giovedì 26 aprile 2018

I peggiori film del mese (Aprile 2018)

Dopo svariati mesi a vedere film mediocri su film mediocri, finalmente il mio lavoro di "selezione", avviato tempo fa, sta dando i suoi frutti, tanto che questo mese sono state solo 6 le pellicole che non mi sono piaciute, ed anzi, potevano essere anche meno se 2 di questi avessero fino in fondo chiuso il loro percorso narrativo in modo più convincente. Tuttavia questo numero più basso, di questo classico post mensile, fa ben sperare e acuisce in parte lo scotto per questi comunque deludenti film che ho visto in questo primo primaverile mese, che in ogni caso non ha riservato alcuna sorpresa, anche perché tutto è rimasto invariato nelle difficoltà burocratiche riguardanti l'INPS (di mio padre), che ancora non hanno risolto la situazione. Non resta quindi che aspettare, anche se è da almeno sei mesi che continua questo tira e molla. Nel frattempo però ecco le difficoltà che ho sopportato vedendo i peggiori film del mese.

Hemingway & Gellhorn (Drammatico, Usa 2012): I film biografici sono per loro natura difficili e spesso non riescono efficacemente e/o descrivere obbiettivamente personaggi realmente esistititi, o perché in qualche modo faziosi o semplicemente perché gli autori non sono in possesso, delle necessarie informazioni per confezionarli verosimilmente o anche perché piegati dall'esigenza di copione, ai fini di una migliore resa scenica. E' questo il caso di questo biopic per la televisione della HBO, un film sicuramente interessante e coinvolgente, anche perché si racconta di due personaggi molto importanti, il famoso scrittore Ernest Hemingway e una dei più grandi corrispondenti di guerra del XX secolo, ovvero Martha Gellhorn (e della loro quindi storia burrascosa a cavallo della seconda guerra mondiale e nata sullo sfondo della guerra civile spagnola), ma che annoia (ben 150 minuti di visione), non convince e sembra non avere una direzione precisa. Il fulcro della pellicola dovrebbe essere infatti la storia d'amore dei due, ma non si capisce bene alla fine cosa il regista voglia trasmettere, se proprio l'amore (la passione), o l'avventura delle loro vite, i frequenti cambi di ambientazione, o altro. Non riesce a trasmettere (nonostante il gran materiale a disposizione) nulla su nessun fronte. Neanche sul piano della imperterrita guerra. Hemingway & Gellhorn difatti è stato studiato e realizzato per poter ricreare i conflitti più diversi in ogni angolo del globo, nonostante un budget piuttosto limitato. Ed è possibile notare che dal punto di vista prettamente visivo, vengono impiegati alcuni filmati d'archivio che si intrecciano con la narrazione, il cui effetto a volte tende al surreale. Non convince assolutamente infatti guardare i due protagonisti avvolti in immagini di found-footage. Il film passa da immagini color seppia a colori vividi, come se cambiasse tono e stile trasferendosi naturalmente dal reale all'artificiale, dalla verità alla narrazione. Una pecca visiva non indifferente che dilapida quel poco di buono che resta. Che in verità è poco, perché la pellicola, mi è sembrata un tantino sopravvalutata, in considerazione dei numerosi premi che ha rastrellato, forse non del tutto meritati (nominato a 14 Emmy Awards e vincitore di due di essi), inoltre la sceneggiatura mostra numerose falle, e infine il racconto è molto discontinuo e nel complesso non è un lavoro memorabile. Giacché la regia (non proprio dilettantesca trattandosi di Philip Kaufman) latita parecchio, il modo di raccontare le vicende è spesso un po' troppo caotico e talvolta stereotipato, le personalità degli scrittori/giornalisti non viene debitamente approfondita (non a caso le figure di entrambi escono molto penalizzati da una caratterizzazione mediocre), le ambientazioni in certi momenti sembrano sbrigative e grossolane, così come i loro repentini cambi e nemmeno tanto credibili sono i protagonisti. Nicole Kidman (stranamente libidinosa e abbastanza anonima) è forse un po' troppo "bella" per questa parte, e Clive Owen (decisamente sopra le righe spesso) mi è parso meno di spessore e autorevole di quanto ci si aspetterebbe da Hemingway (uno dei pochi scrittori che conosco avendo letto e visto Il vecchio e il mare). Insomma un film con luci e più ombre, tanto che risulta alla fine non sufficiente. Voto: 5

