Dopo aver esplorato la filmografia di uno registi più folli del cinema orientale e del cinema tutto, ovvero Takashi Miike, eccone un altro, un vero e proprio pioniere di un genere cinematografico. Meglio conosciuto come "The Baron of blood", camaleontico, filosofico e feticcio del cinema sperimentale. Parlo di David Cronenberg, classe 1943, Canadese nato a Toronto, da padre scrittore e madre musicista, regista e sceneggiatore di molte opere ritenute da molteplici esperti dei veri e propri cult. Appunto uno dei registi più controversi, sperimentali e talentuosi della nostra epoca (nel 2018 gli è stato conferito il Leone d'Oro alla carriera). Un regista che, pazzo o genio? sregolato o perfezionista? non è dato sapere, è riuscito, proprio con i suoi film difficilmente dimenticabili (uno dei suoi film più conosciuti e degno di nota è senz'altro La Mosca, con Jeff Goldblum, dove i maldestri tentativi di creare una macchina del teletrasporto da parte di uno scienziato si tramuteranno, in maniera terrificante, in una fusione accidentale di geni umani con quelli di mosca), a plasmare la concezione del cinema post-moderno e contemporaneo. Come? Tramite appunto il genere body horror (praticamente da lui inventato), un genere cinematografico che esplora il terrore dell'uomo di fronte alla mutazione del corpo, all'infezione e contaminazione della carne, intrecciando l'elemento psicologico della storia con quello fisico. Nella prima metà della sua carriera Cronenberg ha esplorato questi temi soprattutto attraverso l'horror e la fantascienza, sebbene i suoi lavori si siano successivamente spinti al di là di questi generi approdando anche al noir. E in entrambi i casi, grazie al loro aspetto aspetto contorto e visionario ma capace di affascinare, egli è divenuto un tassello importante della storia del cinema mondiale. Perciò come avevo accennato in occasione di quell'ottimo film recensito per l'edizione 2018 della Notte Horror (che quest'anno è ovviamente tornata, io ho partecipato vedendo e recensendo Cimitero vivente) e come poi ribadito in occasione della lista compilata per la mia Promessa cinematografica dell'anno corrente, dovevo con lui confrontarmi, e così che, memore solo di alcune reminiscenze del giovane cinema Cronenberghiano, ho visto quattro dei suoi film più belli ed importanti, ecco quali.
Tema e genere: Thriller drammatico paranormale tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King.
Trama: Johnny rimane vittima di un incidente stradale ed esce dal coma dopo cinque anni, la sua esistenza è sconvolta. La sua ragazza ha sposato un altro, e per di più si rende conto in circostanze drammatiche di avere il potere di "vedere" il futuro.
Recensione: "La zona morta" è quella parte del nostro cervello molto spesso inutilizzata che ha la capacità di carpire scene o situazioni da altri luoghi. Questa è la facoltà acquisita da Johnny Smith (un'eccezionale Cristopher Walken) dopo un incidente stradale, una facoltà che avrà ripercussioni importanti su di lui e su tanti. Il lungometraggio di David Cronenberg è come da copione perfettamente nel suo stile: atmosfera rarefatta e perennemente ostile, amori vissuti sempre al limite, problemi mentali e scene tipicamente thrilling. Forse però la scelta hollywoodiana non ha permesso al regista canadese di sfogare tutta la sua violenza: il lato gore tanto caro al regista canadese viene soltanto accennato in alcune sequenze, per il resto non ha l'importanza che avrà in un film come Videodrome. Inoltre sebbene si deve riconoscere l'ottima resa filmica, non si può non notare come le ristrettezze dettate dalla casa produttrice abbiano influito sul film. La zona morta è infatti un prodotto un po' a metà tra il credo cinematografico di David Cronenberg e il marketing made in Hollywood. Un problema che si riflette nel concatenarsi di eventi dislocati tra loro, che non contribuiscono a rendere