Visualizzazione post con etichetta Liev Schreiber. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Liev Schreiber. Mostra tutti i post

venerdì 17 maggio 2019

L'isola dei cani (2018)

Il texano Wes Anderson alla fine degli anni '90 si è imposto al mondo con Rushmore come uno degli alfieri del cinema indipendente americano. Poi con il passare degli anni è diventato molto di più di un regista "indie", è diventato uno dei maggiori registi mondiali, arrivando ad ottenere importanti riconoscimenti e ampi consensi di critica e pubblico. Nel corso degli anni 2000 ha sfornato una serie di gioielli che hanno abituato il pubblico di tutto il mondo a una narrazione di simmetrie, colori pastello, musica vintage, personaggi borderline e grandi sentimenti. Con il suo stile particolare, estremamente riconoscibile, preciso fino ad essere maniacale si dimostra continuamente come uno degli autori contemporanei più coraggiosi e attenti alla forma. In tal senso, poiché chiunque conosca Anderson e la sua poetica sa benissimo che si troverà di fronte a delle scene curate al dettaglio, in cui la simmetria la fa da padrona e i dialoghi sono sempre brillanti, si ha sempre la paura di una costante ripetizione dei temi trattati, ma Wes Anderson, che ha alle spalle forti sostenitori come altrettanti detrattori (io dalla parte dei primi), riesce a reinventare con sapienza sempre la stessa storia, più o meno la stessa storia. Perché L'isola dei cani (Isle of Dogs), film del 2018 scritto, diretto e co-prodotto da Wes Anderson, film molto atteso (sicuramente da me) che ha vinto l'Orso d'argento per la regia al Festival di Berlino 2018 (di cui era anche film d'apertura), che arriva dopo il successo mondiale di critica e pubblico di Grand Budapest Hotel e che segna un coraggioso ritorno all'animazione in stop motion dopo Fantastic Mr. Fox, è comunque un film d'animazione d'autore ricco d'intelligenza e di inventiva che, con toni favolistici e metaforici, affronta temi assolutamente attuali: l'inquinamento, l'ipocrisia e l'avidità dei potenti che schiacciano i più deboli ed indifesi (i cani potrebbero essere una metafora degli immigrati, dei poveri o fate voi), il potere che distrugge con la violenza il dissenso, la televisione che obnubila le menti delle persone ecc. Il tutto narrato come fosse un cartone animato per bambini, in cui i protagonisti sono i cani, pur non essendolo, o meglio: molto adatto ai bambini, ma anche adatto agli adulti, perché ha una narrazione parecchio più complessa di quella di un normale film d'animazione.

lunedì 20 febbraio 2017

Il caso Spotlight (2015)

Tratto da una sconcertante storia vera, Il caso Spotlight (Spotlight, 2015) di Thomas McCarthy è un film che rientra a pieno titolo nel cosiddetto 'cinema liberal' americano, impegnato e progressista, intento a mettere in luce scandali nascosti, a scoperchiare vasi di pandora sigillati da mura di omertà insormontabili. E quando una certa idea di giornalismo si incrocia con un certo modo di fare cinema, il risultato è pressoché scontato, ovvero eccezionale. La conferma viene da questa pellicola, superlativa prova autoriale e attoriale. Un eccellente film inchiesta che, candidato a sei Oscar, ne ha portati a casa due, tra cui quello più importante, ossia miglior film, ma anche come miglior sceneggiatura originale, nonostante questo film, co-scritto e diretto da Tom McCarthy (Mr Cobbler e la bottega magica, Mosse vincenti, L'ospite inatteso) è basato su fatti realmente accaduti. Inchiesta che replica e amplifica tematiche trattate nel 1976 da Tutti gli uomini del presidente, dato che il riferimento filmico più immediato è il film di Alan Pakula, date le evidente assonanze narrative tra i due film. Infatti, la storia di entrambi i film nasce e si sviluppa all'interno di una redazione di un giornale, poi li accomuna il fatto che un gruppo di giornalisti si getta anima e corpo su un caso dai chiari risvolti socio-politici, che poi arriva a coinvolgere insospettabili uomini di potere, infine, si racconta di fatti realmente accaduti. Fatti che in questo caso sembrano frutto di fantasia, e invece come spesso accade nel mondo degli umani la realtà supera spesso la fantasia. La pellicola infatti, narra le vicende reali venute a galla dopo l'indagine (tramite un gruppo di giornalisti investigativi conosciuti come "spotlight") del quotidiano The Boston Globe sull'arcivescovo Bernard Francis Law, accusato di aver coperto molti casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie. Indagine che valse il Premio Pulitzer di pubblico servizio al quotidiano nel 2003 e aprì a numerose indagini sui casi di pedofilia all'interno della Chiesa cattolica. Il giornale difatti denunciò questo scandalo dei preti pedofili e la collusione della alte sfere ecclesiastiche, portando letteralmente alla luce un numero molto elevato di abusi di minori. Tutto a fondo e ad ogni costo, nonostante l'oscuramento mediatico dell'attentato alle torri gemelle.