E' cominciato un nuovo anno, ma è sempre la stessa storia, io cerco di selezionare per bene i film che scelgo di vedere, però sarà forse colpa mia (più certamente dei film mi sento di ribadire) che mi ritrovo con parecchie mediocre pellicole ad aver purtroppo visto. Pellicole che in questo mese di Gennaio, per via dell'assenza del suddetto post lo scorso mese (le classifiche finali, anche quelle dei peggiori, hanno riempito parecchio spazio) sono aumentate in quantità, ma purtroppo non in qualità. Ma non per questo comunque che vi sconsiglio questi film, però state attenti a quello che desiderate vedere.
Nemesi (Thriller, Usa 2016): Cosa succede quando uccidi il fratello di una delle più abili chirurghe del pianeta? Che lei ti fa rapire e ti cambia sesso. Questo è quello che accade nei primi venti minuti dell'ultima fatica del regista Walter Hill, vecchia conoscenza del cinema anni '80. Infatti, quando il killer per contratto Frank Kitchen uccide il dissoluto Sebastian Jane, che deve dei soldi alla mala, la sorella della vittima, la Dott.ssa Rachel Jane, chirurgo plastico geniale e body artist, radiata dall'ordine dei medici, medita una vendetta veramente atroce e pedagogica, nelle sue intenzioni, ma Frank non ci pensa proprio a ripartire, non cerca redenzione ma solo vendetta. Dicevo le intenzioni, se quelle di Michelle Rodriguez (con tanto di ridicoli protesi al naso e barbetta finta) tutto sommato riescono, quelle del regista si infrangono immediatamente, anche perché ci vuole una bella dose di sospensione dell'incredulità per star dietro al racconto, che sembra carente proprio in quelli che dovrebbero essere i suoi punti di forza. Difatti, nonostante uno spunto interessante, che viene oltretutto e sostanzialmente ignorato, il film non funziona. Giacché un paio di nudi integrali della protagonista non possono aprire riflessione alcuna sull'impatto emotivo dovuto al cambiamento di sesso, al massimo accennano ad un idea di carnalità che però rimane in superficie, fine a se stessa, un film sulla vendetta, ci tiene il regista a sottolineare questo aspetto, guardandosi bene dal fornire spiegazioni sul cambio di sesso imposto come una punizione. Ed allora, così epurato, il film diventa un banale film sulla vendetta, abbastanza volgare ed inutilmente violento, girato senza un filo di ironia (bel difetto per un "B movie"), una brutta copia di "Jimmy Bobo", tanto per citare un recente lavoro del regista. C'è ben poca azione in Nemesi, i personaggi parlano troppo e spesso a sproposito, il racconto avanza in modo farraginoso e artefatto. Non fosse per Michelle Rodriguez (che concede più corpo, sempre se era il suo davvero, che anima al personaggio, ma con risultati alterni) e per Sigourney Weaver (lei sempre ottima, che vince a mani basse il duello fra star, dimostrando che la classe non è acqua), si sarebbe tentati di mollare il film al suo destino dopo soli 5 minuti. Non lo si fa, ma alla fine i 95 minuti o giù di lì di visione finiscono nel vuoto cosmico. Voto: 4
40 sono i nuovi 20 (Commedia, Usa 2017): Figlia di due registi di commedie di successo come Charles Shyer (Il padre della sposa) e Nancy Meyers (Tutto può succedere, L'amore non va in vacanza), l'esordiente Hallie Meyers-Shyer cerca di rifarsi allo stile materno con una pellicola godibile e inerente ai rapporti uomo-donna. In questo caso si gioca, e il titolo italiano lo sa bene, sulla fascinazione che i ragazzi ventenni provano per le donne quarantenni, ma al di là di questo spunto, che comunque di per sé non basta a generare situazioni divertenti, non ci sono altre idee degne di nota in una sceneggiatura (mai concreta, mai credibile) che procede col pilota automatico, tra svolte narrative prevedibili (il ritorno dell'ex marito di lei) e gag forzate (e fastidiose estremizzazioni di buonismo ed ottimismo, oltre ad un semplicismo narrativo). La messinscena della neo-regista non è mai vibrante (la fotografia è eccessivamente artificiosa) e si adagia sui bassi standard delle tante pellicole hollywoodiane fatte con lo stampino dello stesso genere (anche la colonna sonora, curata dal candidato all'Oscar John Debney, si riduce ad un semplice ensemble di tracce senza spessore, che potrebbero spazientire più che intrattenere). Il lungometraggio pecca poi nella caratterizzazione dei protagonisti, estremamente monocordi e bidimensionali. La figura della protagonista appare anzitutto vuota, incapace di rispecchiare le sfaccettature emotive e personali di una persona neo-separata. Reese Witherspoon, che da sempre oscilla tra ottime interpretazioni (Quando l'amore brucia l'anima, Come l'acqua per gli elefanti, Mud) e scelte opinabili (Wild, Fuga in Tacchi a Spillo), risulta inoltre eccessivamente artefatta, soprattutto nei frangenti di felicità. Ottimi sono invece i co-protagonisti Pico Alexander, Nat Wolff e Michael Sheen, che devono tuttavia confrontarsi con personaggi ugualmente inconsistenti. E quindi, per colpa di una regista inadatta e di una sceneggiatura leziosa, 40 sono i nuovi 20 è perciò un lungometraggio impersonale e forzato, incapace di coinvolgere veramente. Un film debole nello spunto iniziale e mal costruito. Voto: 5
Berlin Syndrome (Thriller, Australia, 2017): Un dramma psicologico dove i momenti thrilling sono pochi e telefonati. La durata di quasi due ore presupponeva una storia densa di emozioni e di momenti importanti, invece il regista (una certa Cate Shortland) si perde in lungaggini inutili e scene poco credibili, mostrando poca inventiva e scarsa propensione a colpire in maniera significativa. Il finale raffazzonato è la prova di uno script eccessivamente prolisso che al dunque si perde per strada e non soddisfa pienamente. Il film infatti, che racconta, com'è ovvio, di una fotoreporter australiana che dopo una notte di passione con uno sconosciuto viene segregata in casa da quest'ultimo, che non alcuna intenzione di lasciarla andare via e che ha poche possibilità di liberarsi (più o meno), non convince. Bene ma non benissimo il cast, dove è sicuramente da notare la presenza di Teresa Palmer, anzi, del suo corpo nudo e sensuale (forse l'unica cosa buona su cui concentrare la visione, in tal senso di primo acchito sembra di trovarsi nelle atmosfere torbide di Ultimo tango a Parigi, con i due protagonisti preda delle proprie pulsioni erotiche, le cui identità restano mascherate e che sembrano non svelarsi mai), ma Berlin Syndrome (che vorrebbe associare il titolo ad una specie di sindrome di Stoccolma, ma senza i giusti presupposti) ha altri difetti che non gli permettono di raggiungere, a mio avviso, la sufficienza, peccato, perché le potenzialità le aveva. Perché certo, questo psico-thriller ha dinamiche inquietanti ed interessanti, ma il film, basato sul romanzo omonimo di Melanie Joosten, perde presto tensione e attrattiva, diventa prevedibile e troppo esteso, barcollando verso una conclusione problematica e insignificante. Voto: 5
