E' stata, la scorsa settimana di Ferragosto, una settimana di completo relax, o quasi, dopotutto in questo periodo di riposo (un po' come tutti, ma non proprio tutti) non ho fatto altro che mettere fieno in cascina, non ho fatto altro che dare una direzione alla mia programmazione cinematografica e non, e quindi non ho fatto altro che programmare post, film o serie da vedere entro l'anno. E tuttavia nonostante tutto ciò ho avuto non solo il tempo di vedere comunque parecchi film, ma anche di dare un'occhiata ad un documentario bellissimo, che tuttavia non avrei voluto mai vedere. Il documentario, prettamente televisivo, in questione infatti era quello sull'indimenticato Robin Williams, che come purtroppo sappiamo si è tolto la vita nel 2014 a 63 anni, notizia che per tutti fu uno letteralmente shock, non solo perché pochi sapevano dei suoi problemi, ma perché egli, un genio della commedia e non solo, capace di far ridere e riflettere tutti, dai più grandi ai più piccoli, dando vita a moltissimi personaggi che fanno tuttora parte dell'immaginario collettivo di intere generazioni (da Peter Pan al buffo alieno Mork, dal dottor Hunter Patch Adams all'androide Andrew Martin ne L'uomo bicentenario, e tanti altri), ha lasciato un vuoto difficile da colmare. Difatti Nella mente di Robin Williams, documentario HBO diretto da Marina Zenovich e presentato al Sundance Film Festival, è un ritratto ora divertente, ora intimo e commovente di uno dei più grandi attori di sempre. Non a caso il film Come Inside My Mind, andato in onda su Sky Cinema e attualmente disponibile su Sky On Demand, ricco di interviste di colleghi e amici (David Letterman, Billy Cristal, Pam Dawber, Eric Idle, Whoopi Goldberg e il figlio Zak, che raccontano l'uomo dietro la maschera, una persona che non poteva sentirsi felice se non riusciva a far divertire gli altri) racconta tutta la vita dell'attore, dall'infanzia solitaria nel Midwest fino alla fine dei suoi giorni, passando per i suoi ruoli più iconici e per filmati d'archivio delle prime esibizioni teatrali a San Francisco. Dopotutto il documentario, che fa un ritratto dell'attore e dell'uomo e celebra la sua memorabile carriera, esplora la vita dell'artista attraverso le sue stesse parole, mostrando interviste inedite in cui spiega ciò che lo ha spinto a creare i personaggi nella sua mente e il processo creativo. E poiché scopriremo le sue lotte contro la depressione, l'alcol e la droga e vedremo gli ultimi anni con l'operazione al cuore nel 2009 e poi la tragica fine nel 2014, l'emozione è stata parecchio alta, e tuttavia proprio per questo che il documentario merita di essere visto, un po' come tutti i film che oggi vi propongo.
Dopo Abel: il figlio del vento, ecco un altro film con le aquile, ma al contrario del film con Jean Reno, sicuramente più cinematografico e ovviamente meno reale (almeno nel racconto), eccone uno che racconta la vera storia di una vera storia di formazione, perché La principessa e l'aquila (The Eagle Huntress), che viene considerato a metà un documentario, che è però e comunque un film (del 2016) a tutti gli effetti, racconta la realizzazione di un sogno da parte di una ragazza di appena tredici anni che riesce a imporsi in una professione (e in una società) tradizionalmente maschile. Il film infatti, diretto con mano ferma dall'esordiente Otto Bell, racconta la storia (vera) della coraggiosa tredicenne Aishoplan (una ragazza nomade che vive in Mongolia) che, aiutata dal padre (e sostenuta dalla famiglia), diventerà, nonostante il parere negativo degli anziani del villaggio (un villaggio, una società atavicamente maschilista), una bravissima cacciatrice con le aquile. Tanto che dimostrerà non solo di riuscire a catturare un fantastico esemplare di rapace, ma anche di essere (dimostrando al festival annuale dell'Aquila reale che raduna tutti i più grandi addestratori del paese per partecipare a una ambita competizione) la migliore di tutte. Tuttavia, è proprio per questo che nonostante questa storia vera sia così sincera e genuina (giacché la protagonista non sceglie di andar contro niente e nessuno, è solo spinta da un sincero desiderio di comprendere una disciplina così radicata nel