Trama: I primi di marzo del 1953, il leader dell'Unione Sovietica Iosif Stalin muore improvvisamente. Nei giorni successivi le alte sfere dell'URSS tramano e complottano per accaparrarsi il potere.
Recensione: L'autore e sceneggiatore scozzese Armando Iannucci (di genitori italiani, già ideatore della serie tv Veep) adatta il romanzo grafico La morte di Stalin di Fabien Nury e Thierry Robin, e porta sul grande schermo le confuse e drammatiche ore, consumatesi nei palazzi del potere, dopo la scomparsa del leader sovietico più sanguinario della storia. E lo fa con una commedia (una rivisitazione paradossale sugli eventi presentati nel corso della storia contemporanea) dai toni ai limiti del grottesco, che rende in modo magistrale la tragicità dei fatti. Gli odi, i rancori, le alleanze segrete, i voltafaccia che i dirigenti del partito si scatenano vicendevolmente, confluiscono nello scontro tra l'abile politico Nikita Kruscev (uno Steve Buscemi in forma smagliante) e il vendicativo ministro degli Interni e capo della spietata polizia segreta, Lavrentij Berija (Simon Russell Beale). Sciacalli attirati dal profumo di potere che, con tragicomiche trovate, tentano di avvelenarsi a vicenda per raccogliere la loro opportunità di supremazia. Immersi in un momento quanto mai volatile per la fiducia e per le promesse di alleanza che puntualmente sembrano venir tradite o rettificate, i personaggi della divertente opera, ognuno introdotto dopo una solenne e appropriata presentazione, vengono perfettamente interpretati da un coeso cast di attori il quale senza alcun timore stabilisce il tono sguaiato di una pellicola che non lascia intrappolata l'occasione per piazzare una battuta, meglio ancora se nel contesto risulti alquanto inappropriata. Perché l'arguzia del film di Armando Iannucci risiede nel coraggio di trattare strazianti avvenimenti da tempo confermati avvalendosi di una cattiveria sottile, abile nel pungere come saprebbe fare una freccia appuntita e instaurando una farsa che trae il proprio giovamento dal suo assoluto menefreghismo nei riguardi del buon gusto. E tuttavia le gag esilaranti tra le alte sfere sovietiche non impediscono al film di trasmettere la drammaticità, l'angoscia e la psicosi che devono aver caratterizzato il periodo delle grandi "purghe" staliniane, durante il quale bastava pronunciare una sillaba sbagliata per essere deportati nei gulag siberiani o brutalmente uccisi. Il film non è perfetto, le battute non sempre sono riuscite e lo humour nero non sempre risulta efficace, ci sono infatti alcuni cali nella tensione comica, ad esempio quando entrano in scena i figli di Stalin (soprattutto il figlio maschio, una caricatura stucchevole e piatta) e a volte la black comedy diventa troppo black e poco comedy (le sevizie e gli stupri sui malcapitati di passaggio). Ma nel complesso il ritmo della narrazione, le gag irresistibili tra i gerarchi, la recitazione convincente di tutti (dai protagonisti all'ultima delle comparse) ci regalano 100 minuti di vero godimento cinematografico. In più scopriamo anche qualcosa su un periodo poco noto dell'impero sovietico, il che non guasta. Inoltre sorprendentemente, contento che per una volta il titolo della versione italiana del film sia più azzeccato di quello originale (Death of Stalin).
Regia: Il film è ben fatto, anche grazie ad una regia molto curata da parte di Armando Iannucci.
Sceneggiatura: La sceneggiatura tenta di far emergere da un lato il clima di terrore e paranoia collegati al timore di pronunciare una parola fuori-posto o di finire oggetto di una qualunque delazione, mentre dall'altro disegna la lotta per il potere a qualunque costo. Il rischio è che, trattando di un momento storicamente così controverso, lo si affronti solo negli aspetti superficiali e si usi lo strumento delle ellissi e paradossi per far risaltare comicamente i pur tragici avvenimenti, e invece non succede.
Aspetto tecnico: Fotografia e scenografie, soprattutto quest'ultimi, di grande impatto. Buona la colonna sonora e belli i costumi.
Cast: Molto bene il cast, da Jason Isaacs a Jeffrey Tambor, da Olga Kurylenko a Michael Palin, su cui primeggia il mitico Steve Buscemi.
Commento Finale: Morto Stalin, se ne fa un altro è una riuscita commedia nera, divertente, brillante e vivace. Una discreta commedia drammatica con risvolti storici e crudi, ben interpretata e diretta senza sbavature, dotata con dialoghi ironici e graffianti, un ritmo lineare e una serie di intrecci narrativi stuzzicanti, imbastiti da personaggi caratterizzati in maniera grottescamente perfetta. Fa ridere, ma con la giusta misura. Il rischio era di buttare tutto in farsa, ma fortunatamente non è andata così, grazie ad una sceneggiatura ed una regia di qualità, l'humour del film non sovrasta e ridicolizza l'orrore dell'URSS, ma è un modo per riuscire a raccontarlo con efficacia e ridicolizzando semmai i "potenti" (ma precari) capi del partito comunista.
Consigliato: Sì, una visione abbastanza spiritosa, e di un certo impatto, meritevole di una considerazione positiva.