Aspettando il Re (Commedia, Film drammatico, Usa 2016): Dall'omonimo romanzo di Dave Eggers (lo stesso autore che fu alla base del mediocre The Circle), un film che parla di seconde possibilità: dopo aver fallito in America, il protagonista prova a dare una svolta alla sua esistenza, umana e professionale, andando in Medio Oriente, la burocrazia araba, però, si rivela un ostacolo piuttosto ostico e il re continua a rimandare l'incontro. Un film che si caratterizza per un buon ritmo, per una scrittura originale e una regia vivace. Le tragicomiche e surreali avventure di Alan Clay si seguono volentieri e sono piuttosto coinvolgenti. Questa sorta di Aspettando Godot diventa il punto centrale del film, occasionalmente variato dalle bevute clandestine di superalcolici in un paese dove è ufficialmente vietato, da un'addetta commerciale danese in vena di avventure sessuali, da visite alla casa avita dell'autista passando per La Mecca, ma soprattutto dall'incontro con una dottoressa che sembra comprendere il povero Clay meglio di tanti altri. Tuttavia l'opera di Tom Tykwer (Lola corre, Profumo, The International) appare troppo discontinua e frammentata (come il suo protagonista gira a vuoto in azioni senza senso che lasciano lo spettatore senza appigli), e imperdonabilmente superficiale nell'affrontare le complesse tematiche di confronto religioso e politico tra due civiltà così profondamente diverse. E la storia d'amore tra Alan e la bella dottoressa araba, un po' alla tutti vissero felici e contenti con tanto di suggello alla loro passione mediante immersione della coppia (con lei addirittura a seno nudo) nelle cristalline acque del Mar Rosso appare alquanto improbabile se non improponibile. E così mentre Tom Hanks fa il suo ma non è certamente al meglio, il regista non riesce affatto a fare del suo meglio, anzi, anche il finale, finale che in questa pellicola vorrebbe parlare dell'odierna crisi economica, ma che si limita a mettere in fila una serie di sequenze sfilacciate e mai pungenti, è deludente. E quindi Aspettando il Re, una pellicola che appunto ci parla della "solita storia" in cui un uomo lontano da casa finirà per fare un bilancio della sua vita, è un'occasione sprecata. Voto: 5
Beata ignoranza (Commedia, Italia 2017): Massimiliano Bruno dopo l'ambizioso e drammatico Gli ultimi saranno gli ultimi fa un passo indietro e torna a dirigere una commedia dai toni farseschi, una commedia che cavalca l'onda (furba) di un nuovo trend inaugurato da precedenti modelli come Perfetti Sconosciuti: commedie in grado di partire da un forte legame con la realtà e l'attualità, per poi strutturare un'amara e cinica riflessione sui nostri usi, consumi e debolezze stemperandole tra gag e battute agrodolci, ma se nel "capostipite" firmato da Paolo Genovese l'equilibrio raggiungeva il proprio zenit nella commistione tra risate e amarezza, in Beata Ignoranza la scrittura a tre mani (tra questi lo stesso regista), non è dotata della stessa abile lungimiranza dal taglio chirurgico, anzi, il regista si lascia prendere dalla frenesia di raccontare e trattare troppi argomenti, senza riuscire ad amalgamare in maniera scorrevole, divertente e compiuta i tanti ingredienti cui attinge. Comicità e sentimento, riflessione e risata, critica e satira, hanno un sapore poco autentico e immediato, quando non addirittura insipido e stantio. A risentire della scarsa attinenza al reale sono specialmente le caratterizzazioni davvero evanescenti dei personaggi femminili interpretati da Carolina Crescentini, Teresa Romagnoli e Valeria Bilello, vittime di una scrittura confusa e disorganica, incerta e incompleta, come se fossero lette attraverso un occhio annoiato gettato sulla realtà stessa. Il prodotto finale finisce così per risultare confuso e disorganico, afflitto da uno schizoide bipolarismo tra cattiveria arguta e buonismo da prime time televisivo, e solo l'alchimia comica tra Marco Giallini e Alessandro Gassmann salva il film da una rovinosa caduta nel baratro dell'oblio, grazie al loro talento navigato da esperti comedienne. E quei messaggi positivi di indipendenza, libertà, determinazione e autosufficienza purtroppo non passano dopo la visione di Beata Ignoranza (nel complesso si sorride davvero poco e non arriva mai quella riflessione intelligente, spiazzante e inaspettata che ti faccia rivalutare la visione, anche perché anche la classica storia di paternità e famiglia viene sommersa dai troppi elementi messi sul fuoco con poca armonia). E lo stesso triste destino spetta al cuore del film (un film che se ancora non l'avete capito parla di due professori che per una scommessa, uno detesta la Rete, l'altro vive connesso ai social, devono scambiarsi i ruoli), quella polemica (social sì, social no) che non trova una risposta definitiva, finendo per rimanere del tutto soffocata e inespressa. Insomma un film che si regge sui due attori principali, che in quanto essere umani non possono far miracoli in una commedia che scivola però nell'anonimato più puro. L'impressione è che si potesse fare molto meglio. Voto: 5+
La rivoluzione di Charlie (Commedia, Usa 2016): Commedia sentimentale noiosa e incolore. Giovane single, impegnato in un lavoro monotono e ripetitivo, vive ancora con la madre e il patrigno. Si prende una cotta per una ragazza già impegnata e in più si ritrova tra i piedi il padre (Christopher Meloni in abiti sordidi) cialtrone e lestofante (in un rapporto curiosamente che è l'unica cosa autentica e percepibile all'interno del film, un valido e credibile legame figlio di una antica amarezza e di un profondo risentimento). Non prende iniziative, si lascia vivere passivamente e subisce questo sentimento, anche quando le cose potrebbero prendere una piega a lui favorevole, non sembra prendere in mano la faccenda. La rivoluzione di Charlie (Almost Friends) è un film che vede affiancarsi i due ex bambini prodigio Freddie Highmore e Haley Joel Osment (non dimenticando Odeya Rush), un teen drama che tocca tematiche piuttosto serie, come la disfunzione genitoriale, la gravidanza e i traumi emotivi. Il dramma diretto da Jake Goldberger è inizialmente delicato e divertente ma, con il proseguire della storia, non riesce ad avere una forma e risulta privo di personalità. Ciò che non convince è l'impatto della narrazione, le scelte che compie Charlie sono poco ispirate e sembrano non veicolare alcuna vera urgenza, alcuna intensità. La performance di Highmore non arresta il declino della pellicola, che è evidentemente piatta, piena di cliché, un esitante manierismo: l'attore non riesce a mettere a fuoco il suo personaggio, che ha una personalità maldestra, profonda nel suo dolore ed auto-ironica. Perché se La rivoluzione di Charlie da un lato coglie l'afflizione e il distacco che c'è tra Charlie e il padre, dall'altro sembra non possedere altri momenti intensi o che conferiscano alla trama una vera drammaticità memorabile. Il film non riesce a culminare e a portare la storia ad un climax, la sceneggiatura di questo "coming of age" è dispersiva, logorante e sperpera ogni attenzione drammatica ponendo al centro di tutto l'amore infelice che Charlie prova per Ambra, il cui esito appare tristemente prevedibile già dalle prime scene, invece di focalizzarsi sulla rinascita, sulla rivoluzione emotiva ed esistenziale di un ragazzo evidentemente in crisi, bloccato in un'impasse. E insomma commedia sentimentale senza identità, come il suo protagonista, non diverte e non offre nemmeno spunti di riflessione. Voto: 5