passato dei suoi antenati) che, il progetto appare costantemente in bilico tra documentario e racconto di finzione. La sensazione di trovarsi spesso di fronte a scene ricostruite ad hoc difatti è sempre presente, tanto che il montaggio (e il tipo di racconto) sembri semplificare il messaggio (quello femminista, e non solo, alla base della storia), ma che tuttavia risulta azzeccata in chiave di grande distribuzione commerciale, e che ha altresì il merito di rendere la storia della grintosa Aisholpan universale. Dopotutto La principessa e l'aquila non ha di certo l'impronta del documentario didattico ma prende piuttosto la forma del film biografico che porta con sé un importante messaggio sulla forza di volontà, mostrando che credendo nei propri sogni è davvero possibile realizzarli. Un inno alla giovinezza, alla caparbietà, all'emancipazione femminile e alla capacità di credere in se stessi. Un racconto di formazione quindi che si nutre di sentimenti semplici, ma tuttavia profondamente autentici, che vengono esaltati nella loro essenza dal rapporto per certi versi "primitivo" con la natura e gli animali che la abitano. Una storia che coinvolge e allo stesso tempo trasmette una grande serenità perché dimostra, attraverso una storia vera, quanto sia possibile misurarci con i nostri limiti e superarli se lasciamo che a smuoverci sia qualcosa che davvero "ci urge dentro". E quanto sia importante in tutto questo la figura di un genitore che sappia mettersi "al servizio" dei talenti di un figlio, aiutandolo così a diventare un adulto consapevole del suo valore (premessa direi indispensabile per vivere bene con se stessi e con gli altri). Ed è per questo che, tra incantevoli paesaggi selvaggi e riprese di volo mozzafiato (eccezionali i luoghi dove lei e la famiglia si accampano, vivono e cacciano con i poveri mezzi a disposizione, che peraltro comprendono un piccolo impianto fotovoltaico portatile), il regista accompagna lo spettatore (in questa sorta di film-documentario girato con i veri protagonisti della vicenda) con discrezione nella vita povera ma dignitosa di Aisholpan e della sua famiglia concentrandosi particolarmente sul rapporto padre e figlia e sulle motivazioni c:he spingono la ragazza a diventare la prima addestratrice di aquile donna della Mongolia. Non a caso i dialoghi sono pochi e scarni ed è presente una voce narrante (in origine di Daisy Ridley), che nella versione italiana è di Ludovica Comello (a mio avviso però non molto adatta). E perciò La principessa e l'aquila è un film (favorito anche dallo splendore dei paesaggi ed aiutato da un quanto mai calzante commento sonoro new age) interessante e poetico. Un film certamente troppo semplice e forse a lungo andare ripetitivo, ma che vale sicuramente una visione in quanto preziosa finestra su un mondo misterioso e seducente, che da un lato svela i dettagli di quella che a quelle latitudini è una vera e propria ragione di vita, e dall'altro testimonia il coraggio e la temerarietà di una tredicenne dal fisico forte ma tutt'altro che mascolina nello spirito, che ha osato sfidare le convenzioni e, forse inconsapevolmente, tirar giù uno dei tanti steccati che impediscono alle donne di agire in piena autonomia. Voto: 6+
Il 2017 è stato l'anno in cui Patty Jenkins e Gal Gadot hanno riportato alla ribalta il personaggio di Wonder Woman nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, dando vita al film più apprezzato e chiacchierato del DC Extended Universe della Warner Bros. (Justice League anche se mi manca non credo sarà migliore), Professor Marston and the Wonder Women, film del 2017 scritto e diretto da Angela Robinson, ci riporta negli anni Quaranta e ci racconta la mente e le vicende di chi ha creato la prima eroina femminile della DC Comics. E non ci credereste mai, non conoscendo la vera storia, chi la creò e il perché (e come per giunta). Se non sapete già del dietro le quinte dell'amazzone più famosa di tutti i tempi, per noi comuni mortali Diana Prince, la superdonna per eccellenza, il simbolo dell'emancipazione femminile formato fumetto infatti, potreste rimaner delusi e leggermente spiazzati nello scoprire che in realtà dietro all'eroina si nasconde un mondo