Voto: 7
Recensione: L'autore e sceneggiatore scozzese Armando Iannucci (di genitori italiani, già ideatore della serie tv Veep) adatta il romanzo grafico La morte di Stalin di Fabien Nury e Thierry Robin, e porta sul grande schermo le confuse e drammatiche ore, consumatesi nei palazzi del potere, dopo la scomparsa del leader sovietico più sanguinario della storia. E lo fa con una commedia (una rivisitazione paradossale sugli eventi presentati nel corso della storia contemporanea) dai toni ai limiti del grottesco, che rende in modo magistrale la tragicità dei fatti. Gli odi, i rancori, le alleanze segrete, i voltafaccia che i dirigenti del partito si scatenano vicendevolmente, confluiscono nello scontro tra l'abile politico Nikita Kruscev (uno Steve Buscemi in forma smagliante) e il vendicativo ministro degli Interni e capo della spietata polizia segreta, Lavrentij Berija (Simon Russell Beale). Sciacalli attirati dal profumo di potere che, con tragicomiche trovate, tentano di avvelenarsi a vicenda per raccogliere la loro opportunità di supremazia. Immersi in un momento quanto mai volatile per la fiducia e per le promesse di alleanza che puntualmente sembrano venir tradite o rettificate, i personaggi della divertente opera, ognuno introdotto dopo una solenne e appropriata presentazione, vengono perfettamente interpretati da un coeso cast di attori il quale senza alcun timore stabilisce il tono sguaiato di una pellicola che non lascia intrappolata l'occasione per piazzare una battuta, meglio ancora se nel contesto risulti alquanto inappropriata. Perché l'arguzia del film di Armando Iannucci risiede nel coraggio di trattare strazianti avvenimenti da tempo confermati avvalendosi di una cattiveria sottile, abile nel pungere come saprebbe fare una freccia appuntita e instaurando una farsa che trae il proprio giovamento dal suo assoluto menefreghismo nei riguardi del buon gusto. E tuttavia le gag esilaranti tra le alte sfere sovietiche non impediscono al film di trasmettere la drammaticità, l'angoscia e la psicosi che devono aver caratterizzato il periodo delle grandi "purghe" staliniane, durante il quale bastava pronunciare una sillaba sbagliata per essere deportati nei gulag siberiani o brutalmente uccisi. Il film non è perfetto, le battute non sempre sono riuscite e lo humour nero non sempre risulta efficace, ci sono infatti alcuni cali nella tensione comica, ad esempio quando entrano in scena i figli di Stalin (soprattutto il figlio maschio, una caricatura stucchevole e piatta) e a volte la black comedy diventa troppo black e poco comedy (le sevizie e gli stupri sui malcapitati di passaggio). Ma nel complesso il ritmo della narrazione, le gag irresistibili tra i gerarchi, la recitazione convincente di tutti (dai protagonisti all'ultima delle comparse) ci regalano 100 minuti di vero godimento cinematografico. In più scopriamo anche qualcosa su un periodo poco noto dell'impero sovietico, il che non guasta. Inoltre sorprendentemente, contento che per una volta il titolo della versione italiana del film sia più azzeccato di quello originale (Death of Stalin).
Regia: Il film è ben fatto, anche grazie ad una regia molto curata da parte di Armando Iannucci.
Sceneggiatura: La sceneggiatura tenta di far emergere da un lato il clima di terrore e paranoia collegati al timore di pronunciare una parola fuori-posto o di finire oggetto di una qualunque delazione, mentre dall'altro disegna la lotta per il potere a qualunque costo. Il rischio è che, trattando di un momento storicamente così controverso, lo si affronti solo negli aspetti superficiali e si usi lo strumento delle ellissi e paradossi per far risaltare comicamente i pur tragici avvenimenti, e invece non succede.
Aspetto tecnico: Fotografia e scenografie, soprattutto quest'ultimi, di grande impatto. Buona la colonna sonora e belli i costumi.
Cast: Molto bene il cast, da Jason Isaacs a Jeffrey Tambor, da Olga Kurylenko a Michael Palin, su cui primeggia il mitico Steve Buscemi.
Commento Finale: Morto Stalin, se ne fa un altro è una riuscita commedia nera, divertente, brillante e vivace. Una discreta commedia drammatica con risvolti storici e crudi, ben interpretata e diretta senza sbavature, dotata con dialoghi ironici e graffianti, un ritmo lineare e una serie di intrecci narrativi stuzzicanti, imbastiti da personaggi caratterizzati in maniera grottescamente perfetta. Fa ridere, ma con la giusta misura. Il rischio era di buttare tutto in farsa, ma fortunatamente non è andata così, grazie ad una sceneggiatura ed una regia di qualità, l'humour del film non sovrasta e ridicolizza l'orrore dell'URSS, ma è un modo per riuscire a raccontarlo con efficacia e ridicolizzando semmai i "potenti" (ma precari) capi del partito comunista.
Consigliato: Sì, una visione abbastanza spiritosa, e di un certo impatto, meritevole di una considerazione positiva.
Voto: 7
I film storici proprio non fanno per me, neanche se si tratta di commedie ben fatte come questa.
RispondiEliminaPerò, son felice che tu l'abbia apprezzata.
Non è proprio un film storico ma comprendo, se piacciono piacciono altrimenti niente ;)
EliminaNon conoscevo affatto questa pellicola, ma penso sia un argomento veramente difficoltoso trasferirlo sul grande schermo, soprattutto evidenziando in maniera farsesca certe brutture che vengono fatte in periodi storici difficilissimi e sempre all'ordine del giorno.
RispondiEliminaSi impara molto dalle tue interpretazioni cinematografiche e come sempre ti ringrazio moltissimo caro Pietro.
Ma sì è complicato trasferire questi argomenti, però dopotutto è cinema, è finzione, è sperimentazione, è coraggio, come quello del regista che, nonostante il tema, brillantemente raggiunge il suo obbiettivo ;)
EliminaGrazie, un abbraccio :)
Hai applicato i cambiamenti di cui parlavi prima per questo post? Nota una valutazione più grafica e sequenziale.
RispondiEliminaEh sì, questo è il quarto post con il nuovo metodo di recensione, un metodo più compatto ;)
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