In un mese pazzo dal punto di vista climatico, è successa un cosa che ha un po' rovinato sia il mese che la settimana appena trascorsa. Scusatemi infatti di questa mia breve digressione, ma quando ti capita una cosa del genere ad essere ferito è l'orgoglio e il cuore, anche le tasche (ma è comunque una cosa secondaria), e quindi un po' di malinconia mista a rabbia un po' viene, e poiché quest'ultima ha bisogno di tempo per sbollire, le giornate scorrono in modo strano. Perché la "tua" macchina (anche se quella dei tuoi) è come una seconda casa, e quando questa ti viene portata via, ossia rubata nel cuore della notte (dai dei tizi che definire ladri è un complimento), fa male. Ed anche se è passata una settimana, il nodo fatica a sciogliersi. Tuttavia la vita va avanti e bisogna passare sopra a certi momenti (momenti in cui le bestemmie sarebbero giustificate e soprattutto permesse), e infatti tutto sta pian piano tornando alla normalità (una diversa normalità), anche se i problemi e le rogne per un po' rimarranno, ma poco male se il resto (almeno quello) va abbastanza bene. E andrà se una forza superiore non interverrà. Digressione finita, ora ecco le mie visioni non soddisfacenti del mese.
Chiudi gli occhi (Thriller, Dramma, USA, Thailandia, 2016)
Tema e genere: Thriller melodrammatico che sviscera un rapporto di coppia abbastanza insolito.
Trama: Cieca dopo un incidente avvenuto quando era bambina, Gina (Blake Lively) fa affidamento al marito James (Jason Clarke) per i suoi occhi. Quando un trapianto di cornea cambia drasticamente la sua vita, la donna inizierà a vedere la relazione sotto una nuova luce.
Recensione: Il buon Marc Forster (cui si vuol bene, sia chiaro: è il regista di World War Z e del sottovalutato 007 Quantum of Solace, la cui unica colpa è stata quella di uscire dopo Casino Royale) ha messo su uno psico-thriller dalle premesse intriganti, che però inizia a fallire lentamente (e miseramente) subito dopo aver posto i suoi interrogativi, per dissolversi progressivamente man mano che ci si avvicinerà ai titoli di coda. Pedante e poco credibile, Chiudi gli occhi racconta di un rapporto (quasi) idilliaco tra marito e moglie, che sembra pian piano trasformarsi in un incubo quando lei riacquista la vista e (attraverso un simbolismo infantile) riesce finalmente a "vedere" l'uomo che ha convissuto con lei per tanto tempo. Peccato che se le premesse potevano quantomeno incuriosire, il risultato è inconcludente e spocchioso, tanto che nella seconda parte la sceneggiatura gira a vuoto, indecisa su quale strada prendere e procede verso un finale totalmente grossolano. Recitato male e scritto peggio, il film mostra anche tutti i limiti di una regia forzatamente virtuosa, che cerca a tutti i costi di colpire con scelte visive sopra le righe ed effetti di luce ambiziosi. Il problema è che Forster non riesce mai a mantenersi in controllo e finisce per dare vita a un lungometraggio noioso e supponente, ricattatorio e mai capace di emozionare in maniera spontanea. La (ri)presa di coscienza e della propria vita di Gina con il recupero della vista e le ossessioni del marito non sono sufficienti a tenere lo spettatore desto per la durata dell'opera. Non è un vero thriller, non è un vero dramma psicologico, è una occasione lasciata a metà sulle onde di immagini accattivanti ma vuote. Anche i momenti morbosi sono espressione di una fotografia fascinosa ma fredda. Peccato.
Regia: La regia propone quasi ossessivamente delle sequenze ed un montaggio "a sensazione" lungo l'intero svolgersi della trama. Purtroppo a questa ricercatezza di immagine non si abbina uno svolgimento altrettanto interessante della storia facendo infine pensare al tutto come un mero esercizio di stile.
Sceneggiatura: Se l'idea iniziale era accattivante, i personaggi e gli avvenimenti non convergono in un fulcro empatico e la storia diventa insopportabilmente noiosa. Il finale (che non si rivela, non solo per evitare spoiler, ma perché francamente non è per nulla chiaro) vira sul dramma poetico assolutamente troppo tardi, negli ultimi 15 minuti. Senza riuscire a porre alcun rimedio ad un racconto quasi senza senso.
Aspetto tecnico: Sul piano squisitamente tecnico, pare funzionare abbastanza bene la prospettiva della non vedente, ma dopo un po' stanca.
Cast: Buona l'interpretazione dei 2 protagonisti (soprattutto Blake Lively, che è sempre e comunque un piacere vedere, qui poi è parecchio sensuale), piuttosto mediocre quella degli coprotagonisti.
Commento Finale: E' un film deludente: non è un thriller perché manca di suspense, come commedia drammatica manca di passione. Il regista Marc Forster ha scelto uno svolgimento della storia frantumato, sincopato, con flashback e momenti nebbiosi nella fotografia, forse per immaginare il mondo visto da un cieco, con conseguente mancanza di linearità nella storia. Peccato la trama poteva offrire spunti interessanti, ma la mancanza di sviluppo durante tutta la parte centrale (e non solo), fondata sul nulla assoluto, per poi concludersi bene, ma non benissimo, non aiuta proprio, anzi, pellicola piatta, lenta e francamente noiosa, ambientata in una Bangkok ultramoderna (salvo un viaggio in Spagna) è questa.
Consigliato: No, da evitare. Non basta Lei, Blake Lively a consigliarne la visione (neanche ai suoi fan).
Escape Plan 2 (Azione, USA, Cina, 2018)
Tema e genere: Prison movie sequel del film del 2013 Escape Plan - Fuga dall'inferno.
Trama: Anni dopo essere riuscito ad evadere da una prigione dalla quale era considerato impossibile scappare via, Ray Breslin ha messo in piedi un nuovo team di esperti di massima sicurezza. Quando però uno dei componenti della squadra scompare all'interno di una struttura ultra tecnologica, Breslin insieme a Trent DeRosa dovrà trovare un modo per accedere a quella che è considerata la prigione meglio nascosta del mondo, trovare il suo uomo e portarlo al sicuro.
Recensione: Nel 2013 fece la sua comparsa un film intitolato Escape Plan diretto da Mikael Håfström, un titolo che poteva benissimo finire nel dimenticatoio, se non fosse per la sua peculiarità, protagonisti del film erano infatti Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, per la prima volta insieme come coppia buddy style in un film, nel suo insieme la pellicola divertì il pubblico ed ecco quindi arrivare anni dopo un sequel, Escape Plan 2 - Ritorno all'Inferno (Escape Plan 2: Hades), un sequel che però non ha nulla in comune col suo abbastanza riuscito e (più o meno) convincente predecessore. Nel primo avevamo una storia articolata ma (abbastanza) convincente e godibile dove il peso della trama non ricadeva per forza sul piano action e sugli scontri corpo a corpo sfruttando così l'intelligenza e le capacità di adattamento dei due reclusi protagonisti che devono mettere dettagliatamente a punto un piano per evadere da un carcere di massima sicurezza. In questo secondo capitolo (di una purtroppo già confermata trilogia, anzi, il terzo è già al cinema) invece, diretto non più da Hafstrom ma da Steven C. Miller (regista anche del mediocre Extraction, evitati tutti gli altri usciti dopo), abbiamo una trama debolissima che ricalca e ricopia quella del primo film (con detenuto, Shu, in carcere di massima sicurezza munita dei più ingegnosi sistemi high tech dalla quale è impossibile evadere) ma mancano gli ingredienti essenziali che la rendano una storia godibile ed apprezzabile, manca il pathos, manca l'originalità, la suspense e mancano specialmente dei protagonisti carismatici ai quali affezionarsi e connettersi su livello emotivo. Il finale è sin troppo scontato e prevedibile e non riscatta affatto i minuti preceduti neanche con l'entrata in scena di Stallone che salva il suo team come un vero deus ex machina e svela il funzionamento dell'inespugnabile prigione nell'atto finale. Escape Plan 2 si riduce così ad essere soltanto un prodotto muscoloso e muscolare che fa leva sugli appassionati di arti marziali e delle lotte corpo a corpo, le quali certamente non mancano, ma fatica a convincere o appagare il resto del pubblico, anche quello con aspettative bassissime. Non aiuta nemmeno l'ambientazione low cost troppo statica, scura e buia dove si svolge il 90% dell'azione, scandita da fastidiose luci al neon verdi e rosse che poco centrano con la ricostruzione di un carcere seppur di stampo moderno e super tecnologico. Come commentare poi la scelta dei personaggi secondari che gravitano attorno al già indifferente Shu? Inespressivi, monotoni, disinteressati, scialbi e annoiati. Si ritorna allora a ribadire il concetto che al film manca il pathos e la convinzione necessaria a voler creare un prodotto mediocre ma decoroso in segno di rispetto per gli attori stessi (prima) e il pubblico (poi). Peccato.