Gli sdraiati (Dramma, Italia 2017): Con questo film, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo si imbarcano nella difficile impresa d'analizzare il mondo giovanile da due punti di vista, ovviamente opposti: quello del padre e quello del figlio. Ma non solo: il film si propone di mettere in scena anche l'analisi della difficile vita di un bambino e di un adolescente, figli di genitori separati. Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Michele Serra, Gli Sdraiati promette uno spaccato nella vita di una famiglia divisa, analizzando le mille difficoltà che, da ambo i lati, si devono affrontare per ottenere una pacifica convivenza. Si propone di farlo con leggerezza, con un doppio sguardo a seguire in modo molto intimo le vite dei due protagonisti, nel loro cammino verso la ricongiunzione. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Nonostante i più che nobili intenti, Gli Sdraiati soffre di grandi pecche, prevalentemente nella sceneggiatura, che rendono il film debole e incapace tanto d'approfondire la tematica, quanto di portare a compimento almeno una delle trame presentate. Vive di superficialità nel senso più stretto del termine: rimane a galla, senza mai sondare davvero alcuna tematica. Ogni sotto-trama resta ferma all'introduzione: veniamo a conoscenza della radice dei problemi comportamentali di Tito, ma non ci è fornita una soluzione, conosciamo i problemi relazionali di Giorgio, ma questo non ci permette di vedere un finale, lieto o tetro che sia. Una trama a metà, spezzata, che sottolinea i problemi ma non è in grado d'essere propositiva. Ma il problema non si pone solamente nell'assenza di una proposta risolutiva, che pure potrebbe mancare. Gli Sdraiati si caratterizza per una totale tendenza all'unilateralità, all'incapacità di vedere concretamente il mondo con gli occhi di un giovane e, soprattutto, nel saperlo dipingere. Ogni comportamento dei ragazzi è una sequela di facili stereotipi, tutti raggruppati a formare un mostro tentacolato, nessuna delle azioni e reazioni, da ambo le parti, riesce a godere della benché minima credibilità. Infatti il ritratto generazionale non funziona perché ogni elemento portato in scena è spinto al parossismo finendo per privare il pubblico del piacere della condivisione di sensazioni con i personaggi, figurine monodimensionali prive di umanità e che stancano dopo pochi minuti. A proposito dei personaggi (oltre ad una sprecata ed abbastanza inutile Donatella Finocchiaro, così come Barbara Ronchi, una barista della RAI purtroppo estremamente sacrificata dall'evolversi degli eventi), un gigantesco punto interrogativo riguarda Antonia Truppo, costantemente sopra le righe nell'interpretare una domestica trapiantata al nord che riveste un ruolo fondamentale nell'economia dello sviluppo narrativo del film. Un film in cui parzialmente a salvarsi è Claudio Bisio, ma non appunto la pellicola che scorre via, mentre si va altrove con la testa. Voto: 5
Fortunata (Dramma, Italia 2017): Per il suo sesto lungometraggio da regista, Sergio Castellitto torna a lavorare sia con la moglie Margaret Mazzantini, che questa volta firma una sceneggiatura originale, sia con Jasmine Trinca, dopo il deludente Nessuno si salva da solo. Purtroppo, Fortunata è l'ennesimo passo falso dietro la macchina da presa del regista romano, prigioniero di un racconto che si sforza in tutti i modi di apparire anticonvenzionale, risultando invece pieno zeppo di cliché (dai cinesi super integrati e "bravissimi coi soldi", fino agli islamici preganti sulle rive del Tevere, il film inanella una serie infinita di banalità da cui nemmeno dei bravi interpreti come Stefano Accorsi e Alessandro Borghi riescono a uscirne). La storia infatti non regge la durata di un film, e la regia, che sembra mettercela tutta per intrattenere il suo pubblico ma non ci riesce. In una Roma calda e vuota scorrono le vicende di vita di Fortunata (un personaggio molto forte e ben definito, oltre ad essere ben interpretato dalla Trinca), le sue paure, i suoi problemi economici e sentimentali (donna vitale che vive alla giornata, a volte sopravvive in un contesto, povero di certezze e denso difficoltà, specialmente se si vuole coltivare un sogno). Forse si intravede una vena neorealista, quella rosa del romanzo d'appendice, quella sociale, addirittura anche politica, fatto sta che c'è troppa carne al fuoco e non si riesce a capire dove si voglia andare a parare. Noioso e scontato si aspetta sempre una svolta promessa che non arriva mai. Peccato perché Castellitto dirige non malissimo questo film e gli attori, tutti sono efficaci nell'interpretazione dei ruoli assegnati: brava Jasmine Trinca (non a caso vincitrice di un premio a Cannes, dove il film è stato presentato ed anche un David di Donatello), di più la piccola Nicole Centanni nell'interpretare il ruolo della piccola Barbara (non dimenticando un Edoardo Pesce davvero credibile nel ruolo del padre/marito prevedibilmente violento). Una prima parte che convince, una seconda che perde di misura e diventa quasi isterico e sopra le righe. Vuole mettere sul piatto molte cose, ma ne porta avanti meno di quanto voluto. La storia insomma non funziona, il momento migliore del film è "Vivere" di Vasco, canzone che chiude un film che, nonostante la critica acclamante, non mi ha convinto. Voto: 5+
Insidious - L'ultima chiave (Horror, Usa 2018): Dopo un terzo capitolo prequel assolutamente non all'altezza (almeno personalmente parlando, qui), questo quarto (e in teoria ultimo) capitolo del franchise Insidious (il secondo senza James Wan alla regia, che cronologicamente rappresenta il secondo capitolo della serie, precedente agli avvenimenti dei primi due film) ha qualche guizzo interessante, pur affogando nella mediocrità in cui cadono vittima tutti gli horror degli ultimi anni. Continuano quindi le avventure della sensitiva Elise (Lin Shaye), in eventi antecedenti al primo Insidious per ovvi motivi di trama. In questo capitolo lei (un personaggio che ho comunque odiato dal primo momento) e la sua squadra personale di "acchiappafantasmi" dovranno tornare nella dimora d'infanzia di lei, infestata da uno spirito maligno che turba le notti dei nuovi inquilini. Nulla di nuovo sotto il sole e nell'Altrove. Solite regole, soliti cliché standard della narrativa horror e poco più. L'abbandono di Wan, dopo che ha firmato la regia dei primi due capitoli, da molti non vista come la vera forza del franchise, dimostra proprio l'opposto: senza un regista talentuoso (Adam Robitel proprio sembrerebbe non esserlo), Insidious ormai è alla mercé di Leigh Whannell, creatore e sceneggiatore di tutta la saga, che testa e sperimenta nuovi modi per allargare ipotetiche potenzialità ormai sfruttate in tutti i modi possibili. Insidious – L'ultima chiave è quindi un distributore di climax senza sorprese, che eroga dosati e oscuri Jumpscare in momenti perlopiù prevedibili. Certo, il film si lascia guardare con un minimo di gusto, grazie a una sceneggiatura che cerca (seppur forzatamente) di ricollegarsi al primo capitolo e a un pizzico di sana autoironia, utile nel compiacere il pubblico pagante. A questi due aspetti si aggiunge un reminiscente evento retroattivo che approfondisce il legame di Elise con l'oscuro, a supporto tanto della storia quanto dell'evoluzione della stessa protagonista. Va un po' meglio, invece, se guardiamo alla sola creatura demoniaca di turno: questa ha un background e un design interessante, ed è l'unico elemento che giustifichi la continua evoluzione de l'Altrove, le cui potenzialità, film dopo film, appaiono da un lato notevoli, ma dall'altro palesano evidenti limiti narrativi, che intralciano soventemente la concretezza finale dell'opera. A discapito quindi della qualità, questo capitolo di Insidious (non proprio migliore del terzo) cerca di compiacere gli appassionati del genere. Ai fan della saga viene fornito un finale utile a rileggere gli altri capitoli da un punto di vista nuovo, certo non necessario, ma comunque utile per continuare con altri film in futuro. Nonostante questi buoni presupposti, purtroppo il film si limita a fare il compitino: è un film godibile, più thriller che horror, ma privo di qualsiasi acuto. Voto: 5