vizioso, un urlo di trasgressione che l'America degli anni Quaranta non poteva accettare. Se in apparenza Wonder Woman sembra rivolgersi a un pubblico molto giovane, la storia del suo autore è da tenere lontana dalla portata dei bambini. Nei panni del Professor Marston, psicologo (affascinante, un rubacuori in grado di far sognare le sue allieve tra un tomo da studiare e una lezione) che prima di creare Wonder Woman inventò la macchina della verità, un convincente Luke Evans. Ma è Rebecca Hall a rubargli la scena, almeno nella prima parte del film, nel ruolo della moglie in carriera, intelligente e arguta, che contribuisce a strapparci più di un sorriso (che ha uno spirito libertino). L'equilibrio della coppia viene un giorno spezzato dall'ingresso nelle loro vite di Olive, interpretata da Bella Heathcote, bella di nome e di fatto ma forse non troppo a proprio agio nei panni di questo personaggio, che diventa l'assistente di Marston. Ed è a questo punto che fra i tre nasce uno strano rapporto, che metterà a rischio le loro idee e il loro rapporto "allargato". Sulla carta quindi una storia intrigante, disseminata di "ménage à trois", dinamiche sadomasochistiche intrecciate a quelle del linguaggio e relazionali, l'invenzione della macchina della verità declinata (solo) come strumento per scandagliare i desideri del subconscio, gli anni '30 statunitensi e Wonder Woman. Il fatto che il tutto si ispiri a fatti realmente accaduti fornisce una verosimiglianza di partenza che dovrebbe ulteriormente aiutare la causa. Purtroppo però una storia con tali premesse dissacranti e anticonformiste viene nei fatti sviscerata in modo terribilmente convenzionale. La piatta regia non osa quasi mai, limitandosi a uno stile patinato (i pochi momenti in cui la regia azzarda un barlume di visionarietà, i paralleli tra gli atti sessuali e il ricovero in ospedale, la sagoma delle due donne che diventa un tutt'uno, che risultano comunque smorzati e poco interessanti, annegati in un marasma di meccanismi risaputi, quali la coincidenza dei momenti di "crisi"), che suggerisce i colpi di scena con ampio anticipo smorzandoli sul nascere e tende ad ammantare il tutto di un profumo piccolo borghese nonostante tutto. Professor Marston & the Wonder Women è per questo un film certamente ardito, che invita, anche in modo un po' eccessivo, alla libertà dei rapporti sentimentali. Tra le mura domestiche tutti hanno il diritto di vivere come vogliono, senza essere giudicati dai vicini o dai datori di lavoro. Il messaggio è forte, ma la regista Angela Robinson, la stessa di Herbie: Il super Maggiolino per intenderci, non riesce a scaldare lo spettatore. Inoltre il bondage e il sadomasochismo vengono affrontati con superficialità e alcune scene suscitano risate fuori luogo. Non dimenticando che questo è un biopic dai toni vaporosi (forse troppo in alcuni casi) dove la commedia (ingiustamente) prevale sul dramma. Un biopic che comunque non manca di far riflettere su argomenti seri e sempre attuali, quali il ruolo della donna in ambienti di lavoro considerati "maschili" e la libertà di vivere i propri sentimenti come meglio si crede senza curarsi dei (pre)giudizi della società. Tuttavia al di là delle tematiche riguardanti la libertà dei costumi e la posizione sociale della donna, che rivestono ogni direttiva, il film cerca spasmodicamente di assemblare un groviglio di transizioni di diversa estrazione, nel più classico archetipo biografico che vuole spacciare un contenuto unendo testa, cuore e spirito. Un cocktail che funziona solo a piccole sorsate e che si appesantisce nel corso dell'esposizione, arrivando in fondo disidratato e privo di fiato. Gli attori a loro volta stanno al gioco fornendo una recitazione corretta e perennemente controllata, figurine sorprendentemente edulcorate (non sono una banda di perversi, bensì ricercatori etici e fin sentimentali che non vogliono altro che l'amore e una famiglia dalle dinamiche alla fin fine tradizionali) che ben s'intonano però con il tono incolore del film. Un film comunque interessante e importante ma solo sufficiente e alquanto dimenticabile. Voto: 6
