioca ancora poche carte ma lo fa sapientemente, creando un solido quartetto di personaggi, poco approfonditi dal punto di vista psicologico, ma in grado di entrare rapidamente in simpatia, in cui alcune idee un po' trash, qualche piccolo mistero e diverse situazioni tragicomiche aiutano ad arrivare alla fine con leggerezza e curiosità verso il futuro della famiglia Hammond, si avvale di un cast molto interessante. La particolarità del cast è senz'altro Drew Barrymore, in un ruolo molto significativo nella sua carriera. Protagonista di molte commedie romantiche come Duplex - Un appartamento per tre e 50 volte il primo bacio, il suo personaggio diventa la perversione estrema di quelle donne innamorate. Degenerazione di quei ruoli appena citati, la Barrymore è perfetta, avendo incarnato molto spesso quella borghese americana che è costantemente derisa dalla serie televisiva. A completare la coppia ci pensa Joel Hammond, interpretato da Timothy Olyphant, forse sarebbe stato meglio un attore decisamente più coinvolto nella carriera della Barrymore come Adam Sandler, ma la chimica della relazione è molto soddisfacente. Come soddisfacente è per il momento la serie, una serie un po' confusa nei suoi generi ma al suo primo giro in grado di alternare situazioni divertenti e di suspense in modo apprezzabile. Voto: 6,5
Tutto serenamente bypassabile.. ;) troppa roba nel paniere.. pensa che sto vedendo solo ora Lie to me! ;)
RispondiEliminaMa come? Sono poi tra le più "quotate", comunque personalmente ho fatto bene ;)
EliminaLie to me? Non penso d'averla vista, e credo che mai vedrò...
Di queste vorrei provare BoJack e The man in the high castle ma quest'ultima solo dopo aver letto il libro di Dick.
RispondiEliminaSì, potrebbe essere interessante leggere il libro prima, anche se con questa seconda stagione dal libro si slega.
EliminaBoJack invece non ha bisogno di "spinte", deve essere visto ;)
Dai che il cavallaccio sta scadendo anche a te, nonostante continui a dargli voti altissimi.
RispondiEliminaLeggendo la recensione sembrava una serie da 6 scarso, e invece toh 7 e mezzo. Mmmmm 😂😂
Dovrò dire anche a Riccardo per fartelo vedere, perché se non lo vedi non puoi sapere :D
EliminaIn realtà lui ha smesso da un pezzo. Per fortuna!
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