Regia: Le coreografie della componente d'azione sono altalenanti, Huang Xiaoming si dimostra in grado di dire la sua all'interno di un contesto di combattimento, ma la regia si limita al compitino senza mai tentare nulla di complicato, da considerare che l'intero film sia stato girato in soli 20 giorni.
Sceneggiatura: Abbastanza banale, scorre fluida nonostante ci siano imprecisioni e dettagli poco comprensibili, come il nome della prigione, il mitologico Ade, accennato e addirittura messo nel titolo nella versione originale e poi dimenticato in virtù del paragone con uno zoo in cui i prigionieri sono animali da tenere in gabbia e usare a piacimento come moderni gladiatori. Tuttavia è tutto poco credibile e fin troppo assurdo.
Aspetto tecnico: Le scenografie non hanno alcuna attinenza con la realtà, sono parzialmente costruite con giochi di luci ed ombre, che finiscono per infastidire. Si salva solo la colonna sonora.
Cast: La vera pecca del film è l'utilizzo degli attori, i volti più noti, Sylvester Stallone e Dave Bautista sono usati come specchietto per le allodole, con un tempo a schermo molto limitato, cosi come anche i personaggi secondari di 50 Cent (nei panni di un hacker) e Titus Welliver, come conseguenza ci troviamo davanti ad una prestazione svogliata da parte loro, recitata con poca convinzione.
Commento Finale: Colpa della regia incerta e sicuramente della sceneggiatura scritta male e frettolosamente, ma fatto sta che il film in questione non è minimamente divertente o godibile. Niente riesce ad alleviare il tono eccessivamente pesante di una pellicola che si prende troppo sul serio e di cui, onestamente, non se ne sentiva la mancanza e che offre pochissimo al pubblico. Posso solo presumere che questo secondo, deludente e inutile capitolo, sia stato fatto per lanciare una star cinese come Huang Xiaoming nel mercato internazionale poiché il film non ha assolutamente altro da offrire. Arti marziali sì, una grafica e degli effetti speciali discutibili ma coerenti con un b-movie, ambientazione statica ed eccessivamente scura, due star del calibro di Sylvester Stallone e Dave Bautista sprecate e sfruttate per motivi puramente promozionali e un villain risibile e monodimensionale. Quantomeno nel primo film c'era la curiosità di rivedere insieme Stallone e Schwarzenegger, qui nessun pregio.
Consigliato: Deludente e insufficiente sotto ogni aspetto, anche per i fan meno esigenti, amanti degli action disimpegnati e scanzonati. Decisamente sconsigliato.
Voto: 4
Amiche di sangue (Drammatico, USA 2017)
Tema e genere: Thriller psicologico che si sviluppa in quattro capitoli interpretato principalmente da Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke.
Trama: Due adolescenti con disturbi psicologici si riavvicinano dopo anni di lontananza e assieme pianificano l'omicidio del patrigno di una delle due.
Recensione: È un film strano, Amiche di sangue, non del tutto riuscito e che non sembra aver chiaro dove andare a parare, se nella commedia nera, nella satira sociale o nel thriller, anche perché in realtà al contrario di una commedia nera qualsiasi si prende anche troppo sul serio, oltretutto il film si muove su un meccanismo già visto mille volte, che cerca di nobilitarsi con una rappresentazione asettica e un finale (relativamente) non conciliante. Però bisogna dire che l'esordiente Cory Finley sa dove piazzare la macchia da presa ed è molto preparato tecnicamente, soprattutto grazie allo stile, questa è un'opera che si guarda con grande interesse. Purtroppo tuttavia, Amiche di sangue sembra mancare di profondità nel raccontare le sue due protagoniste, personaggi per cui è molto difficile provare un minimo sindacale di simpatia, e non per la loro condizione di assoluto privilegio (sono ricche e viziate), ma perché non sono definite da altro se non i loro aspetti più evidenti e superficiali: Amanda è sociopatica e Lily è capricciosa. La colpa non è delle due attrici: la Taylor-Joy di The Witch ormai non è più né una promessa né una sorpresa, data la sua costante presenza come nuova musa del cinema indipendente e la Cooke, al contrario, rivela delle qualità recitative insospettabili, soprattutto in un ruolo per lei non consueto. Il problema è di scrittura perché, nonostante Finley sia bravissimo, nei primi minuti, a impostare un'atmosfera di aridità emotiva sotto la patina degli ambienti di lusso splendidamente fotografati in cui si muovono e tramano le due ragazze, non vuole o non può spingersi fino alle più estreme conseguenze e, così facendo, lascia che siano le due attrici a riempire i vuoti lasciati da una caratterizzazione molto, troppo leggera. Il vuoto emotivo va bene, è voluto e anche ricercato da un punto di vista stilistico, con un approccio gelido e sempre distante dai personaggi, ma al di là del cinismo, Amiche di sangue non riesce ad andare e, alla lunga, perde anche qualche colpo nel ritmo, sempre abbastanza seduto, a dire la verità, e non è necessariamente un difetto: l'impressione generale è che la storia narrata andasse bene per un corto e non avesse abbastanza forza per reggere la durata di un lungometraggio. Per esempio: tutta la vicenda legata al personaggio di Anton Yelchin non va da nessuna parte e, a parte il piacere di vederlo in un film e un paio di dialoghi azzeccati tra lui e Amanda, non ha una vera e propria ragione d'essere, se non allungare il minutaggio. Si tratta comunque di un esordio interessante e di un regista da tenere d'occhio in futuro, sperando che la prossima pellicola abbia dalla sua una sceneggiatura (scritta da lui o meno) di migliore fattura e che il tutto riesca ad avere una valenza maggiore di questa occasione invece leggermente persa.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico: Il soggetto, scritto dal regista esordiente Cory Finley, sarebbe potuto piacere a Hitchcock, e aveva in sé tutti gli spunti per un'analisi impietosa (ma anche divertita) della provincia benestante americana e di una gioventù arida e cinica. Amiche di sangue però non è nulla di tutto questo, l'autore/regista spreca tutti gli spunti interessanti in una sceneggiatura confusa e squilibrata, incerta se essere un thriller, un dramma o una commedia nera (in parole povere poca tensione per un thriller e poco tagliente come commedia nera). Le situazioni sono infarcite di un ironia fastidiosa e mai veramente pregnante, e i personaggi sono descritti in termini troppo caricaturali (ad esempio il patrigno Mark). La regia di Finley non sembra interessata poi a creare né divertimento né tensione, anche se dimostra di avere un certo talento visivo, aiutato dalla fotografia e dalle scenografie di qualità, e anche capacità di gestire lo spazio scenico con alcune intuizioni di rapporto attore-spazio molto interessanti. Questi segni però di talento non sembrano mai essere al servizio della storia, ma piuttosto a conferire al risultato un'impronta "artistica".