Non posso fare paragoni con l'originale, giacché 13 Peccati (13 Sins), film horror del 2014, diretto da Daniel Stamm e interpretato da Mark Webber, Ron Perlman, Rutina Wesley, Pruitt Taylor Vince e Christopher Berry, è un remake del film tailandese 13: Game of Death, ma questo è un gran bel film a mio gusto. Un'altra pellicola che sfrutta come idea di base due soggetti tanto cari al cinema di questi anni ossia l'avidità per il denaro ed il voyeurismo dell'eccesso. Il quesito inoltre è il solito: fino a che punto è disposto a spingersi una persona in difficoltà pur di porre fine ai propri guai economici e sopratutto "è davvero la ricchezza che fa la felicità"? Temi vecchi come il mondo quindi, ma qui trattati piuttosto bene grazie ad una valida sceneggiatura, una buona regia ed una recitazione che fa il suo dovere. Nel film infatti, che racconta di uomo che licenziato dalla compagnia di assicurazioni dove lavorava come agente e che ha parecchi problemi da risolvere, che viene contattato per partecipare ad una specie di gioco dove dovrà superare 13 prove sempre più impegnative, alla fine delle quali, se queste saranno superate, l'uomo riceverà sul suo conto corrente parecchi milioni di dollari, il ritmo (senza fronzoli ed inciampi fino all'incredibile epilogo) è sempre alto, non mancano momenti divertenti (quasi tutti all'inizio ad essere sinceri), non manca la violenza, non mancano riflessioni, e così ne esce fuori un prodotto divertente e che sa imprimersi nella memoria dello spettatore. Spettatore che si potrà godere un film che non cade nella trappola dell'allegoria morale a buon mercato, ma un thriller psicologico sul filo della tensione davvero avvincente. Perché anche se i colpi di scena della seconda parte sono intuibili, tutto è ben congegnato. Questo perché il regista sincronizza immagini, grafica e dialoghi e li monta in una traccia limpida e scorrevole, cui aggiunge il beat di un ritmo in accelerazione continua e un umorismo noir che stempra suspense e dinamica. E in tal senso sarebbe un soffio per 13 Sins cadere nel cinema istituzionale, truccato da cliché, stereotipi ed eufemismi di routine, ma egli scansa il convenzionale, mescola dramma e umorismo e guadagna un thriller d'identità. Ironia tagliente e satira si declinano con intrigo e inquietudine in un teatrino di baruffe tra il surreale e il tragico. Non è un caso che pare evidente come al regista piaccia ricorrere ad una coreografia burlesca e giullare, come quella di un Luna Park, per raccontare la sua storia. E' lì infatti dove Daniel Stamm ambienta le sequenze finali del film o come quelle di una pista circense, che il filmmaker richiama senza stancarsi, perfino nell'ossessiva suoneria clownesca del cellulare di Elliot, come a ricordare che il gioco è dopotutto solo uno show, uno spettacolo di equilibrismo senza rete in un'arena sotto il tendone, fra bande e fanfare in festa. E difatti l'odissea morale di 13 Sins è cinema acido e affilato, un Freakshow funambolico ed equivoco, dove egli agita dramma e black humor in una messinscena al vetriolo come il gioco tragico di un clown. Certo, il tema come detto non è nuovo, anzi, di originale ha ben poco, dopotutto del prezzo della salvezza di fronte al denaro è una provocazione di cui il cinema horror si è già occupato, da The Box a The Game (non dimenticando, anche se è uscito dopo, Nerve, io infatti l'ho visto prima), ma il fascino sta nella confezione. 13 Peccati è infatti un horror solido, un film che già dalle prime scene (leggermente sconvolgente la prima), mostra la sua caratura narrativa. Un film che sa come gestire i tempi narrativi, un film che presenta un mistero avvincente che ci traghetta fino ad un climax non proprio banale. Forse un finale troppo buonista poteva essere evitato, tuttavia un film inaspettatamente riuscito è questo. E poi ci sono le sfide, ognuna un po' più cattiva e più insidiosa dell'ultima, missioni che in questo one man show dimostrano di essere allo stesso tempo avvincenti e sadicamente divertenti, sfide che portano Elliot a subire una vera e propria trasformazione, da uomo qualunque a uomo alle prese col suo mostro interiore. Non a caso il vero scopo del gioco è quello dimostrare che chiunque può trasformarsi in un mostro. Come si trasforma il protagonista