Il permesso - 48 ore fuori (Thriller, Italia 2016): Poteva essere interessante un film sulle vicende di quattro detenuti con un permesso di 48 ore (fuori dalla cella giusto il tempo di affrontare e, si spera, risolvere i problemi lasciati in sospeso), ma il film è riuscito solo a metà. E' vero che non annoia, che ha ritmo, che coinvolge e che spesso fa tirare il fiato, ma i personaggi sono lasciati troppo in superficie e molti di essi, come le situazioni che li coinvolgono, sono tipici del noir all'italiana degli ultimi anni (superficiali). Le quattro vicende evolvono spesso banalmente come ci si aspetterebbe da film del genere, senza alcuna sorpresa (dato che nelle storie raccontate non c'è nessun guizzo particolare e nessun collegamento che può giustificare l'obiettivo principale, che forse era quello di far vedere la reazione al permesso, ma in tal senso sarebbe stato il caso di approfondire, all'inizio del film, le storie del personaggi, la loro condanna e cosa rappresentava questo evento per loro), e persino il finale è piuttosto prevedibile (anche se al contrario di Fiore, migliore è la scelta della coppia innamorata). Claudio Amendola, alla sua seconda regia dopo il simpatico La mossa del pinguino, ripete quasi uguale il suo personaggio di Suburra e, anche regista, dimostra un narcisismo attoriale raro, tanto che il suo racconto è il meno interessante e coinvolgente. Non è da meno Luca Argentero, perché seppur la sua storia è piuttosto sporca, con uomini balordi, sangue e botte, e seppur buona è la preparazione fisica e credibile abbastanza quella attoriale nella veste di duro in cerca di vendetta, la stessa, ha molti problemi, soprattutto per colpa del peggior criminale finto-napoletano della storia del cinema. Altro difetto del film è che ci mette almeno 20 minuti a partire, ad essere coinvolgente, poteva essere più sprint e con una colonna sonora degna sarebbe stato meglio. Rimangono impressi tuttavia, e in ogni caso bella è la scelta di identificare l'amore come il comune promotore delle azioni dei personaggi (anche se non è sempre efficace), gli amici borgatari romani del detenuto Angelo, interpretato dal giovane e bravo Giacomo Ferrara (in tal senso la sua storia con la ragazza, la bella Valentina Bellè, seppur debole e frivola, coinvolge), che hanno una spontaneità eccezionale ed anche un ché di pasoliniana memoria. Per il resto, come detto, la pellicola, seppur girata con mestiere, appare troppo fine a sé stessa e non apporta nulla di nuovo al genere. Infatti alla fine si rimane con la sensazione di aver visto un film interessante (ma superficiale e banale) che prometteva bene, ma che nel suo svolgimento lascia alla fine con un po' di amaro in bocca. Voto: 5,5