Cast: Le due attrici protagoniste, brave per quanto apatiche nella recitazione e ingabbiate in personaggi troppo freddi, sono due delle promesse del cinema americano: Olivia Cooke nei panni di Amanda, vista recentemente in Ready Player One, e Anya Taylor-Joy, già in The Witch e Split (e Morgan). Una menzione speciale al compianto Anton Yelchin, qui patetico spacciatore, morto pochi giorni dopo la fine delle riprese.
Commento Finale: Accompagnato dalle interpretazioni di due astri nascenti come Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke, Amiche di sangue è il thriller misurato che, nemmeno quando si consuma il fattaccio, esplode in maniera incontrollabile. Un prodotto come tanti, un film che "richiama" qualche titolo del passato (American Psyco) nonostante non ne possegga la "posata" furia omicida. Un prodotto che scivola rapidamente verso la conclusione (non proprio eccezionale o convincente) e non riesce a farsi un valido portatore di apatica e insensibile cattiveria, laddove le due adolescenti trovano necessario reagire per farsi un adeguato spazio nell'esistenza di tutti i giorni (oltretutto le motivazioni per il piano contro il patrigno non convincono fino in fondo).
Consigliato: Lascia perplessi sia la scrittura che il messaggio, che intenderebbe veicolare, il cinema è ricco di storie di adolescenti, assassine per caso, per diletto o per interesse. L'interpretazione delle protagoniste è convincente, ma non basta, e anche per consigliarne una visione non basta.
Voto: 5
Dark Night (Dramma, USA, 2016)
Tema e genere: Film drammatico liberamente ispirato ad un tragico fatto di cronaca avvenuto in America, in Colorado, nel 2012.
Trama: Un paesaggio di periferia fa da inevitabile testimone agli eventi che culminano in un massacro in un cineplex. Nel corso di una sola giornata, dal sorgere del sole fino a mezzanotte, sei sconosciuti (tra cui il cecchino) condividono il loro incubo americano.
Recensione: Prende spunto dalla strage di Aurora, costata la vita a dodici persone che stavano assistendo alla prima de Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012), per mettere in scena una nuova tragedia all'indomani della precedente. Il regista e sceneggiatore Tim Sutton tenta di dar vita a un'opera "totale" nel suo freddo minimalismo, finisce però per cadere in un autocompiacimento fastidioso in cui la storia e i dialoghi sono pressoché inesistenti. Dark Night è infatti un continuo alternarsi delle quotidianità pre-massacro di alcune delle potenziali vittime e dell'attentatore, che vorrebbe sfruttare la forza delle immagini (fotograficamente ispirate ma vuote di contenuto) per riflettere sulle contraddizioni dell'America moderna, dall'ossessione per i videogiochi e i selfie al fanatismo per le armi da fuoco, ma il tentativo è al grado zero di emozione ed empatia e non raggiunge il pubblico, quello che avrebbe dovuto condurre a spunti di riflessione. Gli ottanta minuti di visione risultano così un esercizio di stile che pecca di superbia e annulla il significato. Sutton insomma "gioca col fuoco" e si prende qualche rischio, e il risultato finale forse non vale poi così tanto la pena. Dark Night è infatti una sorta di non-film, un vezzo autoriale che pecca di superbia dimenticandosi proprio del pubblico stesso a cui è rivolto, un docu-film pregno di compiacimento in cui lo stile iperrealista delle immagini diventa l'unico tratto distintivo degli ottanta minuti di visione. Dark Night paga soprattutto un montaggio che passa senza continuità logica da una figura all'altra, dimenticandosi di costruire un background atto a identificare le varie personalità coinvolte: se da un lato questo serve a imprimere una sorta di aura universale in cui identificare gran parte dell'adolescenza contemporanea, dall'altro nega qualsiasi coinvolgimento empatico ed emotivo, lasciando una sensazione di statica freddezza che accompagna anche le fasi finali del racconto, con l'attuazione della violenza lasciata all'immaginazione dello spettatore alla comparsa di uno schermo nero seguito dalle riprese di un cielo terso dal sapore apocalittico. E non è ciò o l'assenza di un climax significativo a rendere Dark Night indigeribile, è proprio l'irreperibilità di qualsivoglia spunto seducente a dargli forma aliena per il cinema stesso. Molto buone fotografia e musiche, ma questi momenti "rubati" e accorpati tra loro senza alcun disegno preciso non comprendo come possano suscitare il minimo interesse.
Regia: Film disturbante e va bene, perché voleva esserlo, ma anche noiosissimo. Secondo me l'eccessiva sperimentazione del regista toglie il piacere della visione e rimane solo esercizio di stile, neanche troppo convincente e anche troppo banale (Terrence Malick insegna). Il lavoro di Tim Sutton infatti, si concentra su frammenti di vite senza seguire alcuno schema logico, sono istantanee per lo più disagiate o semplicemente affogate nella più totale noia. C'è il tentativo di confondere evitando di svelare l'identità dell'assassino sino alla fine (anche se un indizio parla per tutti), come a voler affermare che la molla della follia può scattare in qualsiasi persona, indipendentemente dalla situazione in cui essa si trova, ma non basta.
Sceneggiatura: L'idea e la struttura del racconto sono interessanti ma il film manca di forza narrativa. Il dialogo è ridotto al minimo e i campi vuoti che il regista continuamente ostenta non riescono a comunicare quel senso di abbandono e di disagio che esso voleva inscenare. Le ripetute inquadrature di lampioni, le riprese dall'alto della cittadina, il parcheggio e i luoghi collegati alla strage riescono a comunicare ben poco. Credo si possa individuare in Elephant (2003) di Gus Van Sant come il lungometraggio a cui Tim Sutton si sia ispirato per la realizzazione di Dark Night, sia come tematica sia come impostazione narrativa. Infatti anche in quel film vi è un racconto basata su cinque storie di ragazzi, ciascuno con le proprie incertezze e difficoltà. Dark Night però, a differenza di quello del connazionale, non riesce a creare tensione e non riesce a raccontare la sofferenza e il disagio giovanile nella società statunitense, una nazione dove sono sempre più frequenti stragi compiute da giovani a causa della facile reperibilità di armi da fuoco. Buoni propositi, risultato pessimo.
Aspetto tecnico: Notevole soprattutto la colonna sonora, buona anche la fotografia.
Cast: Tutti gli attori sono esordienti, se la cavano, ma non impressionano mai.
Commento Finale: Giudizio difficile. Senza una spiegazione esterna si può solo intuire, con dubbio, il senso e l'esito della storia, quindi il film manca di autonomia concettuale. Non è certo un film dell'orrore, come assurdamente definito da qualcuno o da qualche parte, ma la descrizione a libera interpretazione di un fatto criminale realmente accaduto. Scorre nell'immagine il nulla della società americana, in particolare quella giovanile, privata di qualsiasi ideale e scopo vitale (che non sia quello della mera sopravvivenza e affermazione personale a scapito del prossimo). Molta lentezza non giustificata da contenuto. Nessuna introspezione ma solo descrizione. Non c'è molto in questo film, che potrebbe definirsi anch'esso un nulla. Vuoto, misero, inconsistente. Ho provato a trovarci qualcosa ma proprio non ci sono riuscito. Probabilmente incompreso, forse evitabile, di certo mai più rivedibile.
Consigliato: Troppo pesante, noioso, non ti passa mai. Però da vedere perché merita.
Voto: 5
Rachel (Drammatico, Gran Bretagna, Germania, Italia, 2017)
Tema e genere: Dramma romantico in costume adattamento di un famoso romanzo.
