Big Game: Caccia al Presidente (Big Game) è un atipico e originale (non tanto però) film d'azione finlandese del 2014 diretto da Jalmari Helander. Il film, presentato al Toronto International Film Festival 2014, vede come protagonisti principali il bravissimo Samuel L. Jackson e il giovane Onni Tommila. Il film appare fin da subito un'imitazione delle grandi pellicole hollywoodiane, una specie di omaggio al cinema action-avventuroso a cavallo tra anni '80 e '90, parecchie sono infatti le citazioni, alcune delle quali palesi, da E.T. a Indiana Jones, passando per The Karate Kid, giù sino ad accenni più o meno vaghi al filone action-complottista anni '90. Ma Big Game va oltre la mera operazione nostalgia, proponendo un intrattenimento familiare anche se in modo atipico, dato che in questo film il presidente al contrario di quello di Wolfgang Petersen in 'Air force One', che vedeva il presidente americano trasformarsi in una sorta di Rambo per sbarazzarsi dei dirottatori che lo tenevano in ostaggio, qui invece l'inquilino della Casa Bianca (Samuel Lee Jackson in versione Barak Obama), è distante anni luce da quello intraprendente e pugnace interpretato da Harrison Ford, addirittura le sue sorti (queste si altrettanto funeste) vengono affidate al piccolo Oskari, il tredicenne che lo aiuterà a salvarsi da chi lo vuole morto. Si perché anche qui l'Air Force One, in questo caso diretto a Helsinki, per un pre-vertice del G8, è soggetto a un attentato terroristico. Un gruppo terroristico infatti, lancia da terra dei missili che colpiscono l'aereo e i caccia che lo scortano, ma solo dopo che il presidente (sotto consiglio del capo della sicurezza) entra in una capsula di salvataggio per salvarsi. Poiché il piano complottistico ordito contro di lui non prevede difatti solo l'abbattimento dell'Air Force One, ma di rapirlo ed esibirlo come un trofeo. Ma ovviamente i piani cambieranno quando il giovane Oskari, che si trova nei paraggi per un rito di passaggio all'età adulta (deve infatti dimostrare di essere un uomo tramite una battuta di caccia), aprirà la capsula e l'aiuterà a mettersi in salvo. I due quindi dovranno far fronte a un diverso tipo di caccia in cui interpretano il ruolo di prede anche se Oskari non dimenticherà la sua missione.
Big game: Caccia al Presidente, che fa l'atipica scelta di accostare il filone alla Die hard con quello dei film per ragazzi risalenti agli anni Ottanta, che nonostante sfrutti, bene o male (dipende dai punti di vista) situazioni già viste in analoghe produzioni hollywoodiane, non si prende però in alcun modo sul serio. Tuttavia un lavoro totalmente votato all'intrattenimento come questo, riesce comunque in tale intento. Perché proprio scavando nel déjà-vu, e cercando di offrire degli appigli, quest'avventura improbabile ma proprio per questo interessante colpisce. Colpisce infatti l'atipicità di questo prodotto, che spizzica un po' di questo e un po' di quello, riuscendo a costruirsi una 'forma' che gli è propria. Trash, avventura, azione, spionaggio…tutti elementi di cui si avverte appena la presenza, ma che eppure ci sono. Il segreto sta perciò nel dosaggio e nella successiva mistura, anche se si rivela troppo 'disneyano' per gli adulti ed eccessivamente cattivo e violento (pur senza mostrare nulla di esagerato) per i bambini. Big Game è comunque un film con due anime e ciò costituisce al contempo la sua forza e la sua debolezza. C'è un'anima finlandese rappresentata dal regista e dal giovanissimo (e comunque bravissimo) co-protagonista Onni Tommila e una anima americana rappresentata dalla produzione e da un copioso numero di attori con a capo Samuel L. Jackson (sempre in forma e bravo in personaggi stravaganti come in Kingsman per esempio), questo fa sì che finché le due anime si equilibrano Big Game si presenti come un interessante esperimento, sia sul piano produttivo che su quello della narrazione, perché l'iniziale confronto tra i due mondi (il finlandese decisamente attaccato alla terra e l'americano librato nei cieli) si rivela produttivo. I problemi si presentano man mano che la narrazione procede dando sempre più spazio all'intreccio terroristico-complottista. Lì non solo si rafforza il versante legato all'azione (come è giusto che sia) ma si potrebbe dire che si trasforma la cifra stilistica di una sceneggiatura che fino a quel punto era riuscita a controllare gli elementi stereotipi di genere made in Usa e che invece finiscono con l'espandersi, con tutte le sensazioni di déjà-vu prevedibili. Ma Big Game è anche un racconto di formazione a doppio binario, perché le conseguenze delle vicende a cui assistiamo saranno motivo di crescita sia per il coraggioso bambino, sia per il simpatico presidente, la cui figura, affabile e carismatica, è del tutto allineata alla correttezza politica con cui il cinema mainstream si rivolge al più importante cittadino americano. Così, volendo, i motivi d'interesse non vanno ricercati nella vorticosa successione degli avvenimenti ne tantomeno nell'esibita consistenza del nemico, depauperata da una serie di motivazioni che la frettolosa sceneggiatura non riesce mai a spiegare. A farsi preferire sono piuttosto l'originalità dello 'strano' sodalizio, reso credibile dall'alchimia tra i due interpreti (anche se non offre spunti divertenti) e la scelta di un punto di vista che, nel privilegiare lo stupore fanciullesco di Oskari, giustifica, almeno in parte, l'ingenuità della messinscena allestita dal regista. Una messinscena che, nonostante il luogo suggestivo e bellissimo (tra monti e valli selvaggi), che da solo aveva un fascino in grado di competere con la Nuova Zelanda del Signore degli Anelli, fa acqua da più parti, cattivissimi improbabili, svolte narrative dove la logica viene gettata a mare, con la CIA allo sbando, fino alla conclusione, e con 30 elicotteri Chinook che arrivano con l'unico scopo di posare nella foto finale. Praticamente un mezzo fallimento se non fosse che questo film riesce a in ogni caso a intrattenere, riuscendo a rendersi godibile e soprattutto vedibile a più persone. Comunque freddamente consigliato agli amanti del genere. Voto: 6+