Altamira (Dramma, Spagna, Francia, 2016): Il merito maggiore di questo film (Finding Altamira) diretto da Hugh Hudson è quello di mettere in evidenza un fatto storico come la scoperta delle antiche pitture nella grotta di Altamira. Scoperta che suscitò sia interesse che grande contrarietà, Marcelino Sanz de Sautuola infatti, si trovò a dover persuadere scettici e increduli, tra cui uomini di scienza e uomini di chiesa, che avanzarono formalmente forti dubbi sia sulla datazione dei dipinti che sulla loro effettiva validità. Accettare l'autenticità di quelle pitture rupestri, non solo avrebbe significato un capovolgimento delle credenze sui Paleolotici, ma avrebbe turbato e cambiato in modo determinante anche la percezione dell'uomo secondo la chiesa, che considerò fin da subito quei graffiti un attacco alla verità della Bibbia. In tal senso è intrigante ed avvincente osservare come il protagonista si troverà al centro di due fuochi, accusato di calunnia e di eresia, ma se dal punto di vista prettamente storico la trama riesce a suscitare interesse nello spettatore, dal punto di vista narrativo ed espositivo Altamira non eccelle e né riesce a rendere omaggio ai protagonisti di una vicenda così singolare. Ciò che manca in una pellicola come questa è un intreccio febbrile, muscolare, pronto a reggere un'avvenimento storico di tale portata con tutte le sue conseguenze, sia inconfutabili che oppugnabili. Infatti nonostante l'input della scoperta, del contrasto tra scienza e religione, tra matrimonio e voglia di conoscenza, niente riesce ad emozionare lo spettatore, giacché tutto viene raccontato in maniera schematica, senza grande verve e con pochi acuti. Antonio Banderas porta avanti una performance strutturata, spesso austera, ma godibile, che nulla può però davanti al resto delle caratterizzazioni ed interpretazioni, per niente compatte o allineate (troppo tipicizzate) con la storia e assolutamente fuori parte (su tutti Rupert Everett, bene invece Golshifteh Farahani e Clement Sibony). Per quanto Altamira sia aiutata da una buona fotografia, la sua trama fin troppo semplicistica ci porta a dover asserire quanto le sue tematiche pungenti ed edificanti siano messe in scena senza alcun approfondimento, a partire dall'oscurantismo clericale e antiscientifico sino ad arrivare ai dogmatismi antropologici. Non c'è espressività o impegno nella costruzione narrativa, la sceneggiatura non scalfisce nemmeno la superficie delle ostilità che vive il personaggio, sempre diviso tra chiesa e scienza, credenze e dottrine. Un film che, in ultima analisi, non riesce a rendere giustizia né ai personaggi realmente esistiti, né agli interpreti e né alle delicate tematiche che tenta drammaticamente di raccontare. Perché è scontato il valore didattico della pellicola, ma, nonostante tutto, stenta ad appassionare totalmente chi guarda (alcuni passaggi "animati" poi sono davvero ridicoli). Non è un caso che il film non sia passato dalle sale cinematografiche italiane, ma direttamente in DVD. Voto: 5
L'accabadora (Film drammatico, Italia 2015): La storia delle ''accabadora'', donne della Sardegna rurale che secondo alcuni (è ancora aperto il dibattito antropologico infatti sulla loro esistenza, alcuni sostengono siano leggende, altri che siano realmente esistite) negli anni della guerra praticavano una sorta di eutanasia ai malati in fin di vita, può anche essere interessante ed utile è girare un film su un tale argomento (come è stato riconosciuto dallo stesso ministero dei beni culturali), ma sarebbe stato più efficace (e forse meno noioso) girare un documentario, perché questo film ha tutte le caratteristiche di un polpettone soporifero, imbarazzante per certi versi, non in grado di trasmettere alcuna tensione emotiva. La mancanza di dialoghi è forse il difetto principale (e quelli che ci sono neanche eccezionali, anzi, attori con accenti e lingue diverse in una storia che si svolge in una terra in cui al tempo la maggior parte degli abitanti erano analfabeti o parlavano soltanto il dialetto, non aiutano), una sceneggiatura pensata ed organizzata male, con pochi colpi di scena, un andamento piatto in cui fin da subito è facile intuire la conclusione. Proprio perché i silenzi ripetuti hanno sì un ruolo importante nel film di Enrico Pau, ma spesso risultano (per non dire sempre) poco comunicativi all'interno di una narrazione appunto già scarna. Donatella Finocchiaro interpreta bene, anzi, proprio la prova dell'attrice catanese è una delle cose migliori del film (che come detto soffre di una certa lentezza narrativa e, cosa più importante, di un montaggio a tratti poco incisivo, dato che il racconto a ritroso provoca un po' di incertezza e confusione), un'Annetta su cui grava costantemente il peso del compito che deve svolgere: profondamente triste e dolente, appare talvolta spettrale proprio come la città in cui si muove (una Cagliari che emerge come una città fantasma, affascinante ma anche portatrice di profondi lutti, giacché il film è ambientato all'inizio degli anni '40, quando la Guerra inizia a distruggere la città). Sembra però mancare anche a lei la tridimensionalità di un personaggio che non è solo il ruolo che deve svolgere, ma anche un essere umano. Anche gli altri ruoli femminili sono poco convincenti (tra questi quello di Sara Serraiocco e Carolina Crescentini), in un lavoro che forse si è concentrato più sul testo che sull'azione. Il rigoroso lavoro dedicato alla fotografia, alla scenografia, ai costumi poteva quindi raccontare di più. Emerge comunque efficacemente come il terzo film di Enrico Pau non abbia la pretesa di raccontare tanto dell'eutanasia praticata dall'accabadora, quanto il lutto, inteso come il vuoto che esso lascia. Peccato che per farlo la pellicola si trascini per un tempo breve che sembra però interminabile. E insomma ricostruzione scadente di una leggenda affascinante è questa. Voto: 5