Trama: Un giovane è deciso ad avere giustizia per la morte del suo amato cugino, che si sentiva perseguitato dall'affascinante donna che aveva appena sposato. Ma quando conoscerà la vedova, ogni cosa cambierà.
Recensione: Nella sua ultima fatica Roger Michell, già regista del famoso Notting Hill, si concede al suo grande amore per i film in costume adattando il noto romanzo Mia cugina Rachele di Daphne du Maurier. L'opera era già stata trasposta nel 1952, quando Henry Koster ne aveva fatto un film con protagonisti Olivia de Havilland e Richard Burton, in questa nuova versione troviamo invece l'altrettanto brava (e bella) Rachel Weisz nei panni della femme fatale e un Sam Claflin come sempre poco convincente, che interpreta il giovane e ingenuo Philip. Il film è romanzescamente diviso in tre parti, tramite le quali si snoda una storia, che si annuncia però come prevedibilissima sin dalle prime scene. Ma non solo, anche piuttosto fredda. Il risultato è così un film romantico in costume piuttosto convenzionale e patinato, calibrato in ogni sua singola componente ma complessivamente piuttosto rigido e monocorde. Sfumato e tetro, incentrato sui tema della fascinazione, dell'idealizzazione e del desiderio a distanza, fino ad approdare a un finale ancor più cupo e mesto delle premesse, il film di Michell non si segnala per particolari guizzi, è estremamente succube tanto di una confezione imbalsamata quanto di una sorgente letteraria probabilmente di buon livello, che al cinema finisce però per risultare illustrativa tanto nelle sottolineature visive quanto nella restituzione del sentimento e delle dinamiche attrattive. Si salva unicamente appunto per la bella fotografia e la buona performance della protagonista. Sprecati gli altri attori e paradossalmente più il film calca la mano sul sentimentalismo e più lascia indifferenti. Nell'economia del film sono sbagliati e ripetitivi persino i ritmi e le situazioni del finale, sospeso e sbrigativo in una domanda che ha l'ambizione di elevarsi a metafora sulla natura umana, ma che rimane saldamente ancorata a terra, inadeguata al contesto e al livello del resto della pellicola. Un livello comunque mediocre, come la pellicola alla fine dei conti.
Regia: Dall'inizio era chiaro che si sarebbero qui mischiati elementi quali thriller, amour fou e desiderio in un intreccio possibilmente torbido e avvincente. Elementi che purtroppo Roger Michell non riesce a restituire in questa versione cinematografica, più preoccupato della forma a discapito delle emozioni, come spesso accade nel cinema inglese.
Sceneggiatura: Il primo atto si salva in corner gestendo piuttosto bene la sospensione della figura di Rachel, sempre annunciata e mai mostrata, se non tramite le parole delle lettere di Ambrose. In modo assolutamente paradossale, è proprio nel momento in cui la star della storia si svela che la debolezza dell'impianto della scrittura si rivela anch'esso in modo ancor più drammatico per lo spettatore, il quale rischia velocemente di annoiarsi nella banalità di gesti e battute di ogni singolo personaggio. La tensione si stempera e tutto avviene secondo quel copione che anche le menti meno creative potrebbero immaginarsi, se la figura della femme fatale sta in piedi concedendoci qualche intrigo ancora da svelare, lo stesso non accade per tutti gli altri personaggi, le cui psicologie vengono abbandonate nella piattezza degli avvenimenti. Neanche quell'interessante complesso di rimozione e paura del femminile suggeritoci nelle prime battute viene esplicitato a dovere, riducendosi alla frammentarietà di un personaggio maschile impantanato nella sua ingenuità e che mai evolve nel corso della storia. Il fascino si concentra quindi tutto in Rachel, figura di donna matrigna e insieme madre e compagna, insondabile e forse manipolatrice: costruita su eredità evidentemente hitchcockiane e perturbanti, il predominio da lei esercitato sul vuoto di contenuti che la circonda rende il film un one woman show privo di equilibrio.
Aspetto tecnico: Di buon livello la fotografia, di grande fascino le ambientazioni, dimenticabile la colonna sonora.
Cast: Rachel Weisz, brava anzi bravissima (sospesa tra dolcezza e durezza è perfettamente in linea con la seducente ambiguità del suo personaggio), Sam Claflin, paradossalmente convincente, Holliday Granger, brava a dispetto della non travolgente avvenenza fisica, bene anche Pierfrancesco Favino, in un ruolo sì da comprimario ma comunque importante.
Commento Finale: In complesso film d'atmosfera riuscito, ma la suspense, a tratti, diciamo così, "annaspa" o meglio non si accende quando dovrebbe, quasi una carenza nel climax narrativo, che è anche carenza di suspense, appunto dal punto di vista del suo progressivo "crescendo". Peccato, perché Sam Claflin funziona come ingenuo ragazzotto di campagna che perde la testa per la cugina, vedova forse nera. C'è da comprenderlo, perché Rachel Weisz è ipnotica nei panni della splendida e misteriosa Rachel, e fa dimenticare molti difetti di un film a cui non si nega una visione, ma che non resterà impresso nella memoria, anzi.
Consigliato: Sì, ma solo alle amanti del genere.
Voto: 5
Johnny English colpisce ancora (Commedia, Gran Bretagna, 2018)
Tema e genere: Terzo episodio della saga comico-spionistica sull'agente segreto più imbranato del mondo.
Trama: Un hacker ha smascherato l'identità di tutti gli agenti segreti britannici. Occorre richiamare Johnny English in vista di un importante incontro internazionale.
Recensione: Terzo capitolo della saga con protagonista il celebre comico britannico Rowan Atkinson, famoso per la serie televisiva Mr. Bean (1990-1995), questa nuova avventura conferma i limiti dei precedenti episodi della trilogia, abbastanza distanziati nel tempo dal 2003 a oggi, senza ulteriori sussulti né scossoni. A farla ancora una volta da padrone è l'elementare, per quanto simpatica, comicità british dell'attore, tutta giocata su mimiche facciali basiche e strizzate d'occhio pirotecniche e avvitate su stesse, ma l'efficacia di molte situazioni ridanciane è ai minimi storici (si veda la sprecata sequenza in discoteca) e l'ironia del film, per quanto in partenza gradevole, fatica a mascherare la pochezza sfilacciata dell'insieme, in gran parte accomodato sulla base di scenette cucite insieme a fatica. Rowan Atkinson è come sempre sornione nell'incarnare direttamente una parodia vivente di Bond e degli spy movie, dalla guida goffa e l'idiozia incalcolabile, ma non bastano i tentativi di aggiornamento delle varie situazioni (i telefoni cellulari come false armi) e le location di lusso come Antibes e la Costa Azzurra, tra aragoste, tic e demenzialità spinta, per tenere in piedi la baracca. Non funziona la prevedibilità delle azioni del protagonista e l'antagonista è chiaro fin dal principio. Abbiamo la bella Ophelia, che l'agente English crede di poter sedurre, senza alcuna credibilità. L'unica scena davvero memorabile è quando Johnny prova la realtà aumentata facendo interagire realtà e virtuale. In questa situazione le capacità attoriali del protagonista sono sfruttate al meglio e la sua mimica funziona perfettamente nel paradosso. Ma nel complesso la pellicola al massimo raggiunge la mediocrità, anche perché i personaggi nuovi non convincono affatto mentre quelli già conosciuti appaiono ormai stanchi di esserci, inoltre la componente d'azione delude risultando piuttosto minimale, poco presente e del tutto priva di mordente. Ci si diverte almeno un pochino, ma obbiettivamente è ben poca cosa.
Regia: Abbastanza anonimo l'esordio cinematografico di David Kerr, asservita al protagonista e senza guizzi particolari.
Sceneggiatura: Esile nei contenuti, la trama è molto semplice e i dialoghi mancano di brillantezza e originalità, delineando dei personaggi piatti e monotoni, inoltre è estremamente prevedibile.