interpretato da Mark Webber, un attore capace, intenso e verso il quale si prova subito una simpatia umana, che dopotutto è determinante per la credibilità del film, è lui decisamente uno degli elementi più forti, giacché gran parte della trama e della fruizione della pellicola poggia sulle sue spalle. Una pellicola che sa come attirare lo spettatore, orbitando in un'orribile circuito di oscurità morale, avidità e morte. Un circuito comunque non lineare o perfettamente asfaltato, poiché ciò che resta è la sensazione che tutto il sotto testo cospirativo (sinceramente senza capo né coda) sarebbe dovuto essere meglio argomentato, esplicato in modo più esauriente, tuttavia nonostante ciò, questo film, questa chicca (che ho scoperto grazie ad una recensione di un amico blogger), di qualità comunque bassa e solo moderatamente tesa od orrorifica, merita una visione, sopratutto dagli amanti del genere. Voto: 6,5
A cinque anni dal terzo capitolo della serie di film tratta dall'omonima serie di libri per bambini di Jeff Kinney, ecco tornare il giovane e imbranato Gregg Heffley nel film Diario di una schiappa: Portatemi a casa! (Diary of a Wimpy Kid: The Long Haul), film del 2017 diretto da David Bowers. Questa volta deve vedersela con il più improbabile e burrascoso dei viaggi in macchina, in cui sua madre Susan coinvolge l'intera famiglia. Alle prese con i soliti problemi preadolescenziali, Gregg (un ragazzo della scuola secondaria di primo grado, le nostre medie, per intenderci, che è una vera schiappa, nel senso che gli va tutto storto nonostante faccia di ogni per diventare popolare) cercherà invano il modo di migliorare la sua vita, con l'unico inevitabile risultato di continuare invece a peggiorarla. Il film del regista anche dei precedenti due capitoli quindi, è totalmente diretto al pubblico di giovanissimi, giacché nell'impalcatura narrativa che regge la storia non tenta minimamente di strizzare l'occhio a fasce di pubblico adulte, anche se questo capitolo, confezionato come una commedia degli eccessi (tra battute, gag e scene parossistiche), è l'occasione per affrontare tanti temi importanti per i ragazzi in età scolare: il gap generazionale tra genitori e figli, l'incomprensione di cui si sentono vittima i ragazzi, il fenomeno del divismo su YouTube e la celebrità a ogni costo. Senza dimenticare che il film sviscera in modo intelligente il concetto di famiglia, perché non basta per rendere davvero unita una famiglia costringere tutti a non postare sui social o mandare messaggi su Whatsapp per sentirsi un gruppo unito, ma è con l'esperienza, la condivisione, e soprattutto con il fare squadra (in questo caso contro la famiglia Barbù che li ha presi di mira dopo un'incomprensione e che ha rubato loro tutte le valigie con dentro l'album da regalare alla bisnonna di novant'anni) ad aiutare e avvicinare tutti per vivere in armonia la famiglia. Il film per questo funziona, e per tutto il tempo: fa ridere e riflettere grazie anche a un cast tutto rinnovato e azzeccatissimo. Perché se a prima vista sembrerebbe quasi un remake, in verità non lo è, perché la 20th Century Fox ha cambiato tutto il cast per rimettere a posto le età e i volti con la continuity degli omonimi romanzi per ragazzi. Quel che davvero non è cambiato invece è lo stile e la scrittura dei film, godibilissimi e realizzati con la consulenze dell'autore dei romanzi stessi. Perché anche se il film scorre per lunghi tratti su binari estetici scontati (ma con situazioni divertenti per tutta la famiglia con un maialino grande protagonista), ecco che nella parte finale si concede anche un paio di spassosi omaggi al cinema di Alfred Hitchcock, in particolar modo a due suoi capolavori che non sveleremo per non rovinare la sorpresa allo spettatore. Spettatore che si godrà un film chiaramente ispirato a National Lampoon's Vacation (riportato sullo schermo recentemente da Come Ti Rovino Le Vacanze e forse anche a Una fantastica e incredibile giornata da dimenticare), ovvero il grande viaggio familiare in cui tutto quel che può andare storto lo farà e in cui arrivare alla meta ad un certo punto diventa un obiettivo quasi impossibile, un imperativo che unisce la famiglia dopo che il