Tracers è un mediocre, poco interessante e non eccezionale (anche se piacevole) film d'azione del 2014 diretto da Daniel Benmayor, perché il film anche se (in parte) originale nel racconto non convince in tutto e non coinvolge in quasi niente. Non solo perché incentrato sulle scene in cui il movimento è un'alta attività acrobatica, il parkour, disciplina che è destinata a gruppi isolati che sono uniti quasi come nuclei familiari, in cui condividono pensieri e azioni per recuperare la fiducia persa nella società e in se stessi, come fosse una filosofia di vita, ma perché la storia del bravo ragazzo che ha un lavoro che gli offre uno scarso reddito il quale non gli permette di essere puntuale nel pagare l'affitto a una madre con tanto di bravo figlio è nota, il fatto che il suddetto ragazzo debba rivolgersi a degli usurai piuttosto minacciosi per avere denaro è scontato, che nasca l'amore per una fanciulla che ha ed ha avuto i suoi bravi problemi non è nuovo, che sia poi necessario decidere se riscattarsi o no da tutto ciò è altrettanto déjà-vu. Dove sta allora la variante? Sta nel fatto che il regista si è studiato bene il metodo per girare film in cui un'attività sportiva particolarmente acrobatica sta al centro della narrazione e (nonostante i quattro che si sono messi a scrivere una sceneggiatura per la stesura della quale forse uno solo avrebbe avuto più fantasia) ha deciso di puntare sulle scene in movimento che hanno una loro indubbia efficacia. La storia è comunque semplice e attuale perché include i problemi dei giovani per la sopravvivenza, come quelli di Cam, pony espress (come Joseph Gordon-Levit in Senza Freni), il protagonista del film, interpretato da Taylor Lautner, proveniente dalla saga di Twilight, ma con minor fortuna degli altri, poiché si ritrova in questo film che si limita a ripercorrere strade narrative già ampiamente tracciate e rivisitate senza un motivo preciso. Bike messenger di New York, Cam è difatti il migliore su due ruote ma è in debito con una banda di criminali mafiosi. Ma quando si imbatte nella sconosciuta e sexy Nikky (Marie Avgeropoulos, davvero bellissima e sensuale), Cam viene immediatamente sedotto da lei e dall'emozionante mondo del parkour, tanto da riuscire a rivederla ed entrare nel gruppo di cui lei ed il fratello fanno parte e che si applica alla pratica sportiva ma anche ad azioni illegali. E mentre i colpi si fanno sempre più grossi e rischiosi e il capo della gang, Miller, che tiene legata a sé Nikki, è sempre più intransigente, Cam sente sempre più in pericolo la sua vita e quella della ragazza e vorrebbe uscirne ma...si verificheranno colpi di scena e snodi narrativi spesso immaginabili (così per dire). Comunque il film è lineare e il regista è notevole nel riprendere da tutte le prospettive le azioni in movimento, perlopiù con camera a mano, privilegiando la disciplina atletica, e anche se le non amalgama benissimo con gli atti criminali, e nonostante qualche protagonista si perda per strada e i momenti gangster facciano sorridere, Tracers è tra i migliori prodotti del recente action acrobatico. Le scene più spettacolari sono infatti girate sui tetti e tra i grattacieli di New York senza controfigure, con la consulenza di una squadra di stuntman diretta da Gary Powell (impiegato nel moderno 007 e altri film). In ogni caso che piacciano o meno, gli attori sono relativamente credibili (tranne Taylor Lautner, con la sua faccia da bravo ragazzo fa simpatia, ma non ha una grinta o un elemento di fascino) nei loro problemi esistenziali e ammirevoli negli spericolati salti e corse che fanno per tutto il film, anche se l'intreccio e sviluppo psicologico dei personaggi procedono per stereotipi ma è il tributo che va pagato a un genere rispecchiato anche nella colonna sonora breakbeat e progressive e nell'indiavolato ritmo del montaggio. Infine rispettata la confezione, Benmayor punta tutto sull'effetto sorpresa di un colpo di scena nevralgico ben scritto e sul carisma innegabile del corpo di Lautner, ottima anche la fotografia. Un film perciò interessante e minimamente coinvolgente ma il problema principale è che per un film che non sia un documentario sulla specifica disciplina ci vorrebbe però qualcosa in più. Un po' più di un documentario sul parkour, un po' meno di un vero film, ma comunque un intrattenimento dignitoso. Voto: 6
Big Game è un film piacevole, anche se in fondo piuttosto banale. Mi aspettavo una sciocchezza, invece è divertente. Tracers non l'ho mai visto!
RispondiEliminaSi infatti banale e superficiale a volte, ma comunque di buon intrattenimento ;)
Elimina"Tracers" è stato decente, bello decisamente no, ma si è lasciato guardare
RispondiEliminaDiciamo più che mediocre, ma meno della sufficienza comunque sopratutto 'lei' si lascia guardare, in ogni caso le acrobazie sono incredibili ;)
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