Aspetto tecnico: C'è la morale buonista, c'è il genere comedy, c'è un volto famoso e una grande produzione che garantisce scenografie e fotografia di alto livello. La computer grafica è un po' posticcia e poteva essere realizzata meglio, ma di certo non è l'elemento peggiore del film.
Cast: Oltre a Emma Thompson e a Ben Miller nei panni del fedele collega, fa buona prova di sé Olga Kurylenko (sorprendentemente a suo agio in un ruolo di commedia) che alla sua bellezza aggiunge anche una certa dose di umorismo. Rowan Atkinson è comunque e sempre perfetto.
Commento Finale: Johnny English colpisce ancora ma con molta meno forza e verve. Il film è sorretto solo da Rowan Atkinson e le sue gag esagerate in un mix tra l'azione clownesca e il James Bond ribaltato, i personaggi secondari che accompagnano Johnny sono poco delineati e privi di spessore, diventando anonimi già da subito. E almeno la scena della realtà virtuale è esilarante (e anche la distruzione del ristorante non è male). Per il resto non c'è molto da dire, non essendoci molto altro se non un po' di delusione, amarezza e tristezza per una saga che poteva dare qualcosa di nuovo e fresco ma che si impantana su cliché e nostalgici e continui richiami ad un cinema che non c'è più perché inadatto ad i ritmi, alla comicità e alle esigenze cinematografiche odierne.
Consigliato: Ovviamente, dipende tutto dalle aspettative con cui ci si avvicina a questo film comico non particolarmente originale: il divertimento è discontinuo, molte situazioni sono fin troppo fiacche, ma a tratti sicuramente si ride. Comunque sconsigliabile non è.
Voto: 5
Ecco infine i film scartati ed evitati:
55 Passi Legal drama in favore dei malati mentali, istruttivo ma poco interessante.
Succede Teen drama adolescenziale a prima vista banale, per questo passo.
Madame Bovary Molto presumibilmente l'ennesima versione, piuttosto infelice, del capolavoro di Flaubert.
120 battiti al minuto Temo che sia un film che più che raccontare la Storia, ne racconti le storie, per questo al momento passo.
Where Hands Touch Interessante il cast poco la pellicola stessa, che puzza tanto di politicamente corretto e qualcos'altro.
Truffatori in erba Con un cast così importante ti aspetteresti un film non banale, e invece è proprio così, e lo si capisce già dal titolo.
Above Ground - Segreti sepolti Troppo strambo il plot per prenderlo seriamente in considerazione per una visione.
La rivalsa di una madre - Breaking In Strano home invasion al contrario, intrigante ma prevedibile.
Time Toys Film per ragazzi che pesca platealmente da diversi film, in un miscuglio che sa di già visto.
Taipei - City of Love Qualcuno forse l'avrà visto, ma io sinceramente non ci tengo, anche perché tra stupefacenti e insonnia, la noia potrebbe far capolino.
Bent - Polizia criminale E' sempre e solo la solita voglia di vendetta a fare da base, basta.
L'ape Maia - Le olimpiadi di miele Ho visto il primo, carino, ma in questo caso mi fido della diceria che dice che i sequel siano peggiori.
Replicas Sa troppo di già visto, pesca di qui e pesca di là, e non basta Keanu Reeves per convincermi a vederlo.
Black Water Van Damme ed Ivan Drago nel solito action di serie B, per favore basta.
Mai giocare con la babysitter Ultimamente se la prendono spesso con le babysitter ad Hollywood, e non so perché, però non mi va scoprirlo.
Brutti e cattivi Commedia grottesca italiana, ed ho già detto tutto.
Il passato bussa alla porta Certe produzioni non sanno cos'è l'originalità.
Tema e genere: Thriller psicologico che si sviluppa in quattro capitoli interpretato principalmente da Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke.
Trama: Due adolescenti con disturbi psicologici si riavvicinano dopo anni di lontananza e assieme pianificano l'omicidio del patrigno di una delle due.
Recensione: È un film strano, Amiche di sangue, non del tutto riuscito e che non sembra aver chiaro dove andare a parare, se nella commedia nera, nella satira sociale o nel thriller, anche perché in realtà al contrario di una commedia nera qualsiasi si prende anche troppo sul serio, oltretutto il film si muove su un meccanismo già visto mille volte, che cerca di nobilitarsi con una rappresentazione asettica e un finale (relativamente) non conciliante. Però bisogna dire che l'esordiente Cory Finley sa dove piazzare la macchia da presa ed è molto preparato tecnicamente, soprattutto grazie allo stile, questa è un'opera che si guarda con grande interesse. Purtroppo tuttavia, Amiche di sangue sembra mancare di profondità nel raccontare le sue due protagoniste, personaggi per cui è molto difficile provare un minimo sindacale di simpatia, e non per la loro condizione di assoluto privilegio (sono ricche e viziate), ma perché non sono definite da altro se non i loro aspetti più evidenti e superficiali: Amanda è sociopatica e Lily è capricciosa. La colpa non è delle due attrici: la Taylor-Joy di The Witch ormai non è più né una promessa né una sorpresa, data la sua costante presenza come nuova musa del cinema indipendente e la Cooke, al contrario, rivela delle qualità recitative insospettabili, soprattutto in un ruolo per lei non consueto. Il problema è di scrittura perché, nonostante Finley sia bravissimo, nei primi minuti, a impostare un'atmosfera di aridità emotiva sotto la patina degli ambienti di lusso splendidamente fotografati in cui si muovono e tramano le due ragazze, non vuole o non può spingersi fino alle più estreme conseguenze e, così facendo, lascia che siano le due attrici a riempire i vuoti lasciati da una caratterizzazione molto, troppo leggera. Il vuoto emotivo va bene, è voluto e anche ricercato da un punto di vista stilistico, con un approccio gelido e sempre distante dai personaggi, ma al di là del cinismo, Amiche di sangue non riesce ad andare e, alla lunga, perde anche qualche colpo nel ritmo, sempre abbastanza seduto, a dire la verità, e non è necessariamente un difetto: l'impressione generale è che la storia narrata andasse bene per un corto e non avesse abbastanza forza per reggere la durata di un lungometraggio. Per esempio: tutta la vicenda legata al personaggio di Anton Yelchin non va da nessuna parte e, a parte il piacere di vederlo in un film e un paio di dialoghi azzeccati tra lui e Amanda, non ha una vera e propria ragione d'essere, se non allungare il minutaggio. Si tratta comunque di un esordio interessante e di un regista da tenere d'occhio in futuro, sperando che la prossima pellicola abbia dalla sua una sceneggiatura (scritta da lui o meno) di migliore fattura e che il tutto riesca ad avere una valenza maggiore di questa occasione invece leggermente persa.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico: Il soggetto, scritto dal regista esordiente Cory Finley, sarebbe potuto piacere a Hitchcock, e aveva in sé tutti gli spunti per un'analisi impietosa (ma anche divertita) della provincia benestante americana e di una gioventù arida e cinica. Amiche di sangue però non è nulla di tutto questo, l'autore/regista spreca tutti gli spunti interessanti in una sceneggiatura confusa e squilibrata, incerta se essere un thriller, un dramma o una commedia nera (in parole povere poca tensione per un thriller e poco tagliente come commedia nera). Le situazioni sono infarcite di un ironia fastidiosa e mai veramente pregnante, e i personaggi sono descritti in termini troppo caricaturali (ad esempio il patrigno Mark). La regia di Finley non sembra interessata poi a creare né divertimento né tensione, anche se dimostra di avere un certo talento visivo, aiutato dalla fotografia e dalle scenografie di qualità, e anche capacità di gestire lo spazio scenico con alcune intuizioni di rapporto attore-spazio molto interessanti. Questi segni però di talento non sembrano mai essere al servizio della storia, ma piuttosto a conferire al risultato un'impronta "artistica".