The Dinner (Drammatico, Usa 2017): Non è la prima volta che gli americani riescono a rendere indecorosa un'opera, ma è forse la prima volta che il remake italiano supera quello hollywoodiano. Certo, non che il secondo adattamento del romanzo La cena (Het Diner) di Herman Koch, ovvero quel I nostri ragazzi di Ivano De Matteo fosse proprio eccezionale, tuttavia al contrario di questo The Dinner, scritto e diretto da Oren Moverman, aveva però un epilogo (seppur in entrambi i casi ugualmente brusco) netto e riconoscibile. Ma non è solo per questo motivo che delle tre versioni, quella italiana è nettamente la migliore. Questo terzo adattamento infatti, è un film frammentario, logorroico, asfittico, lentissimo, pasticciato, ampolloso, che, della traccia letteraria (e filmica) originale, conserva soltanto la scansione della cena per portate, aggiungendovi tuttavia una sotto-trama ridicola dove il conflitto tra due fratelli è la sineddoche della guerra di secessione americana, il segno di un ineliminabile peccato originale. L'impianto narrativo (che aggiunge forse imprudentemente la coloritura politica e storica ed introduce un tema un po' sviante, ovvero i disturbi psichici, peraltro tutti aspetti che tendono a depotenziare non solo i dilemmi etici e morali della storia ma anche la sua tenuta) è, appunto, la cena in un ristorante esclusivo dove due fratelli (un senatore, impersonato non eccellentemente da Richard Gere) e un insegnante di liceo con conclamati problemi psichiatrici (un irricevibile Steve Coogan) si incontrano, insieme alle rispettive mogli (Laura Linney e Rebecca Hall), per discutere (e tutti avranno idee diverse sul come gestire la situazione) sul da farsi in merito alla bravata che i loro figli hanno compiuto ai danni di una clochard, vicenda finita in tragedia. Tutto moralmente interessante, anche se scontato come il messaggio che spesso dietro la coltre ipocritamente ineccepibile della colta e ricca classe borghese si nascondono dei veri e propri mostri, perciò, ma il gioco al massacro in cui i protagonisti scivolano inesorabilmente, è logorante anche per gli spettatori, perché il film (alquanto mediocre), che si spegne con un finale brusco e troppo sospeso ed enigmatico (che sembra un improvviso strappo di pellicola, la beffa conclusiva), dopo aver messo, non solo metaforicamente, troppa carne al fuoco, risulta decisamente pesante. Difatti, dallo svolgimento narrativo ai deliri semi-onirici, passando per i siparietti grotteschi con la presentazione delle vivande e la fastidiosa voce over, fino alla poca "cordialità" del piccolo viziato piromane al quale vorresti riempire la faccia di schiaffi, non c'è un solo elemento che funzioni. Ne la regia, in tal senso ho fatto bene ad evitare di vedere Gli invisibili dello stesso regista, ne la recitazione, decisamente mediocre malgrado la presenza di illustri attori. Voto: 4,5

Nove lune e mezza (Commedia, Italia 2017): Sembra strano a dirsi, ma è la verità, perché quest'opera prima di Michela Andreozzi (che si riserva il ruolo della protagonista e che si fregia del titolo di film coraggioso e all'avanguardia), sembrerebbe rappresentare un manifesto politico della sinistra Italiana. C'è infatti un po' tutta la carne al fuoco (forse anche troppa) di quelli che chiamano "diritti civili". Proprio perché la commedia (che mette alla berlina la religione cristiana e i suoi concetti) sembra avere come unico interesse quello di supportare tutti gli stereotipi del politicamente corretto. Non a caso il film, che racconta di due sorelle molto diverse tra loro ma molto unite tanto che una delle due pur di far realizzare il sogno di maternità di Tina, acconsentirà a portare in grembo (grazie all'intervento di un ginecologo gay) il figlio di sua sorella, il tutto all'oscuro della loro strampalata famiglia (dando così origine ad una serie di equivoci e situazioni tragicomiche...ma il lieto fine è assicurato), si propone l'obiettivo di proporre un tema urgente e complesso sotto una luce leggera, che necessariamente sdrammatizzi e smussi gli spigoli della questione, quella della gravidanza surrogata e delle conseguenti adozioni, ne viene fuori però l'ennesima "commedia brillante" di questi anni, fatta esattamente allo stesso modo di tutte le altre. Ovverosia basandosi essenzialmente sulla presenza in scena degli interpreti (non eccelsi, non disastrosi: Claudia Gerini, Giorgio Pasotti, Lillo di Lillo & Greg, Stefano Fresi, Paola Tiziana Cruciani, con un simpatico cameo di Arisa) e portando avanti un canovaccio blando per novanta minuti alla ricerca di equivoci risaputi e battutine politicamente corrette e conseguentemente innocue, da risate a denti stretti. Sostanzialmente il dibattito neppure si apre: la materia in discussione è trattata con troppa superficialità. Tanto che alla fine si ha la sensazione che il tutto sia servito solo per mandare messaggi politici evidenti e dire "i figli non sono di chi li mette al mondo ma di chi li cresce". Per carità, il film (comunque didascalico, moralistico e consolatorio) si lascia vedere, è abbastanza leggero e scorre dignitosamente (anche se pochissimi sono i momenti divertenti e mal riuscito è un tentativo di colpo di scena finale), ma al termine della visione non lascia nulla allo spettatore. Voto: 5

