mercoledì 13 febbraio 2019

Escape at Dannemora (Miniserie)

L'evasione da un carcere è un tema che il cinema (e la tv, Prison Break ne è l'esempio) ha sempre amato, regalandoci lungo la sua storia gioielli da La grande fuga a Fuga da Alcatraz, da Un condannato a morte è fuggito a Papillon. Un tema perfetto anche per una miniserie tv, come dimostra l'esempio di Escape at Dannemora, produzione Showtime (creata da Brett Johnson e Michael Tolkin) che racconta una clamorosa storia vera risalente al 2015 che all'epoca ebbe una grande esposizione mediatica: la fuga dei detenuti Richard Matt e David Sweat dal Clinton Correctional Facility, nello stato di New York, con l'aiuto dell'impiegata Joyce "Tilly" Mitchell. Nei panni dei tre protagonisti troviamo rispettivamente Benicio del Toro, Patricia Arquette e Paul Dano, mentre in cabina di regia c'è Ben Stiller, alla sua prima incursione registica in una serie televisiva. Un cast di altissimo livello, insomma, per la serie andata in onda su Sky Atlantic dal 4 dicembre 2018 al 15 gennaio 2019, e che ricostruisce gli eventi con una precisione millimetrica, quasi documentaristica. La miniserie esplora infatti i giorni precedenti alla fuga, sondando il terreno per riuscire a raccontarci come quell'evasione memorabile sia stata possibile. Le cose sono davvero andate come racconta l'FBI? I retroscena della vicenda sono davvero così torbidi? Chi ha plagiato chi? Escape at Dannemora (show composto da otto puntate, in originale 7, ma in Italia l'ultimo episodio è stato scisso in due parti, di durata variabile) ce lo racconta pian piano, introducendo nel nostro spettro visivo i suoi protagonisti e incasellando fatti, pettegolezzi, ricostruzioni. Ci affascina subito Escape at Dannemora. Siamo ben disposti a sacrificare la nostra libertà per entrare in quel carcere affollato. Non è faticoso rinchiuderci in una cella e ascoltare con sospetto i discorsi dei detenuti. Ogni sussurro potrebbe significare altro e ogni sguardo nasconde favori, ricatti, amicizie e agguati. La storia che gli showrunner hanno messo in piedi è una vicenda di cui conosciamo già le premesse, alcuni conoscono anche il finale. L'unico elemento da scoprire e da immaginare è lo svolgimento, e che svolgimento.
Guardando la miniserie è inevitabile rendersi conto che ci sono due elementi essenziali a far galoppare la nostra attenzione: un cast interessantissimo e una regia stregante. I tre protagonisti sono attori fenomenali che nella loro carriera hanno vestito ruoli, identità e attitudini ben diverse. Lo sappiamo che Benicio Del Toro e Paul Dano sono interpreti eccellenti e anche in questo caso fanno un lavoro eccelso, ma la lente d'ingrandimento è puntata su Patricia Arquette. Vincitrice di un Premio Oscar nel 2015 per il colossale Boyhood, la Arquette è sempre stata un'attrice apprezzata. Sempre intensa, sempre versatile. Eppure, quando la vediamo apparire per la prima volta sul piccolo schermo di Escape at Dannemora rimaniamo spiazzati. La sua introduzione avviene volutamente in maniera lentissima. La sentiamo parlare, vediamo la sua figura volutamente appesantita, i capelli appiattiti e tinti di un biondo spento, degli occhiali che la invecchiano, la pelle rovinata e i denti finti. Non è la Patricia Arquette a cui siamo abituati: è diversa fisicamente, certo, ma non solo. Già nei primi momenti è facile notare come sia riuscita a uscire da se stessa per entrare nei panni squallidi di Tilly Mitchell e il risultato è esaltate, nonché reale, perché volti e corpi sono vissuti, sfatti e autentici come raramente si era visto prima, Escape at Dannemora non a caso trasuda realismo a ogni frame e raggiunge grandi vette grazie all'interpretazione degli attori. Come spesso accade, però, questi interpreti non brillerebbero in maniera tanto sfolgorante se a guidarli non ci fosse una regia altrettanto di valore. Quella regia è di Ben Stiller, attore e regista comico che nel corso della sua carriera ha vissuto una serie di spaccature drammatiche e più seriose: tutte quasi sempre ammirevoli (non sottovalutando quel piccolo gioiellino di Tropic Thunder). Dopo il sottovalutatissimo I sogni segreti di Walter Mitty del 2013 non sorprende insomma che Escape at Dannemora sia tanto ben fatto registicamente.
Tuttavia, in numerosi casi è fredda e distaccata. Non fonde il giusto calore alla storia. Meglio negli spazi chiusi della prigione piuttosto che nei campi lunghi della montagna. Il neo di tutto ciò è la troppa dilatazione e il poco bilanciamento nei momenti di climax. Troppi episodi per orchestrare la fuga e troppo poco tempo per l'epilogo. Quindi, dal punto di vista narrativo c'è uno sbilanciamento e una mancanza di sintesi che rendono la storia poco fluida e troppo alterata. Ma è una conseguenza nell'incentrare principalmente (ed eccessivamente) sull'analisi psicologica dei personaggi. Il vero nucleo della vicenda è infatti il rapporto tra Richard, David e Tilly, e le loro personalità: i due detenuti, con colpe enormi alle spalle ma talmente desiderosi di libertà che è impossibile non fare il tifo per loro, e la moglie frustrata, invaghita di entrambi e tanto ingenua nella sua mediocrità da credere all'illusione di una vita nuova insieme a loro. Insomma interessante, però è anche troppo in certi casi. Ma i problemi (di narrazione e non solo) non sono finiti. Difatti anche l'episodio sei che racconta il passato dei tre protagonisti è sballato. Non solo cronologicamente, ma anche dal punto di vista dell'impatto emotivo complessivo nello show. Fornisce un rafforzamento e un background ai protagonisti ed inoltre serve come "ribaltamento" di prospettiva nei confronti della loro percezione agli occhi dello spettatore. Se nella prigione sono tranquilli detenuti che sognano la libertà, in quell'episodio ci viene mostrato anche il loro passato e da lì in poi si cambia la loro impressione. Questo è un rafforzativo narrativo che pare eccessivo e che, forse, non era necessario. Sarebbe stato più idoneo evocare il passato con flashback. Vero che non racconta la storia in maniera convenzionale e lascia ampio dibattito fuori dalla diegesi in cui gli spettatori possono trarre le proprie conclusioni sul passato dei protagonisti, ma ciò va a discapito della godibilità della storia. Meglio la parte in prigione in cui le vicende sono interessanti e veicolate da una regia fluida. Nell'ultima parte poi i personaggi sono meno caratterizzati e poco curati e, nonostante le ottime prove recitative, diventano bidimensionali e vittime di difetti di scrittura.
E tuttavia Escape at Dannemora è una buona miniserie. Un escape prison drama narrato in maniera anticonvenzionale con una storia interessante e sbalorditiva. Ben recitata, soffre maggiormente nella seconda parte, però rimane un buon prodotto. Godibile anche se non arriva mai ad eccellere in modo in particolare. Buona regia e ottimi attori (leggermente anonimo invece l'accompagnamento musicale, nonostante alcuni "grossi" pezzi). Molto riflessiva e distaccata. Lascia ampio spazio allo spettatore di farsi un'idea sulle dinamiche. Imperfetta ma dalla storia interessante. Merito soprattutto, se non l'ho ripetuto a sufficienza, degli attori. Se la Arquette, ingrassata, imbruttita e praticamente irriconoscibile, ha vinto meritatamente (anche se Amy Adams lo meritava ugualmente per l'eccellente performance in Sharp Objects) il Golden Globe con un personaggio di non comune sgradevolezza, Del Toro nei panni dell'enigmatico Matt è semplicemente gigantesco, senza dimenticare il non meno efficace Dano che si conferma uno degli attori più interessanti della sua generazione. Notevole anche Eric Lange nel ruolo del marito bonaccione di Tilly, in un cast che comprende anche David Morse e Bonnie Hunt. Il merito, però, va anche alla scrittura dei creatori Brett Johnson e Michael Tolkin e alla regia di Ben Stiller (anche produttore esecutivo), sorprendente nel cimentarsi con uno stile lontanissimo da quello cui aveva abituati in Zoolander o del già citato Tropic Thunder. Lo zenit della serie è raggiunto senz'altro nell'episodio 5, un piccolo capolavoro che si apre e si chiude con due magistrali piani sequenza tra i quali il conto alla rovescia per la fuga, in un crescendo di tensione che strappa l'applauso. Peccato per l'ultimo episodio sul post evasione, che invece perde ritmo e mette fine in modo un po' deludente a una serie che resta comunque imperdibile. Voto: 6,5