Una spia e mezzo (Commedia, Azione, Usa 2016): La commedia in salsa action basata sulla chimica tra i due protagonisti, una versione aggiornata della humpsy-bumpsy (piccolo e impacciato uno, grosso e manesco l'altro) di Rawson Marshall Thurber (Come ti spaccio la famiglia, Palle al balzo) presenta svariati requisiti negativi: le scene d'azione sono mosce, il discorso sugli effetti del bullismo è quanto mai rozzo e inefficace, lo schema narrativo (con il protagonista che non sa su chi riporre la propria fiducia) non usato al meglio e comunque vecchiotto. Il feeling tra il ciarliero Kevin Hart e il possente Dwayne Johnson dona qualche istante ridanciano (soprattutto per merito del primo, comico di razza normalmente male impiegato, ma anche del secondo, che non smetto comunque di amare dopo questa prova leggermente deludente), ma il copione di David Stassen e Ike Barinholtz, cui ha messo le mani anche il regista, è sovente semplicistico e mai esaltante (Jason Bateman è un sadico impiegato che afferma di essere membro di Scientology, abbastanza inutile). La regia è visibilmente volenterosa, ma il citazionismo è scriteriato (che c'entrano Un compleanno da ricordare, Twilight e Jason Bourne?), e la chiusa, con The Rock che si svela in costume adamitico davanti alla folla dei suoi ex compagni di liceo (tra cui c'è persino Melissa McCarthy), è irrealistica e imbarazzante. Vale comunque uno sguardo per l'immagine iniziale, ottenuta in digitale, di The Rock in divertente versione obesa. E comunque di positivo c'è anche la colonna sonora, dal groove rilevante, anch'essa fin troppo poco presente, e i bloopers dopo i titoli di coda. Quest'ultimi fanno molto ridere, tanto da farvi riflettere sul film stesso. Un film (un buddy movie) non orribile né inguardabile, ma irrimediabilmente conformista. Un film leggermente migliore di Un poliziotto in prova e Un poliziotto ancora in prova (entrambi qui) con Kevin Hart protagonista, che può comunque divertire, ma a cui non si può dare la sufficienza cinematograficamente parlando. Voto: 5+
La rivoluzione di Charlie (Commedia, Usa 2016): Commedia sentimentale noiosa e incolore. Giovane single, impegnato in un lavoro monotono e ripetitivo, vive ancora con la madre e il patrigno. Si prende una cotta per una ragazza già impegnata e in più si ritrova tra i piedi il padre (Christopher Meloni in abiti sordidi) cialtrone e lestofante (in un rapporto curiosamente che è l'unica cosa autentica e percepibile all'interno del film, un valido e credibile legame figlio di una antica amarezza e di un profondo risentimento). Non prende iniziative, si lascia vivere passivamente e subisce questo sentimento, anche quando le cose potrebbero prendere una piega a lui favorevole, non sembra prendere in mano la faccenda. La rivoluzione di Charlie (Almost Friends) è un film che vede affiancarsi i due ex bambini prodigio Freddie Highmore e Haley Joel Osment (non dimenticando Odeya Rush), un teen drama che tocca tematiche piuttosto serie, come la disfunzione genitoriale, la gravidanza e i traumi emotivi. Il dramma diretto da Jake Goldberger è inizialmente delicato e divertente ma, con il proseguire della storia, non riesce ad avere una forma e risulta privo di personalità. Ciò che non convince è l'impatto della narrazione, le scelte che compie Charlie sono poco ispirate e sembrano non veicolare alcuna vera urgenza, alcuna intensità. La performance di Highmore non arresta il declino della pellicola, che è evidentemente piatta, piena di cliché, un esitante manierismo: l'attore non riesce a mettere a fuoco il suo personaggio, che ha una personalità maldestra, profonda nel suo dolore ed auto-ironica. Perché se La rivoluzione di Charlie da un lato coglie l'afflizione e il distacco che c'è tra Charlie e il padre, dall'altro sembra non possedere altri momenti intensi o che conferiscano alla trama una vera drammaticità memorabile. Il film non riesce a culminare e a portare la storia ad un climax, la sceneggiatura di questo "coming of age" è dispersiva, logorante e sperpera ogni attenzione drammatica ponendo al centro di tutto l'amore infelice che Charlie prova per Ambra, il cui esito appare tristemente prevedibile già dalle prime scene, invece di focalizzarsi sulla rinascita, sulla rivoluzione emotiva ed esistenziale di un ragazzo evidentemente in crisi, bloccato in un'impasse. E insomma commedia sentimentale senza identità, come il suo protagonista, non diverte e non offre nemmeno spunti di riflessione. Voto: 5
Gli sdraiati (Dramma, Italia 2017): Con questo film, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo si imbarcano nella difficile impresa d'analizzare il mondo giovanile da due punti di vista, ovviamente opposti: quello del padre e quello del figlio. Ma non solo: il film si propone di mettere in scena anche l'analisi della difficile vita di un bambino e di un adolescente, figli di genitori separati. Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Michele Serra, Gli Sdraiati promette uno spaccato nella vita di una famiglia divisa, analizzando le mille difficoltà che, da ambo i lati, si devono affrontare per ottenere una pacifica convivenza. Si propone di farlo con leggerezza, con un doppio sguardo a seguire in modo molto intimo le vite dei due protagonisti, nel loro cammino verso la ricongiunzione. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Nonostante i più che nobili intenti, Gli Sdraiati soffre di grandi pecche, prevalentemente nella sceneggiatura, che rendono il film debole e incapace tanto d'approfondire la tematica, quanto di portare a compimento almeno una delle trame presentate. Vive di superficialità nel senso più stretto del termine: rimane a galla, senza mai sondare davvero alcuna tematica. Ogni sotto-trama resta ferma all'introduzione: veniamo a conoscenza della radice dei problemi comportamentali di Tito, ma non ci è fornita una soluzione, conosciamo i problemi relazionali di Giorgio, ma questo non ci permette di vedere un finale, lieto o tetro che sia. Una trama a metà, spezzata, che sottolinea i problemi ma non è in grado d'essere propositiva. Ma il problema non si pone solamente nell'assenza di una proposta risolutiva, che pure potrebbe mancare. Gli Sdraiati si caratterizza per una totale tendenza all'unilateralità, all'incapacità di vedere concretamente il mondo con gli occhi di un giovane e, soprattutto, nel saperlo dipingere. Ogni comportamento dei ragazzi è una sequela di facili stereotipi, tutti raggruppati a formare un mostro tentacolato, nessuna delle azioni e reazioni, da ambo le parti, riesce a godere della benché minima credibilità. Infatti il ritratto generazionale non funziona perché ogni elemento portato in scena è spinto al parossismo finendo per privare il pubblico del piacere della condivisione di sensazioni con i personaggi, figurine monodimensionali prive di umanità e che stancano dopo pochi minuti. A proposito dei personaggi (oltre ad una sprecata ed abbastanza inutile Donatella Finocchiaro, così come Barbara Ronchi, una barista della RAI purtroppo estremamente sacrificata dall'evolversi degli eventi), un gigantesco punto interrogativo riguarda Antonia Truppo, costantemente sopra le righe nell'interpretare una domestica trapiantata al nord che riveste un ruolo fondamentale nell'economia dello sviluppo narrativo del film. Un film in cui parzialmente a salvarsi è Claudio Bisio, ma non appunto la pellicola che scorre via, mentre si va altrove con la testa. Voto: 5