Cast: Le due attrici protagoniste, brave per quanto apatiche nella recitazione e ingabbiate in personaggi troppo freddi, sono due delle promesse del cinema americano: Olivia Cooke nei panni di Amanda, vista recentemente in Ready Player One, e Anya Taylor-Joy, già in The Witch e Split (e Morgan). Una menzione speciale al compianto Anton Yelchin, qui patetico spacciatore, morto pochi giorni dopo la fine delle riprese.
Commento Finale: Accompagnato dalle interpretazioni di due astri nascenti come Anya Taylor-Joy e Olivia Cooke, Amiche di sangue è il thriller misurato che, nemmeno quando si consuma il fattaccio, esplode in maniera incontrollabile. Un prodotto come tanti, un film che "richiama" qualche titolo del passato (American Psyco) nonostante non ne possegga la "posata" furia omicida. Un prodotto che scivola rapidamente verso la conclusione (non proprio eccezionale o convincente) e non riesce a farsi un valido portatore di apatica e insensibile cattiveria, laddove le due adolescenti trovano necessario reagire per farsi un adeguato spazio nell'esistenza di tutti i giorni (oltretutto le motivazioni per il piano contro il patrigno non convincono fino in fondo).
Consigliato: Lascia perplessi sia la scrittura che il messaggio, che intenderebbe veicolare, il cinema è ricco di storie di adolescenti, assassine per caso, per diletto o per interesse. L'interpretazione delle protagoniste è convincente, ma non basta, e anche per consigliarne una visione non basta.
Voto: 5
Dark Night (Dramma, USA, 2016)
Tema e genere: Film drammatico liberamente ispirato ad un tragico fatto di cronaca avvenuto in America, in Colorado, nel 2012.
Trama: Un paesaggio di periferia fa da inevitabile testimone agli eventi che culminano in un massacro in un cineplex. Nel corso di una sola giornata, dal sorgere del sole fino a mezzanotte, sei sconosciuti (tra cui il cecchino) condividono il loro incubo americano.
Recensione: Prende spunto dalla strage di Aurora, costata la vita a dodici persone che stavano assistendo alla prima de Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012), per mettere in scena una nuova tragedia all'indomani della precedente. Il regista e sceneggiatore Tim Sutton tenta di dar vita a un'opera "totale" nel suo freddo minimalismo, finisce però per cadere in un autocompiacimento fastidioso in cui la storia e i dialoghi sono pressoché inesistenti. Dark Night è infatti un continuo alternarsi delle quotidianità pre-massacro di alcune delle potenziali vittime e dell'attentatore, che vorrebbe sfruttare la forza delle immagini (fotograficamente ispirate ma vuote di contenuto) per riflettere sulle contraddizioni dell'America moderna, dall'ossessione per i videogiochi e i selfie al fanatismo per le armi da fuoco, ma il tentativo è al grado zero di emozione ed empatia e non raggiunge il pubblico, quello che avrebbe dovuto condurre a spunti di riflessione. Gli ottanta minuti di visione risultano così un esercizio di stile che pecca di superbia e annulla il significato. Sutton insomma "gioca col fuoco" e si prende qualche rischio, e il risultato finale forse non vale poi così tanto la pena. Dark Night è infatti una sorta di non-film, un vezzo autoriale che pecca di superbia dimenticandosi proprio del pubblico stesso a cui è rivolto, un docu-film pregno di compiacimento in cui lo stile iperrealista delle immagini diventa l'unico tratto distintivo degli ottanta minuti di visione. Dark Night paga soprattutto un montaggio che passa senza continuità logica da una figura all'altra, dimenticandosi di costruire un background atto a identificare le varie personalità coinvolte: se da un lato questo serve a imprimere una sorta di aura universale in cui identificare gran parte dell'adolescenza contemporanea, dall'altro nega qualsiasi coinvolgimento empatico ed emotivo, lasciando una sensazione di statica freddezza che accompagna anche le fasi finali del racconto, con l'attuazione della violenza lasciata all'immaginazione dello spettatore alla comparsa di uno schermo nero seguito dalle riprese di un cielo terso dal sapore apocalittico. E non è ciò o l'assenza di un climax significativo a rendere Dark Night indigeribile, è proprio l'irreperibilità di qualsivoglia spunto seducente a dargli forma aliena per il cinema stesso. Molto buone fotografia e musiche, ma questi momenti "rubati" e accorpati tra loro senza alcun disegno preciso non comprendo come possano suscitare il minimo interesse.
Regia: Film disturbante e va bene, perché voleva esserlo, ma anche noiosissimo. Secondo me l'eccessiva sperimentazione del regista toglie il piacere della visione e rimane solo esercizio di stile, neanche troppo convincente e anche troppo banale (Terrence Malick insegna). Il lavoro di Tim Sutton infatti, si concentra su frammenti di vite senza seguire alcuno schema logico, sono istantanee per lo più disagiate o semplicemente affogate nella più totale noia. C'è il tentativo di confondere evitando di svelare l'identità dell'assassino sino alla fine (anche se un indizio parla per tutti), come a voler affermare che la molla della follia può scattare in qualsiasi persona, indipendentemente dalla situazione in cui essa si trova, ma non basta.
Sceneggiatura: L'idea e la struttura del racconto sono interessanti ma il film manca di forza narrativa. Il dialogo è ridotto al minimo e i campi vuoti che il regista continuamente ostenta non riescono a comunicare quel senso di abbandono e di disagio che esso voleva inscenare. Le ripetute inquadrature di lampioni, le riprese dall'alto della cittadina, il parcheggio e i luoghi collegati alla strage riescono a comunicare ben poco. Credo si possa individuare in Elephant (2003) di Gus Van Sant come il lungometraggio a cui Tim Sutton si sia ispirato per la realizzazione di Dark Night, sia come tematica sia come impostazione narrativa. Infatti anche in quel film vi è un racconto basata su cinque storie di ragazzi, ciascuno con le proprie incertezze e difficoltà. Dark Night però, a differenza di quello del connazionale, non riesce a creare tensione e non riesce a raccontare la sofferenza e il disagio giovanile nella società statunitense, una nazione dove sono sempre più frequenti stragi compiute da giovani a causa della facile reperibilità di armi da fuoco. Buoni propositi, risultato pessimo.
Aspetto tecnico: Notevole soprattutto la colonna sonora, buona anche la fotografia.
Cast: Tutti gli attori sono esordienti, se la cavano, ma non impressionano mai.
Commento Finale: Giudizio difficile. Senza una spiegazione esterna si può solo intuire, con dubbio, il senso e l'esito della storia, quindi il film manca di autonomia concettuale. Non è certo un film dell'orrore, come assurdamente definito da qualcuno o da qualche parte, ma la descrizione a libera interpretazione di un fatto criminale realmente accaduto. Scorre nell'immagine il nulla della società americana, in particolare quella giovanile, privata di qualsiasi ideale e scopo vitale (che non sia quello della mera sopravvivenza e affermazione personale a scapito del prossimo). Molta lentezza non giustificata da contenuto. Nessuna introspezione ma solo descrizione. Non c'è molto in questo film, che potrebbe definirsi anch'esso un nulla. Vuoto, misero, inconsistente. Ho provato a trovarci qualcosa ma proprio non ci sono riuscito. Probabilmente incompreso, forse evitabile, di certo mai più rivedibile.
Consigliato: Troppo pesante, noioso, non ti passa mai. Però da vedere perché merita.
Voto: 5
Rachel (Drammatico, Gran Bretagna, Germania, Italia, 2017)
Tema e genere: Dramma romantico in costume adattamento di un famoso romanzo.
Trama: Un giovane è deciso ad avere giustizia per la morte del suo amato cugino, che si sentiva perseguitato dall'affascinante donna che aveva appena sposato. Ma quando conoscerà la vedova, ogni cosa cambierà.
