Nato dall'ennesima straordinaria collaborazione tra Ron Howard, qui regista, e Brian Grazer, qui produttore insieme al suo amico, ed entrambi reduci come produttori esecutivi della bellissima e affascinante (e molto apprezzata da me) serie Marte (1a e 2a parte ai link) e dalla serie televisiva Genius: Einstein (che sto in questi giorni vedendo), The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years, film del 2016, è il bellissimo ed interessante documentario (fatto col cuore, con l'anima, con la testa, non agiografico ma solo sincero) sul gruppo rock più famoso di tutti i tempi, i Beatles appunto, che in soli quattro anni, tra il 1962, anno in cui ancora suonavano quasi solo tra Liverpool e Amburgo, e il 1966, quando si guardarono in faccia e si dissero basta, basta con i tour, basta con quella follia ormai fuori controllo, diedero vita ad un fenomeno sociale senza precedenti, che radunò in ogni parte del mondo folle di dimensioni mai viste. Fu in quel periodo infatti, che i quattro giovani musicisti di Liverpool, fino ad allora abituati ad esibirsi in anonimi locali nella loro città e ad Amburgo, grazie alla composizione di un incredibile numero di bellissime canzoni e al prezioso aiuto da parte del manager Brian Epstein, che curò abilmente il loro look e le loro attività, tennero un nutrito numero di concerti, dapprima in Europa, e successivamente in varie parti del mondo in teatri, arene e stadi, raggiungendo in breve tempo un clamoroso successo su scala planetaria, consacrandosi in tal modo alla leggenda della musica rock. Allo stesso tempo andò coagulandosi attorno a loro una sorta di divismo esasperato, con migliaia di giovanissime fans in delirio orgiastico che assistevano ai loro concerti. E mentre sullo sfondo delle loro canzoni scorreva la Storia di quegli anni, l'assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, la guerra fredda, le lotte contro la segregazione razziale, la conquista dello Spazio, i primi movimenti rivoluzionari giovanili, l'immenso successo raggiunto dal gruppo inglese finì per minarne l'unione. Infatti, dissidi interni alla band, evidente squilibrio di capacità e genialità artistiche fra i quattro, paura di attentati, incaute dichiarazioni su temi religiosi, la morte prematura di Epstein, portarono in breve tempo allo scioglimento del complesso, complesso che però immortale è ancora adesso.
Decisamente un buon documentario sui mitici Beatles e firmato Howard è quindi The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years, vero documento storico di un qualcosa d'incredibile, dato che soprattutto nella prima parte, il film riesce a descrivere con molta efficacia il climax di quegli anni e le ragioni del fenomeno-Beatles in tutto il mondo. Loro che, nel periodo che va dal 1963 al 1966, ottenuta una popolarità enorme, girarono il mondo per un tour musicale dai ritmi intensissimi (e spaventosi per l'epoca). Il taglio scelto infatti, si focalizza sulla prima parte di carriera della band, cioè quella che coincide con una serie di tour massacranti in giro per il mondo, prima dell'abbandono dei live da un certo momento in poi. Howard difatti analizza quel periodo, quello dei concerti, dell'isteria collettiva verso un gruppo realmente capitato nel momento giusto e che grazie alla qualità delle loro canzoni è diventato immortale. Un periodo che analizza l'unità interna del complesso di fronte ad una pressione enorme, dai fans fino a coloro che li considerano solo una lucentissima meteora destinata a spegnersi nel giro di un anno. Loro però, a dispetto dei detrattori che ancora si affannano a sminuire il mito dei Beatles, riducendolo (a loro dire) a una manica di ragazzine isteriche (anche se in verità era assurdamente così) fecero la Storia, partecipi principali di un fenomeno musicale e di costume tra i più iconografici di tutto il XX secolo.
Ma questo documentario, oltre a trattare appunto dei primi anni della storia dei Beatles, avvalendosi di filmati d'epoca originali, nonché di riprese inedite girate dagli stessi fans e di diverse interviste girate per l'occasione, Paul McCartney, Ringo Starr, Sigourney Weaver, Whoopy Goldberg, senza dimenticare qualche intervista d'archivio a John Lennon, si sviluppa su un doppio binario, l'impatto planetario dei Beatles e le ripercussioni sui loro componenti di questo impatto che lentamente li logora e li sfianca lentamente (in fondo lo stesso gruppo dopo il concerto allo Shea Stadium si domanda cosa ottenere di più quando si riempie all'inverosimile uno stadio intero, cosa impensabile e sperimentata proprio dai Beatles per la prima volta). Un contrappunto di questo debilitante impatto è ben utilizzato difatti dall'immagine finale del concerto improvvisato sui tetti, dai quattro artisti vestiti e pettinati alla stessa maniera, proprio a simboleggiare la loro stessa unità, a quattro uomini con vestiti diversi che sottolinea le loro ambizioni solistiche, ma anche la volontà in fondo di ripetere tale estemporanea reunion. Doppio binario in ogni caso bellissimo ed interessante, attraversato da un ritmo frenetico e coinvolgente, anche se non è un documentario esauriente, ce ne sono altri migliori, perché questo qui si limita a narrare gli eventi, senza andare troppo in profondità.
Tuttavia, il regista ha il buonsenso di limitarsi alle vicende "pubbliche" dei Fab Four senza entrare nelle sfere personali. Anche grazie a ciò il risultato è un documentario leggero leggero che nel suo intento di non essere mai pesante sorvola su molti passaggi fondamentali riguardanti la storia del gruppo, in particolare sulla fase finale che viene quasi totalmente estraniata. Certo, molti brani leggendari sono stati omessi e soprattutto è stata saltata tutta la seconda parte di carriera, quella più matura e decisamente più di qualità a livello di brani, quella più nervosa, più travagliata, più imprevedibile che porterà allo scioglimento, ma il documentario è incentrato sulle attività concertistiche e perciò pazienza. D'altronde questo docu-film, sembra pensato più per chi dei Beatles conosce solo qualcosina, i grandi conoscitori del gruppo di Liverpool non scopriranno niente di nuovo. Però è innegabile che il film sia riuscito, leggero e sempre godibile grazie alle immortali canzoni dei Beatles a fare da sottofondo. Dopotutto il ritmo veloce fa divertire e il concerto finale a New York emoziona.
Poiché sicuramente chi ha vissuto la propria giovinezza in quei tempi non potrà non commuoversi, ma anche chi solo gli ha solo sentiti e letto di loro non può rimaner indifferenti, dato che in questo bellissimo documentario, dove d'inedito non c'è proprio tanto ma di bellissimo c'è tutto, che regala due ore di gioia per le orecchie e per l'anima, tutto scorre magnificamente ed il tempo vola, anche se alla fine il rammarico di un sogno interrotto troppo presto c'è e si vede. Ma è davvero imperdibile, soprattutto per (vedere ed ammirare) la qualità indiscussa del regista Ron Howard, che si dimostra, ancora una volta, regista preciso ed anche innovativo. Lui che proponendoci i quattro ragazzi di Liverpool come sono stati anche nelle loro debolezze, fuori da ogni retorica, fa decisamente centro. Come centro fanno certamente i The Beatles, che fanno, come sempre, una bellissima figura, come persone e naturalmente come (grandissimi) musicisti, perché questo sono stati prima di tutto, non solo dei fenomeni di costume. Le loro armonie poi sono state dei successi planetari ed hanno illuminato la musica, senza aggettivi, del XX secolo. Canzoni indimenticabili che resteranno per sempre scolpiti nella memoria, anche per uno che (come me) è nato vent'anni dopo, uno che però sa benissimo chi sono le vere leggende. Voto: 7
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