Fortunata (Dramma, Italia 2017): Per il suo sesto lungometraggio da regista, Sergio Castellitto torna a lavorare sia con la moglie Margaret Mazzantini, che questa volta firma una sceneggiatura originale, sia con Jasmine Trinca, dopo il deludente Nessuno si salva da solo. Purtroppo, Fortunata è l'ennesimo passo falso dietro la macchina da presa del regista romano, prigioniero di un racconto che si sforza in tutti i modi di apparire anticonvenzionale, risultando invece pieno zeppo di cliché (dai cinesi super integrati e "bravissimi coi soldi", fino agli islamici preganti sulle rive del Tevere, il film inanella una serie infinita di banalità da cui nemmeno dei bravi interpreti come Stefano Accorsi e Alessandro Borghi riescono a uscirne). La storia infatti non regge la durata di un film, e la regia, che sembra mettercela tutta per intrattenere il suo pubblico ma non ci riesce. In una Roma calda e vuota scorrono le vicende di vita di Fortunata (un personaggio molto forte e ben definito, oltre ad essere ben interpretato dalla Trinca), le sue paure, i suoi problemi economici e sentimentali (donna vitale che vive alla giornata, a volte sopravvive in un contesto, povero di certezze e denso difficoltà, specialmente se si vuole coltivare un sogno). Forse si intravede una vena neorealista, quella rosa del romanzo d'appendice, quella sociale, addirittura anche politica, fatto sta che c'è troppa carne al fuoco e non si riesce a capire dove si voglia andare a parare. Noioso e scontato si aspetta sempre una svolta promessa che non arriva mai. Peccato perché Castellitto dirige non malissimo questo film e gli attori, tutti sono efficaci nell'interpretazione dei ruoli assegnati: brava Jasmine Trinca (non a caso vincitrice di un premio a Cannes, dove il film è stato presentato ed anche un David di Donatello), di più la piccola Nicole Centanni nell'interpretare il ruolo della piccola Barbara (non dimenticando un Edoardo Pesce davvero credibile nel ruolo del padre/marito prevedibilmente violento). Una prima parte che convince, una seconda che perde di misura e diventa quasi isterico e sopra le righe. Vuole mettere sul piatto molte cose, ma ne porta avanti meno di quanto voluto. La storia insomma non funziona, il momento migliore del film è "Vivere" di Vasco, canzone che chiude un film che, nonostante la critica acclamante, non mi ha convinto. Voto: 5+
Insidious - L'ultima chiave (Horror, Usa 2018): Dopo un terzo capitolo prequel assolutamente non all'altezza (almeno personalmente parlando, qui), questo quarto (e in teoria ultimo) capitolo del franchise Insidious (il secondo senza James Wan alla regia, che cronologicamente rappresenta il secondo capitolo della serie, precedente agli avvenimenti dei primi due film) ha qualche guizzo interessante, pur affogando nella mediocrità in cui cadono vittima tutti gli horror degli ultimi anni. Continuano quindi le avventure della sensitiva Elise (Lin Shaye), in eventi antecedenti al primo Insidious per ovvi motivi di trama. In questo capitolo lei (un personaggio che ho comunque odiato dal primo momento) e la sua squadra personale di "acchiappafantasmi" dovranno tornare nella dimora d'infanzia di lei, infestata da uno spirito maligno che turba le notti dei nuovi inquilini. Nulla di nuovo sotto il sole e nell'Altrove. Solite regole, soliti cliché standard della narrativa horror e poco più. L'abbandono di Wan, dopo che ha firmato la regia dei primi due capitoli, da molti non vista come la vera forza del franchise, dimostra proprio l'opposto: senza un regista talentuoso (Adam Robitel proprio sembrerebbe non esserlo), Insidious ormai è alla mercé di Leigh Whannell, creatore e sceneggiatore di tutta la saga, che testa e sperimenta nuovi modi per allargare ipotetiche potenzialità ormai sfruttate in tutti i modi possibili. Insidious – L'ultima chiave è quindi un distributore di climax senza sorprese, che eroga dosati e oscuri Jumpscare in momenti perlopiù prevedibili. Certo, il film si lascia guardare con un minimo di gusto, grazie a una sceneggiatura che cerca (seppur forzatamente) di ricollegarsi al primo capitolo e a un pizzico di sana autoironia, utile nel compiacere il pubblico pagante. A questi due aspetti si aggiunge un reminiscente evento retroattivo che approfondisce il legame di Elise con l'oscuro, a supporto tanto della storia quanto dell'evoluzione della stessa protagonista. Va un po' meglio, invece, se guardiamo alla sola creatura demoniaca di turno: questa ha un background e un design interessante, ed è l'unico elemento che giustifichi la continua evoluzione de l'Altrove, le cui potenzialità, film dopo film, appaiono da un lato notevoli, ma dall'altro palesano evidenti limiti narrativi, che intralciano soventemente la concretezza finale dell'opera. A discapito quindi della qualità, questo capitolo di Insidious (non proprio migliore del terzo) cerca di compiacere gli appassionati del genere. Ai fan della saga viene fornito un finale utile a rileggere gli altri capitoli da un punto di vista nuovo, certo non necessario, ma comunque utile per continuare con altri film in futuro. Nonostante questi buoni presupposti, purtroppo il film si limita a fare il compitino: è un film godibile, più thriller che horror, ma privo di qualsiasi acuto. Voto: 5
Altamira (Dramma, Spagna, Francia, 2016): Il merito maggiore di questo film (Finding Altamira) diretto da Hugh Hudson è quello di mettere in evidenza un fatto storico come la scoperta delle antiche pitture nella grotta di Altamira. Scoperta che suscitò sia interesse che grande contrarietà, Marcelino Sanz de Sautuola infatti, si trovò a dover persuadere scettici e increduli, tra cui uomini di scienza e uomini di chiesa, che avanzarono formalmente forti dubbi sia sulla datazione dei dipinti che sulla loro effettiva validità. Accettare l'autenticità di quelle pitture rupestri, non solo avrebbe significato un capovolgimento delle credenze sui Paleolotici, ma avrebbe turbato e cambiato in modo determinante anche la percezione dell'uomo secondo la chiesa, che considerò fin da subito quei graffiti un attacco alla verità della Bibbia. In tal senso è intrigante ed avvincente osservare come il protagonista si troverà al centro di due fuochi, accusato di calunnia e di eresia, ma se dal punto di vista prettamente storico la trama riesce a suscitare interesse nello spettatore, dal punto di vista narrativo ed espositivo Altamira non eccelle e né riesce a rendere omaggio ai protagonisti di una vicenda così singolare. Ciò che manca in una pellicola come questa è un intreccio febbrile, muscolare, pronto a reggere un'avvenimento storico di tale portata con tutte le sue conseguenze, sia inconfutabili che oppugnabili. Infatti nonostante l'input della scoperta, del contrasto tra scienza e religione, tra matrimonio e voglia di conoscenza, niente riesce ad emozionare lo spettatore, giacché tutto viene raccontato in maniera schematica, senza grande verve e con pochi acuti. Antonio Banderas porta avanti una performance strutturata, spesso austera, ma godibile, che nulla può però davanti al resto delle caratterizzazioni ed interpretazioni, per niente compatte o allineate (troppo tipicizzate) con la storia e assolutamente fuori parte (su tutti Rupert Everett, bene invece Golshifteh Farahani e Clement Sibony). Per quanto Altamira sia aiutata da una buona fotografia, la sua trama fin troppo semplicistica ci porta a dover asserire quanto le sue tematiche pungenti ed edificanti siano messe in scena senza alcun approfondimento, a partire dall'oscurantismo clericale e antiscientifico sino ad arrivare ai dogmatismi antropologici. Non c'è espressività o impegno nella costruzione narrativa, la sceneggiatura non scalfisce nemmeno la superficie delle ostilità che vive il personaggio, sempre diviso tra chiesa e scienza, credenze e dottrine. Un film che, in ultima analisi, non riesce a rendere giustizia né ai personaggi realmente esistiti, né agli interpreti e né alle delicate tematiche che tenta drammaticamente di raccontare. Perché è scontato il valore didattico della pellicola, ma, nonostante tutto, stenta ad appassionare totalmente chi guarda (alcuni passaggi "animati" poi sono davvero ridicoli). Non è un caso che il film non sia passato dalle sale cinematografiche italiane, ma direttamente in DVD. Voto: 5