viaggio sembra averla separata, uno sforzo per realizzare il quale i 4 protagonisti dovranno passare per la propria distruzione, sporchi, infangati, disperati e mezzi morti. Tuttavia rispetto a quel classico, il film cambia il protagonista (non più il padre, inadeguato e scemo, ma il figlio di mezzo) e rimette in sesto l'umorismo puntando sulle difficoltà di un ragazzino che cerca di dare una sterzata al viaggio per arrivare alla grande convention di fumetti e videogiochi in cui potrà, forse, liberarsi dello stigma affibbiatogli dalla rete. Ultima nota lieta del film il ritorno di Alicia Silverstone, in sintonia con il tono del racconto nella parte della madre del giovane protagonista (Jason Drucker), nella parte del padre invece Tom Everett Scott e in quella del "simpatico" fratello Charlie Wright. Certo, siamo comunque lontani dalla qualità del primo episodio e in verità evitabili sono certe scene, ma per il resto Diario di una schiappa: Portatemi a casa! è puro intrattenimento divertente per gli spettatori più piccini e non solo, perché il film per la vivacità del racconto (e i schizzi fumettistici) merita la sufficienza. Voto: 6
Cosa può succedere quando si ha la possibilità di rivivere la stessa giornata più e più volte? Forse, di riuscire a cambiare qualcosa o, per lo meno, di modificarlo affinché il "non risolto" od il "risolto male" venga cancellato definitivamente, ed è ciò che succede alla protagonista adolescente del film Prima di Domani (Before I Fall), film statunitense del 2017 diretto da Ry Russo-Young e adattamento del romanzo E finalmente ti dirò addio (Before I Fall) di Lauren Oliver. Apparentemente è quindi il classico teen drama (sebbene sia stato definito una commedia dark teen), d'altronde il film segue le vicende di quattro ragazze del liceo (Zoey Deutch, Halston Sage, Medalion Rahimi e Cynthy Wu), le vicende delle classiche belle ragazze (popolari tra i coetanei al pari di quanto sono invidiate) con i loro (in parte) futili problemi, fatto che fa perciò pensare a un film superficiale, e invece Prima di Domani, è un film tutt'altro che banale, tutt'altro che già visto. Perché anche se il film affronta la tematica già più volte espressa in precedenti ed innumerevoli pellicole (Ricomincio da Capo per citarne una), quella, appunto, di rivivere molteplici volte lo stesso identico giorno, esso risulta però ben fatto e con un argomento "didascalico" interessante. Giacché a differenza di altri, il film, che ha un intento spiccatamente moraleggiante e educativo, volto prevalentemente ad un pubblico di ragazzi, che fa proprio il motto "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo", ha il merito d'essere un film meno banale dell'apparenza, perché in grado di trasportarci da osservatori a partecipanti di una realtà che è costantemente sotto i nostri occhi, facendoci capire come spesso le più piccole gocce creino le più grandi onde, dopotutto questo racconto formativo prova a teorizzare gli esiti di quel potere che tutti abbiamo sognato, vale a dire tornare indietro e correggere gli sbilenchi errori adolescenziali, i torti dati e ricevuti, i gesti evaporati e le parole non dette, solo che per la protagonista Sam (la promettentissima classe '94 Zoey Deutch, che tuttavia ben utilizzata fu in Tutti vogliono qualcosa, ma male in Proprio lui? e ancora prima nel pessimo Nonno Scatenato) l'opportunità è collateralmente una trappola senza fine che non fa altro che ribadire l'ineluttabilità di male e morte. Non a caso l'escamotage del loop temporale è fatto, per ricordarci che, al contrario, il tempo non è infinito e quanto si fa oggi è importante, in alcuni casi per sempre. Certo, il coinvolgimento emotivo è direttamente proporzionale alla vicinanza (anagrafica ed empatica) con il mondo adolescenziale (d'altronde trattandosi di giovani viene affrontato anche il tema del bullismo, peraltro qui ben espresso ed ovviamente condannato dalla regista), ma Prima di Domani, non sbrodolando nell'eccesso retorico e non offendendo il QI, e soprattutto grazie all'ammiccante regia e a una fotografia da film di paura, si rivela un'opera interessante e piacevole allo stesso tempo, seppure leggera in quanto in maniera affatto pedante