8 commenti:

  1. Ho amato moltissimo "Fuga da Alcatraz", e se ripassa in tv gli do sempre uno sguardo.
    Quindi, guarderei anche questa miniserie.
    P.S. Ho sempre pensato che le miniserie fossero quelle da due sole puntate. Ne ero proprio convinta.

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    1. Anch'io se riesco lo rivedo, ed ovviamente non potevo non vedere questa serie ;)
      Miniserie è anche quando è un unica stagione, non c'è una continua, e molte volte non per scelta come in questo caso :)

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  2. Serie fredda e discontinua, vero, che non riesce ad appassionare del tutto ma che ha tanti elementi ottimi (regia e soprattutto interpreti). Per me l'episodio 6 è uno dei migliori, capace di far cambiare opinione su quelli che sembravano quasi dei santi vessati dalla vita, e con cui avrei tranquillamente chiuso tutto.

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    1. Ma il problema è proprio quello, dopo aver visto cosa avevano fatto, di parteggiare per loro era poi impossibile, e infatti non sapendo la fine, sono rimasto soddisfatto per la loro fine...comunque sì, fortunatamente c'era regia e cast di qualità ;)

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  3. Serie abbastanza discontinua,alcuni episodi fantastici ma in generale mi ha lasciato freddino, probabilmente però sarà un limite mio.

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    1. No, non è un limite tuo, anche Lisa ed io la pensiamo così, solo che nel complesso la serie è comunque valida nonostante tutto ;)

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  4. Amo la Arquette, da sempre.
    Potrebbe piacermi, anche se il genere non è propriamente nelle mie corde, o non sempre.
    Però, ecco, alcune parole (anche tra i commenti) mi hanno incuriosito^^

    Moz-

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    1. Se non lo vedi non puoi sapere, e sì, la curiosità c'è, soprattutto se non si conosce la storia, il modo e il finale ;)

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