L'accabadora (Film drammatico, Italia 2015): La storia delle ''accabadora'', donne della Sardegna rurale che secondo alcuni (è ancora aperto il dibattito antropologico infatti sulla loro esistenza, alcuni sostengono siano leggende, altri che siano realmente esistite) negli anni della guerra praticavano una sorta di eutanasia ai malati in fin di vita, può anche essere interessante ed utile è girare un film su un tale argomento (come è stato riconosciuto dallo stesso ministero dei beni culturali), ma sarebbe stato più efficace (e forse meno noioso) girare un documentario, perché questo film ha tutte le caratteristiche di un polpettone soporifero, imbarazzante per certi versi, non in grado di trasmettere alcuna tensione emotiva. La mancanza di dialoghi è forse il difetto principale (e quelli che ci sono neanche eccezionali, anzi, attori con accenti e lingue diverse in una storia che si svolge in una terra in cui al tempo la maggior parte degli abitanti erano analfabeti o parlavano soltanto il dialetto, non aiutano), una sceneggiatura pensata ed organizzata male, con pochi colpi di scena, un andamento piatto in cui fin da subito è facile intuire la conclusione. Proprio perché i silenzi ripetuti hanno sì un ruolo importante nel film di Enrico Pau, ma spesso risultano (per non dire sempre) poco comunicativi all'interno di una narrazione appunto già scarna. Donatella Finocchiaro interpreta bene, anzi, proprio la prova dell'attrice catanese è una delle cose migliori del film (che come detto soffre di una certa lentezza narrativa e, cosa più importante, di un montaggio a tratti poco incisivo, dato che il racconto a ritroso provoca un po' di incertezza e confusione), un'Annetta su cui grava costantemente il peso del compito che deve svolgere: profondamente triste e dolente, appare talvolta spettrale proprio come la città in cui si muove (una Cagliari che emerge come una città fantasma, affascinante ma anche portatrice di profondi lutti, giacché il film è ambientato all'inizio degli anni '40, quando la Guerra inizia a distruggere la città). Sembra però mancare anche a lei la tridimensionalità di un personaggio che non è solo il ruolo che deve svolgere, ma anche un essere umano. Anche gli altri ruoli femminili sono poco convincenti (tra questi quello di Sara Serraiocco e Carolina Crescentini), in un lavoro che forse si è concentrato più sul testo che sull'azione. Il rigoroso lavoro dedicato alla fotografia, alla scenografia, ai costumi poteva quindi raccontare di più. Emerge comunque efficacemente come il terzo film di Enrico Pau non abbia la pretesa di raccontare tanto dell'eutanasia praticata dall'accabadora, quanto il lutto, inteso come il vuoto che esso lascia. Peccato che per farlo la pellicola si trascini per un tempo breve che sembra però interminabile. E insomma ricostruzione scadente di una leggenda affascinante è questa. Voto: 5
Una spia e mezzo (Commedia, Azione, Usa 2016): La commedia in salsa action basata sulla chimica tra i due protagonisti, una versione aggiornata della humpsy-bumpsy (piccolo e impacciato uno, grosso e manesco l'altro) di Rawson Marshall Thurber (Come ti spaccio la famiglia, Palle al balzo) presenta svariati requisiti negativi: le scene d'azione sono mosce, il discorso sugli effetti del bullismo è quanto mai rozzo e inefficace, lo schema narrativo (con il protagonista che non sa su chi riporre la propria fiducia) non usato al meglio e comunque vecchiotto. Il feeling tra il ciarliero Kevin Hart e il possente Dwayne Johnson dona qualche istante ridanciano (soprattutto per merito del primo, comico di razza normalmente male impiegato, ma anche del secondo, che non smetto comunque di amare dopo questa prova leggermente deludente), ma il copione di David Stassen e Ike Barinholtz, cui ha messo le mani anche il regista, è sovente semplicistico e mai esaltante (Jason Bateman è un sadico impiegato che afferma di essere membro di Scientology, abbastanza inutile). La regia è visibilmente volenterosa, ma il citazionismo è scriteriato (che c'entrano Un compleanno da ricordare, Twilight e Jason Bourne?), e la chiusa, con The Rock che si svela in costume adamitico davanti alla folla dei suoi ex compagni di liceo (tra cui c'è persino Melissa McCarthy), è irrealistica e imbarazzante. Vale comunque uno sguardo per l'immagine iniziale, ottenuta in digitale, di The Rock in divertente versione obesa. E comunque di positivo c'è anche la colonna sonora, dal groove rilevante, anch'essa fin troppo poco presente, e i bloopers dopo i titoli di coda. Quest'ultimi fanno molto ridere, tanto da farvi riflettere sul film stesso. Un film (un buddy movie) non orribile né inguardabile, ma irrimediabilmente conformista. Un film leggermente migliore di Un poliziotto in prova e Un poliziotto ancora in prova (entrambi qui) con Kevin Hart protagonista, che può comunque divertire, ma a cui non si può dare la sufficienza cinematograficamente parlando. Voto: 5+
Ecco infine i film scartati ed evitati:
La vita possibile Melodramma troppo retorico
A Small World - Ricordi lontani Film drammatico con Gérard Depardieu che puzza di già visto
The Archer Thriller carcerario alquanto strambo
Finché giudice non ci separi Commedia italiana banale e troppo convenzionale
11.6 - The French Job Banale heist movie alla francese
Natale da chef No comment
50 primavere Commedia francese di certo interessante e garbata, ma non personalmente
La grande fuga del nonno Commedia inglese che puzza di già visto
Alex & me Commedia calcistica americana inutilmente simile a Sognando Beckham
Daphne & Velma Imbarazzante spin-off dal mondo di Scooby-Doo
Due sotto il burqa Interessante il plot, ma proprio non mi va di vederlo
Oggi è sempre Natale Ennesimo film natalizio incentrato sul tempo "circolare", ridicolo
All the Devil's Men - Squadra speciale E' sempre la stessa storia
Final Portrait - L'arte di essere amici Poco interessante il film d'esordio alla regia di Stanley Tucci
Bigfoot Junior Animazione di bassa lega per una storia prevedibile e stucchevole
Ricomincio da noi Dramedy adulta prevedibilmente scontata e buonista
Leo Da Vinci - Missione Monna Lisa Di produzione italiana e vabbè, ma troppo per bambini
Pure Country - Una canzone nel cuore Dramma musicale che puzza di già visto da lontano un miglio
Il sole a mezzanotte - Midnight Sun Va bene che c'è Bella Thorne, ma la storia m'intriga poco nonostante lei, troppo stucchevole
Bob & Marys - Criminali a domicilio Mi ricorda un film, non sarà mica il solito inutile remake italiano?