Blood Father (Azione, USA, Francia, 2016): Un film che prova a distinguersi dal minestrone che è diventato questo genere, ma fallisce miseramente, toccando punti di idiozia difficilmente raggiungibili (qui difatti non c'è una storia che non sia stata già vista e rivisitata). La pellicola infatti, adattamento cinematografico del romanzo omonimo scritto da Peter Craig, qui anche co-sceneggiatore e produttore, e nonostante un regista "importante", ovvero quel Jean-François Richet di Nemico Pubblico Nr. 1Assault on Precint 13, non offre alcuno spunto per poterci avvincere o sorprendere, nemmeno una tenace tecnica di ripresa che esalta le scene d'azione e le sparatorie sanguinose che attraversano il thriller. D'altronde il film, che si apre con una scena molto interessante, e che ci racconta di un padre che torna in azione per aiutare la figlia finita in un mare di guai con la criminalità, è un prodotto abbastanza bruttino con uno sviluppo banale e scontato. Non c'è inoltre un approfondimento degno di questo nome, il rapporto tra padre e figlia è troppo prevedibile e c'è una serie incalcolabile di banalità e di buchi di sceneggiatura. Senza dimenticare che la ragazza, seppur interpretata dalla bella e brava Erin Moriarty, è troppo antipatica, e il personaggio del padre, interpretato da Mel Gibson (che grazie al fisico culturista non sfigura totalmente, anche se sarebbe meglio continuasse a fare il regista, perché più che discreto è La battaglia di Hacksaw Ridge), è abbastanza squallido. Ancor più deludente il resto, anche il finale che, seppur diverso rispetto ai soliti finali di questi film, l'ho trovato davvero di pessimo gusto, anche se avrebbe avuto il suo effetto, se la resa filmica non fosse stata così scarsa. Ho trovato tristissimo inoltre il ruolo affidato al bravo William H. Macy, e ho trovato tristissimo vederlo relegato nel suo "inutile" ruolo. Tanto che alla fine l'unico aspetto positivo (oltre comunque ad una passabile prova attoriale anche di Diego Luna) è la durata non eccessiva (non arriva neanche 90 minuti). Non a caso Blood Father è probabilmente un un film perfetto per tutti coloro che hanno voglia di staccare la spina per un po', ma non è un film per coloro che cercano anche qualcosa in più rispetto a quello che non si è già visto. Tuttavia non totalmente bocciato ma neanche lontanamente promosso. Voto: 5

Lasciami per sempre (Commedia, Italia 2017): Quando c'è, la famiglia ti pesa e, quando non c'è, ti manca. Sostanzialmente, intende ribadire questo la pellicola (e dubito servisse questo film per dire ciò, anche perché granché oltre essa non va), una commedia corale scritta dalla regista Simona Izzo insieme a Matteo Bondioli. Una commedia italiana sulla famiglia allargata tuttavia piena di luoghi comuni, di dialoghi risibili e personaggi troppo stereotipati. Perché in sostanza quest'opera, in bilico tra dramma familiare e commedia sentimentale (a base di coppie scoppiate, che scoppiano o in procinto di nascere), un'opera esuberante e caotica, seppur girata con un piglio anarchico e sincero, per un tema che evidentemente le sta molto a cuore, non è del tutto riuscita. Lasciami per sempre infatti, che racconta di una madre che organizza una festa di compleanno al figlio Lorenzo che compie vent'anni, riunendo così l'allargatissima famiglia, non è ben amalgamato e la sceneggiatura (decisamente negativa la prima ora piena di un'accozzaglia di personaggi così grottescamente folli da sembrare quasi irreali, solo passabile la mezz'ora finale perché più amabile, briosa e con qualche buona intenzione) è chiassosa e zoppicante. Un lavoro insomma accurato nella confezione, ma dalla scarsa consistenza sul piano dei contenuti (malgrado le sue buone intenzioni), basato su una serie di caratterizzazioni anonime nella loro sgraziata mancanza di garbo, di misura. Inoltre momenti comici sbagliati, interpretazioni sopra le righe di tutto il cast, tutti abbastanza acerbi i "giovani" soprattutto come presenze scenografiche (Myriam CataniaAndrea BellisarioMarco Cocci) mentre abbastanza in linea quelli adulti (Barbora Bobulova, Maurizio Casagrande, Valentina Cervi e Max Gazzè, l'unico in verità perfetto nel ruolo e che si fa abbastanza apprezzare, soprattutto per il brano inedito incluso nella passabile colonna sonora, anche se il migliore è il più vecchio di tutti, Mariano Rigillo) e situazioni troppo banali, grottesche e scontate, non aiutano la riuscita di un film appunto caotico e abbastanza noioso. Certo, si fa vedere, anche perché è leggero, tuttavia nel complesso i 100 minuti passano troppo prevedibilmente, con un gran finale altrettanto telefonato nella sua ricerca ostinata di una soluzione accomodante e pacificante. Davvero troppo poco. Voto: 4