induce il pubblico, per lo più dei giovani ai quali è indirizzato, a riflettere ed eventualmente a modificare di conseguenza determinati atteggiamenti nei confronti del prossimo. Anche perché nonostante un inizio tutto sommato banale, il film scorre sempre bene grazie anche ad una regia molto abile a saper diversificare le varie fasi del film. Abilità non da tutti se pensiamo che il film ripropone più o meno le scene di un giorno rivissuto un'infinità di volte (cambiando infatti inquadratura o interpretando il cambio di prospettiva con cui Sam guardava la cosa, la regista riesce a non annoiare). Si intravede poi il senso del film. Un film che appassiona. D'accordo che si tratta di una morale semplice, di un'amalgama di buoni propositi talmente semplici da risultare quasi puerili, ma il film ti prende, coinvolge, si guarda con curiosità e ti lascia mille interrogativi sulla vita, su come alcune scelte possono cambiartela per sempre e non ti è data una seconda possibilità (a qualcuno parrebbe di sì). In ultimo la recitazione discreta, la sceneggiatura elementare ma convincente, e il finale, che non è giusto svelare e che mi ha soddisfatto perché la narrazione non ha seguito la strada più ovvia e rassicurante, fanno il resto, a rendere questo film, un film forse troppo per ragazzi ma che tuttavia, anche se in maniera un po' melensa e zuccherosa, fa riflettere (toccando le corde giuste, cosa non da poco di questi tempi), né brutto né scontato, ma emozionante e interessante. E comunque non un capolavoro, ma neppure tempo perso. Voto: 6,5
Non era forse il momento o il periodo giusto di vedere un film natalizio, ma se parliamo del sequel di una divertente commedia come fu Daddy's Home allora era questa forse la migliore occasione che aspettare Natale. Anche perché dopo il primo riuscito film, con la coppia collaudata Will Ferrell/Mark Wahlberg (che confermano la loro sintonia incredibile e l'indiscutibile talento comico, i due attori non sono infatti alla prima collaborazione e si vede), ecco che il divertimento in Daddy's Home 2, film del 2017 diretto da Sean Anders, raddoppia con l'arrivo dei rispettivi padri John Lithgow/Mel Gibson (seppur entrambi leggermente spiazzati e intimiditi). Certo, il primo era più divertente e più cattivo, questo è imprigionato nella solita logica statunitense della commedia buonista natalizia per famiglie con il lieto fine zuccheroso obbligatorio, ma c'è anche da dire che funziona (se non migliore del precedente, quanto meno sugli stessi livelli), ha un ottimo ritmo, moltissime gag divertenti e gli attori fanno un grandioso gioco di squadra. Non solo i due mattatori ma anche i due "vecchi" che calzano comunque a pennello, giacché rispecchiando quello che sono i loro figli, poiché come nel primo film si notano le differenze di rapporto che hanno con i figli e i nipoti, i loro comportamenti creano situazioni divertenti che fanno apprezzare il film. Un film che tra incidenti con la macchina per la neve finta, voli sulle slitte-gommoni, si dipana mettendo sempre più in evidenza le differenze tra le due famiglie, ma naturalmente come in tutte le commedie natalizie che si rispettino non può che esserci il riavvicinamento e il finale con la canzone cantata tutti insieme al cinema che riunisce tutti. Una canzone, una conclusione (in cui sorprendente è un incredibile cameo di un personaggio interessante), che è estremamente scontata e buonista eppure emozionante, perché quando a far capolino è l'atmosfera natalizia tutto diventa emozione, e se poi ci aggiungi un po' di John Cena, un "cameo" di Liam Neeson, che si prende in giro per il genere di film che interpreta di solito, l'ingenua entusiasta demenzialità di Will Ferrell e la falsa "durezza" di Mark Wahlberg ed ecco confezionata una pellicola che vale la pena di essere vista. Una pellicola in cui, grazie alla collaudata sceneggiatura scritta a quattro mani da Sean Anders e John Morris (i due hanno collaborato anche nella scrittura di Daddy's Home, Come ammazzare il capo 2, Scemo & + scemo 2 e Come ti spaccio la famiglia ed altri titoli ancora), divertimento, brio e qualche spunto sentimentale non manca. Perché se si è alla ricerca di puro e semplice intrattenimento, in