Recensione: Nella sua ultima fatica Roger Michell, già regista del famoso Notting Hill, si concede al suo grande amore per i film in costume adattando il noto romanzo Mia cugina Rachele di Daphne du Maurier. L'opera era già stata trasposta nel 1952, quando Henry Koster ne aveva fatto un film con protagonisti Olivia de Havilland e Richard Burton, in questa nuova versione troviamo invece l'altrettanto brava (e bella) Rachel Weisz nei panni della femme fatale e un Sam Claflin come sempre poco convincente, che interpreta il giovane e ingenuo Philip. Il film è romanzescamente diviso in tre parti, tramite le quali si snoda una storia, che si annuncia però come prevedibilissima sin dalle prime scene. Ma non solo, anche piuttosto fredda. Il risultato è così un film romantico in costume piuttosto convenzionale e patinato, calibrato in ogni sua singola componente ma complessivamente piuttosto rigido e monocorde. Sfumato e tetro, incentrato sui tema della fascinazione, dell'idealizzazione e del desiderio a distanza, fino ad approdare a un finale ancor più cupo e mesto delle premesse, il film di Michell non si segnala per particolari guizzi, è estremamente succube tanto di una confezione imbalsamata quanto di una sorgente letteraria probabilmente di buon livello, che al cinema finisce però per risultare illustrativa tanto nelle sottolineature visive quanto nella restituzione del sentimento e delle dinamiche attrattive. Si salva unicamente appunto per la bella fotografia e la buona performance della protagonista. Sprecati gli altri attori e paradossalmente più il film calca la mano sul sentimentalismo e più lascia indifferenti. Nell'economia del film sono sbagliati e ripetitivi persino i ritmi e le situazioni del finale, sospeso e sbrigativo in una domanda che ha l'ambizione di elevarsi a metafora sulla natura umana, ma che rimane saldamente ancorata a terra, inadeguata al contesto e al livello del resto della pellicola. Un livello comunque mediocre, come la pellicola alla fine dei conti.
Regia: Dall'inizio era chiaro che si sarebbero qui mischiati elementi quali thriller, amour fou e desiderio in un intreccio possibilmente torbido e avvincente. Elementi che purtroppo Roger Michell non riesce a restituire in questa versione cinematografica, più preoccupato della forma a discapito delle emozioni, come spesso accade nel cinema inglese.
Sceneggiatura: Il primo atto si salva in corner gestendo piuttosto bene la sospensione della figura di Rachel, sempre annunciata e mai mostrata, se non tramite le parole delle lettere di Ambrose. In modo assolutamente paradossale, è proprio nel momento in cui la star della storia si svela che la debolezza dell'impianto della scrittura si rivela anch'esso in modo ancor più drammatico per lo spettatore, il quale rischia velocemente di annoiarsi nella banalità di gesti e battute di ogni singolo personaggio. La tensione si stempera e tutto avviene secondo quel copione che anche le menti meno creative potrebbero immaginarsi, se la figura della femme fatale sta in piedi concedendoci qualche intrigo ancora da svelare, lo stesso non accade per tutti gli altri personaggi, le cui psicologie vengono abbandonate nella piattezza degli avvenimenti. Neanche quell'interessante complesso di rimozione e paura del femminile suggeritoci nelle prime battute viene esplicitato a dovere, riducendosi alla frammentarietà di un personaggio maschile impantanato nella sua ingenuità e che mai evolve nel corso della storia. Il fascino si concentra quindi tutto in Rachel, figura di donna matrigna e insieme madre e compagna, insondabile e forse manipolatrice: costruita su eredità evidentemente hitchcockiane e perturbanti, il predominio da lei esercitato sul vuoto di contenuti che la circonda rende il film un one woman show privo di equilibrio.
Aspetto tecnico: Di buon livello la fotografia, di grande fascino le ambientazioni, dimenticabile la colonna sonora.
Cast: Rachel Weisz, brava anzi bravissima (sospesa tra dolcezza e durezza è perfettamente in linea con la seducente ambiguità del suo personaggio), Sam Claflin, paradossalmente convincente, Holliday Granger, brava a dispetto della non travolgente avvenenza fisica, bene anche Pierfrancesco Favino, in un ruolo sì da comprimario ma comunque importante.
Commento Finale: In complesso film d'atmosfera riuscito, ma la suspense, a tratti, diciamo così, "annaspa" o meglio non si accende quando dovrebbe, quasi una carenza nel climax narrativo, che è anche carenza di suspense, appunto dal punto di vista del suo progressivo "crescendo". Peccato, perché Sam Claflin funziona come ingenuo ragazzotto di campagna che perde la testa per la cugina, vedova forse nera. C'è da comprenderlo, perché Rachel Weisz è ipnotica nei panni della splendida e misteriosa Rachel, e fa dimenticare molti difetti di un film a cui non si nega una visione, ma che non resterà impresso nella memoria, anzi.
Consigliato: Sì, ma solo alle amanti del genere.
Voto: 5
Johnny English colpisce ancora (Commedia, Gran Bretagna, 2018)
Tema e genere: Terzo episodio della saga comico-spionistica sull'agente segreto più imbranato del mondo.
Trama: Un hacker ha smascherato l'identità di tutti gli agenti segreti britannici. Occorre richiamare Johnny English in vista di un importante incontro internazionale.
Recensione: Terzo capitolo della saga con protagonista il celebre comico britannico Rowan Atkinson, famoso per la serie televisiva Mr. Bean (1990-1995), questa nuova avventura conferma i limiti dei precedenti episodi della trilogia, abbastanza distanziati nel tempo dal 2003 a oggi, senza ulteriori sussulti né scossoni. A farla ancora una volta da padrone è l'elementare, per quanto simpatica, comicità british dell'attore, tutta giocata su mimiche facciali basiche e strizzate d'occhio pirotecniche e avvitate su stesse, ma l'efficacia di molte situazioni ridanciane è ai minimi storici (si veda la sprecata sequenza in discoteca) e l'ironia del film, per quanto in partenza gradevole, fatica a mascherare la pochezza sfilacciata dell'insieme, in gran parte accomodato sulla base di scenette cucite insieme a fatica. Rowan Atkinson è come sempre sornione nell'incarnare direttamente una parodia vivente di Bond e degli spy movie, dalla guida goffa e l'idiozia incalcolabile, ma non bastano i tentativi di aggiornamento delle varie situazioni (i telefoni cellulari come false armi) e le location di lusso come Antibes e la Costa Azzurra, tra aragoste, tic e demenzialità spinta, per tenere in piedi la baracca. Non funziona la prevedibilità delle azioni del protagonista e l'antagonista è chiaro fin dal principio. Abbiamo la bella Ophelia, che l'agente English crede di poter sedurre, senza alcuna credibilità. L'unica scena davvero memorabile è quando Johnny prova la realtà aumentata facendo interagire realtà e virtuale. In questa situazione le capacità attoriali del protagonista sono sfruttate al meglio e la sua mimica funziona perfettamente nel paradosso. Ma nel complesso la pellicola al massimo raggiunge la mediocrità, anche perché i personaggi nuovi non convincono affatto mentre quelli già conosciuti appaiono ormai stanchi di esserci, inoltre la componente d'azione delude risultando piuttosto minimale, poco presente e del tutto priva di mordente. Ci si diverte almeno un pochino, ma obbiettivamente è ben poca cosa.
Regia: Abbastanza anonimo l'esordio cinematografico di David Kerr, asservita al protagonista e senza guizzi particolari.
Sceneggiatura: Esile nei contenuti, la trama è molto semplice e i dialoghi mancano di brillantezza e originalità, delineando dei personaggi piatti e monotoni, inoltre è estremamente prevedibile.