E ora i film scartati:
Piena di grazia Banale seppur "importante" film religioso sulla vita di Maria di Nazareth tranquillamente evitabile
Totem Inedito horror francamente evitabile perché certamente brutto e probabilmente convenzionale
Ovunque tu sarai No, non c'entra niente il tifo, è solo che questo film retorico e banale è bene evitare
Like.Share.Follow. Imbarazzante horror che puzza di già visto da lontano un miglio
Pane dal cielo No comment, retorico e stereotipato
Volo Pan Am 73 Certo, è una storia vera, ma quando Bollywood incontra il thriller il risultato non può che essere banale, scontato e retorico
La vendetta di Luna Sconosciuto thriller tedesco che di originale non ha praticamente niente, perché perder tempo?
It Came from the Desert Inutile adattamento filmico, perché di scarso livello e qualità, di un classico gioco degli anni '80

9 commenti:

  1. Ho visto solo Lasciami Per Sempre (abbastanza di recente). A me è piaciuto parecchio, col mio applauso finale verso il televisore da deficiente. Un 7 glielo do volentieri.
    Nonostante ciò concordo con molte cose che scrivi, come i personaggi stereotipati che fanno molto famiglia allargata americana (anche un po' moderna per via della lesbisca) ma per me non sono un problema. Oppure che sia chiassosa ma ai fini della trama ci sta. Max Gazzè mi ha sorpreso, non sarà un grande attore ma come scrivi tu il suo personaggio è riuscito. Il cast in generale mi ha soddisfatto, nonostante avessi recuperato il film solo per Casagrande (ma mi aspettavo di più da lui).

    Degli altri per ora mi attira solo Blood Father.

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    1. Abbiamo avuto due visioni completamente diverse mi pare, poiché a parte le cose su cui concordiamo dissento del resto, non so, forse perché ne avrò visti di simili e di migliori, che questi film banali non li sopporto più..
      Effettivamente Blood Father sembra poter soddisfare molte tue richieste in ambito action, e anche se non mi è tanto piaciuto, ti dico buona visione ;)

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  2. Come ho anche scritto non l'ho bocciato, tuttavia a parte il piccolo "omaggio" agli '80, poco è davvero convincente, per gli atri invece pare proprio che tu abbia fatto bene ;)

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  3. Anche a questo giro, posso tirare un sospiro di sollievo e continuare a rigar dritto senza recuperare certi titoli, grazie per esserti sacrificato ;)

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    1. Il problema è che io non vorrei, ma purtroppo capita ;)

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  4. non ne ho visto neanche uno!
    quello su Hemingway mi avrebbe ispirato ad essere sincero, ma se dici che sono 150 minuti di relativa inconcludenza mi sa che passo... :-D

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    1. Non che avessi tanti dubbi che non li avresti visti, tranne ovviamente Hemingway, in cui quello che viene fuori è un polpettone dove il suo personaggio sinceramente fa solo pena, quindi faresti benissimo a passare ;)

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  5. gli ultimi film con richard gere che ho visto sono statti davvero molto deludenti :(

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    1. Anche per me stessa cosa, tuttavia non ho ancora capito se è lui o il film il problema..

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