Puoi baciare lo sposo A me il politically correct mi da fastidio a volte, soprattutto di fronte alla retorica
I visitatori 3: Libertè - Egalitè - Fraternitè Semplicemente imbarazzante
China Salesman - Contratto mortale Ora anche i cinesi fanno film action banali?
Il mio piccolo dinosauro Avventura fantasy che non inventa niente, anzi, è un frullato già visto mille volte
Into the Grizzly Maze Troppo banale, troppo convenzionale, evitabile senza rimorsi
E' arrivato il broncio Il titolo è già tutto un programma, e di sapere cosa c'è dentro non mi interessa
L'ultima discesa Troppo simile ad altri, qualcosa di già visto che non ho voglia di rivedere
Jack di cuori Film di formazione sensibile ed interessante, ma non personalmente
McCanick Noir troppo anonimo per interessarmi
Drone - Scegli il tuo nemico Ho già visto un film simile, e non ho voglia di vedere questo qui
Operazione S.M.A.R.T. - Senza tregua Povero Orlando Bloom, attore in film convenzionali di serie B
Vengo anch'io Prevedo un film mediocre, perciò meglio evitare
Viking Ormai sta diventando un'abitudine fare film tutti uguali e con la stessa base, è ora di dire basta
Ciao! A me "Gli sdraiati" e "Fortunata" sono piaciuti abbastanza, anche se le debolezze che hai sottolineato tu sono motivate. Invece su "Beata ignoranza" devo darti purtroppo ragione...come forse sai ho fatto alcune supplenze e posso garantirti che il modo in cui viene reso il mondo della scuola dall'interno non è irreale, di più! professori che fanno quello che pare loro in aula, gente che si apparta nelle aule vuote, flirt in sala professori...ma dai!
RispondiEliminaE per me le debolezze hanno avuto rilevanza, ecco perché ho dato quel voto, voto come quello per Beata Ignoranza, simpatico ma poco credibile, anche dal punto di vista umano.
EliminaSai che forse non ne ho visto nemmeno uno?
RispondiEliminaPerò mi dispiace per la stroncatura di Beata ignoranza.
Giallini e Gassman mi piacciono troppo, e sì.... Potrei sorbirmi anche un pippone confuso, per il solo gusto di guardarli. ;)
Non era così impossibile prevederlo, che non ne avessi visto nessuno, anche se uno poteva esserci, ma incredibilmente ci sarà domani ;)
EliminaIo non sconsiglio mica di vederlo, però non bisogna aspettarsi tanto :)
Visto solo I 40 sono i nuovi 20 e sì, siamo d'accordo. Ci si perde presto, non c'è struttura o coesione fra le tante storie -o la storia- che si racconta.
RispondiEliminaFra gli scartati, Final Portrait male non è, semplice nel suo parlare di arte e di artisti.
Ma siccome con l'arte e gli artisti non vado molto d'accordo preferisco di no, ma grazie di avermelo detto ;)
EliminaPraticamente non si capisce che c'entri il titolo con il film, perché non approfondisce niente..boh
Che poi la storia non è pessima, è pessimo il modo in cui l'hanno gestita, anzi, gestita da un regista che sembra ormai aver perso il suo tocco, peccato ;)
RispondiEliminaA me 40/20 è piaciuto, però condivido la prevedibilità che gli recrimini.
RispondiEliminaPer il conjuring-verse ammetto di essere di parte e non riesco a trarre giudizi obiettivi, mi sono piaciuti tutti, chi più e chi meno. Ha dalla sua che 9 horror su 10 fanno schifo, quindi uno da sufficienza sembra chissà cosa.
Non è mica brutto 40/20, però la sufficienza non la raggiunge, anche per colpa della prevedibilità...
EliminaConjuring? No, è Insidious-verse, personalmente a parte il primo non eccezionale ;)
Va be', hai capito, tutti i film legati a Ed e Lorrain Warren, compresi gli Annabelle e The Nun 😉
EliminaPer i meno riusciti ottengono la sufficienza, gli altri qualche punto in più.
Sai che ne ho visto solo uno del conjuring-verse, dovrei recuperarli tutti quest'anno e vedrò un po' ;)
EliminaAllora attendo le tue dettagliatissime recensioni!
EliminaComunque avevo confuso saga per colpa dell'attore 😅
Insidious sinceramente non lo ricordo, quindi probabilmente non mi è piaciuto. Credo di aver fatto l'errore inverso quando dovevo vedere The Conjuring 2 e non avevo voglia perché lo collegavo a Insidious 😓
Eh capita, ma sono comunque due saghe molto diverse ;)
EliminaHanno fatto uno spin-off su Velma e Daphne?? OO Spero sia almeno in chiave lesbica.
RispondiEliminaContento di non averne visto uno. Ma 40 sono i nuovi 20 credevo fosse carino... almeno nello slogan è figo e veritiero^^
Moz-
No, non credo sia in quella versione, è in chiave stupidità :D
EliminaNelle intenzioni era figo, nello sviluppo assolutamente no ;)
E' arrivato il broncio mi salvo la locandina per Claudia :D.
RispondiEliminaDi questi ne ho visto solo due.
Uno di questi due è NATALE DA CHEF!
Penso che sia uno dei film più brutti che abbia mai visto, ho fatto una mezza risata solo nella scena dell'inchiappettamento (tramite forchettone da cucina) di Enzo Salvi, roba che era già vecchia a inizio anni '90! Il film è un mappazzone indigeribile, con attori veramente ai minimi storici (Boldi peggio del solito, peraltro).
Il secondo film è Beata Ignoranza.
Mi ha deluso, nonostante la bravura dei due protagonisti. L'ho trovato veramente "forzato" (anche se la satira deve "accentuare" per centrare meglio il bersaglio) e anche pasticciato nel finale..del tipo: "Non so dove voglio andare a parare".
Nadir Caselli comunque è bellissima!
Una spia e mezzo volevo vederlo, l'hanno dato in tv qualche sera fa!
Effettivamente quella locandina è perfetta :D
EliminaSul primo non avevo dubbi, ecco perché ho preferito evitare (come tutti i cinepanettoni moderni), sul secondo non è stata proprio una delusione, ma quei difetti si potevano evitare ;)
In ogni caso sì, Nadir è bella ed Una spia e mezzo nonostante il voto potresti vederlo e divertiti parecchio :)
Anche Face Off aveva una premessa veramente risibile ma poi ti conquistava, questo Nemesi non ha neanche quello se ho ben capito..spiace veramente, occasione persa!
RispondiEliminaSì è vero, hai ragione, ma purtroppo qui non regge, peccato ;)
Eliminamica il solito inutile remake italiano
RispondiEliminaA quale film ti riferisci?
Elimina