Aspetto tecnico: C'è la morale buonista, c'è il genere comedy, c'è un volto famoso e una grande produzione che garantisce scenografie e fotografia di alto livello. La computer grafica è un po' posticcia e poteva essere realizzata meglio, ma di certo non è l'elemento peggiore del film.
Cast: Oltre a Emma Thompson e a Ben Miller nei panni del fedele collega, fa buona prova di sé Olga Kurylenko (sorprendentemente a suo agio in un ruolo di commedia) che alla sua bellezza aggiunge anche una certa dose di umorismo. Rowan Atkinson è comunque e sempre perfetto.
Commento Finale: Johnny English colpisce ancora ma con molta meno forza e verve. Il film è sorretto solo da Rowan Atkinson e le sue gag esagerate in un mix tra l'azione clownesca e il James Bond ribaltato, i personaggi secondari che accompagnano Johnny sono poco delineati e privi di spessore, diventando anonimi già da subito. E almeno la scena della realtà virtuale è esilarante (e anche la distruzione del ristorante non è male). Per il resto non c'è molto da dire, non essendoci molto altro se non un po' di delusione, amarezza e tristezza per una saga che poteva dare qualcosa di nuovo e fresco ma che si impantana su cliché e nostalgici e continui richiami ad un cinema che non c'è più perché inadatto ad i ritmi, alla comicità e alle esigenze cinematografiche odierne.
Consigliato: Ovviamente, dipende tutto dalle aspettative con cui ci si avvicina a questo film comico non particolarmente originale: il divertimento è discontinuo, molte situazioni sono fin troppo fiacche, ma a tratti sicuramente si ride. Comunque sconsigliabile non è.
Voto: 5
Ecco infine i film scartati ed evitati:
55 Passi Legal drama in favore dei malati mentali, istruttivo ma poco interessante.
Succede Teen drama adolescenziale a prima vista banale, per questo passo.
Madame Bovary Molto presumibilmente l'ennesima versione, piuttosto infelice, del capolavoro di Flaubert.
120 battiti al minuto Temo che sia un film che più che raccontare la Storia, ne racconti le storie, per questo al momento passo.
Where Hands Touch Interessante il cast poco la pellicola stessa, che puzza tanto di politicamente corretto e qualcos'altro.
Truffatori in erba Con un cast così importante ti aspetteresti un film non banale, e invece è proprio così, e lo si capisce già dal titolo.
Above Ground - Segreti sepolti Troppo strambo il plot per prenderlo seriamente in considerazione per una visione.
La rivalsa di una madre - Breaking In Strano home invasion al contrario, intrigante ma prevedibile.
Time Toys Film per ragazzi che pesca platealmente da diversi film, in un miscuglio che sa di già visto.
Taipei - City of Love Qualcuno forse l'avrà visto, ma io sinceramente non ci tengo, anche perché tra stupefacenti e insonnia, la noia potrebbe far capolino.
Bent - Polizia criminale E' sempre e solo la solita voglia di vendetta a fare da base, basta.
L'ape Maia - Le olimpiadi di miele Ho visto il primo, carino, ma in questo caso mi fido della diceria che dice che i sequel siano peggiori.
Replicas Sa troppo di già visto, pesca di qui e pesca di là, e non basta Keanu Reeves per convincermi a vederlo.
La vendetta della sposa Tutto è lampante e prevedibile già dal titolo, no grazie.
Chasing Mavericks I surfisti a dir la verità mi stanno un po' sullo stomaco, e la storia vera di uno di loro poco mi interessa.Black Water Van Damme ed Ivan Drago nel solito action di serie B, per favore basta.
Mai giocare con la babysitter Ultimamente se la prendono spesso con le babysitter ad Hollywood, e non so perché, però non mi va scoprirlo.
Brutti e cattivi Commedia grottesca italiana, ed ho già detto tutto.
Il passato bussa alla porta Certe produzioni non sanno cos'è l'originalità.
Quando parla il cuore La storia di una donna indiana che per conformarsi con la società impara l'inglese, bella ma per niente interessante.
La doppia immagine dei miei desideri All'apparenza il classico film sull'ossessione, e presumibilmente è così, ovviamente anche banale e prevedibile.
La doppia immagine dei miei desideri All'apparenza il classico film sull'ossessione, e presumibilmente è così, ovviamente anche banale e prevedibile.
Visto solo "Dark night" e, spiace dirlo, non concordo in toto. Noioso, più interessante che bello... Ma quel finale, quel rivolgersi al pubblico, per me sono stati un bel pugno.
RispondiEliminaIl problema del film è che non sai di che parla all'inizio, cioè non sai la storia vera, è impossibile capirlo, un po' come certi film di Malick, tutta forma e nessuna sostanza.
EliminaUno che dopo il primo vede ancora dei Johnny English...merita di soffrire...��������
RispondiEliminaMa dai su non esagerare, anche perché di film più demenziali e meno riusciti di questo ce ne sono..
EliminaAllora, non ricordo se li ho visti, ma sicuramente guarderei "Chiudi gli occhi" e "Amiche di sangue".
RispondiEliminaStrano che Blake Lively non sia bastata a farti cambiare opinione sul film. Ahah
Quanto alla macchina, sai bene che ci sono già passata e sì, fa male.
Ci si sente violati, per quanto nel tuo caso probabilmente non ci hai mai fatto neppure un giro.
Spero che possiate trovare presto una nuova soluzione.
Dai un bacino a Domenico ed Angela da parte mia.
E neanche le due "amiche" son bastate, a volte c'è bisogno anche di altro e di più ;)
EliminaEffettivamente no, però avrei voluto, e l'occasione poteva esserci presto, peccato...
Bisogna aspettare un po' ma la troveremo, comunque grazie, un bacino anche a te :)
Escape Plan 2 anche se fatto male e con grandi nomi che fanno solo praticamente dei cameo, devo vederlo^^
RispondiEliminaMoz-
Davvero? Per me è no, ma c'è libertà di scelta ;)
EliminaSpiace per quanto accaduto. In questi casi il cinema diventa anche una valvola di sfogo perché si è già stati protagonisti di un proprio brutto film ...
RispondiEliminaGià, un film dove si vorrebbe prendere a mazzate parecchia gente...
EliminaNon ho visto nessuno di questi film, ho fatto bene allora! Mi dispiace per l'automobile.
RispondiEliminaPer me sì che hai fatto bene, ma poi dipende da chi guarda ;)
EliminaGrazie, spiace tanto anche a me.
Per ora e per fortuna non ne ho visto manco uno.
RispondiEliminaPeccato per Johnny English, anche se la comicità di Aktinson comincia ad essere datata, mi fa sempre piacere rivederlo. Manco sapevo avessero fatto un secondo film e questo fosse il terzo... il primo era simpatico.
E spero rimarrà così, proprio perché neanche il terzo di Atkinson di consiglierei di vedere, anche se Mr Bean è sempre uno spasso ;)
EliminaNo dai, Van Damme e Dolph sono liberi di fare quel genere di film da qui all'eternità :D
RispondiEliminaE io non sono un amante del genere...
Ma sai che io "Mister Bean" non l'ho mai particolarmente gradito?
Preferivo di gran lunga il Benny Hill Show!
Tu dici fino all'eternità? Non saprei, l'età comincia a sentirsi..
EliminaVabbè il Benny Hill Show era fantastico, però a me Mr Bean ha fatto sempre ridere ;)
Da bambino stravedevo per la scena del Benny Hill nella quale il comico dava le pacchettine sulla testa al vecchietto pelato :D
EliminaBeh sì, quello era un must, fantastico anche quando correvano :D
EliminaTra i tuoi "scarti" sai che Brutti e cattivi non è affatto male?
RispondiEliminaMentre 120 battiti al minuto è un film bellissimo!
No? Ci penserò su, mentre per il secondo ho qualche dubbio in più, ma chissà ;)
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