questo sequel, dalle dinamiche forse poco originali ma dannatamente riuscite, si ride e tanto. Infatti, nonostante questo secondo film con ambientazione natalizia inevitabilmente cada un po' sullo zuccheroso nella parte finale, tutto sommato diverte e convince, anche grazie alla coppia di nonni che non si amalgama affatto male a tutto il contesto. Certo, ci sono un po' troppe demenzialità e l'ingranaggio si è un po' arrugginito ma come detto qualche risata la strappa e si passa una bella serata in stile Christmas Vacation. Sì, non è all'altezza del primo ma ancora funziona, perché anche se forse il potenziale comico non è stato completamente sfruttato, e anche se le velleità potenziali sul discorso delle famiglie allargate che se ne dicono di tutti i colori proprio durante le feste natalizie non venga per niente sfruttato, il film riesce ad essere divertente, quindi sufficiente e vedibile tranquillamente in compagnia, anche dei più piccoli. Voto: 6
Inguardabile non è proprio secondo me 13 Peccati, anche perché c'é parecchia carne al fuoco, tra splatter, commedia e psicologia, tutte ben amalgamate, e comunque anche se in effetti Ron Perlman non aggiunge niente, il film è meglio di molti altri ;)
RispondiEliminaMi è piaciuto anche a me Professor Marston, ma mi aspettavo decisamente altro e meglio...mentre in Daddy's Home 2 davvero spassosi sono proprio i due vecchi, e quindi fai bene a volerli vedere in azione :)
Pensa che Professor Marston l'abbiamo visto ma nemmeno recensito perché non sapevano nemmeno cosa scriverci sopra.. ci ha lasciato completamente indifferenti!
RispondiEliminaIndifferenti mi è difficile un po' crederci visto alcune scene, tuttavia ci sta, anche perché non racconta una storia poi così tanto eccezionale..
EliminaDi questi ho visto solamente Prima di domani e l'ho trovato abbastanza carino: tanto carino quanto però innocuo e dimenticabile.
RispondiEliminaDegli altri un po' mi attira 13 peccati, ma lo guarderei solamente dopo aver visto l'originale 13 Beloved
Beh, non che Prima di Domani effettivamente mi sia rimasto impresso anche a me, tuttavia davvero non male come film per "ragazzi" ;)
EliminaNon è detto che lo recuperi anch'io in futuro l'originale, però questo remake secondo me può essere visto anche senza vederlo, perché si regge benissimo da solo :)
13 peccati lo devo recuperare, in sostanza. Prima di oggi mi sembra di non aver mai conosciuto né questo, né l'originale :D
RispondiEliminaNon a caso anch'io dell'originale ho saputo solo dopo aver visto il film ;)
Elimina"Prima di Domani" e "Professor Marston and the Wonder Women" mi incuriosiscono 😊 quando li vedrò ti farò sapere se mi sono piaciuti!
RispondiEliminaBene, comunque credo che Prima di Domani ti potrà piacere parecchio ;)
EliminaMa no! Daddy's Home 2 è un film natalizio, non lo puoi guardare ad agosto! 😆
RispondiEliminaConcordo su tutto ciò che hai scritto, soprattutto che non è ai livelli del primo, però dal mio punto di vista ha una spinta che è l'ambientazione natalizia, con me se usi quella vinci facile, quindi ci si avvicina molto. Magari gli avrei dato giusto un voto in più ma conoscendo il tuo metro di giudizio, 6 va più che bene.
Gli altri non li conosco e potrebbe interessarmi Diario ecc. per il gap generazionale che viene trattato di cui parli, tema che mi sta molto a cuore.
p.s. carino il tizio con la pettinatura alla Sheldon Cooper 😄
Ma non potevo aspettare fino a dicembre, volevo assolutamente vederlo per farmi qualche risata ;)
EliminaIl mio metro di giudizio infatti è abbastanza rigido :D
La cosa bella di Diario di una schiappa sono anche i disegni a fumetti, che ogni tanto fanno capolino nel film, dato che è tratto da un libro di fumetti :)
Non ne conosco nessuno ma penso di volerne recuperare qualcuno.
RispondiEliminaIo ho passato due pessime settimane senza internet a casa e quindi senza film, netflix, blog o altro... mi sono accontentata della tv! >_>
Ahia, infatti non è proprio una bella cosa, se accadesse a me non saprei che fare, perché comunque in tv ultimamente c'è ben poco di davvero interessante, ma per fortuna e passata e qualche recupero è ora possibile ;)
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