scorrevole il film, mentre quando si delinea un deciso diagramma narrativo (come nell'ultima mezz'ora), il film decolla nettamente nei confronti di una prima parte singhiozzante. Rimane però del tutto inconfondibile la mano di David Cronenberg, uno dei massimi scrutatori della mente umana per quanto riguarda il cinema. Quest'altra sua pellicola non fa che confermare e ampliare il suo concetto di "uomo in perenne metamorfosi", chiarendo fin da subito che il cambiamento è in questo caso interiore al protagonista e non si manifesta con cambiamenti fisici. Motivo per cui La zona morta rimane comunque un film prettamente in stile Cronenberg, nonostante alcune lacune sparse qua e là. Motivo per cui questo film, un film dove tanto materiale c'è per riflettere, temi fondamentali quali la sofferenza e la solitudine di vite spezzate dal destino beffardo e relative occasioni mancate, la solita contrapposizione bene/male, egoismo o altruismo, eroi per caso e criminali megalomani, ovviamente non ultimo l'elemento "paranormale" maledizione che succhia l'anima o dono "divino" utile a evitare le crudeltà del mondo, rimane (ed è) uno dei suoi punti più belli ed emozionanti.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Non avendo letto il libro di King da cui Cronenberg (che pur rinunciando in parte alla propria unicità stilistica compie un buon lavoro, un lavoro asciutto e calibrato, sorretto dalla sua regia elegante e puntuale) basa la sceneggiatura non posso sapere se il contenuto drammatico ed emotivamente teso sia più presente ed evidenziato rispetto a quanto si percepisce nel film. E' comunque un prodotto di discreto effetto, reso tale dalla performance di Christopher Walken (il cui volto stralunato è ben lontano da quello dell'uomo medio, ma che, dal momento del risveglio dal coma in poi, riesce a dar forza e credibilità ad un personaggio difficile e sfaccettato che regge quasi interamente sulle proprie spalle il peso della pellicola), capace di mantenere un certo interesse in chi guarda senza faticare troppo pur non avendo, a mio parere, un costante alone di pathos e fluidità tale da renderlo totalmente interessante fino al tragico epilogo. Piccola ed incisiva parte per un luciferino Martin Sheen.
Aspetto tecnico: Il regista rinuncia (colpa di Hollywood forse?), in questo caso (ma la metamorfosi è diversa e quindi è giustificato), a molti degli elementi tipici del suo cinema, in particolare la dimensione gore, in più sceglie la via del pudore, limitando le concessioni al macabro anche nei momenti più invitanti. L'agire per sottrazione, però, acuisce ancora di più la raggelante atmosfera orrorifica che si intensifica negli squarci provocati dalle visioni di Johnny così come la rinuncia agli effetti speciali permette di concentrarsi esclusivamente sul dramma interiore del personaggio. Facendo risultare il lungometraggio penetrante e ipnotico, meno personale e immediatamente riconoscibile, ma sicuramente affascinante da riscoprire.
Commento Finale: Perfetto connubio tra storia sovrannaturale e pellicola d'autore, La zona morta riesce nella difficilissima impresa d'essere allo stesso tempo un appassionante film di genere e un bel dramma personale concentrando gli sforzi nella ricostruzione della piccola grande storia di un uomo di provincia che non ha mai chiesto la notorietà che gli è piombata tra capo e collo. Tutto questo grazie alla sottile e inquietante colonna sonora, una scenografia ghiacciata che si aggancia perfettamente allo stato di "congelamento" subito da Johnny durante (e dopo) il coma che lo ha lasciato solo con i ricordi della sua precedente vita e in ultimo alle straordinarie recitazioni di tutti gli attori in campo, tra i quali ovviamente primeggia un Christopher Walken ai massimi livelli che riesce a portare visibilmente sulle spalle il fardello di una condanna eterna.
Consigliato: Rivisto oggi sembra un po' invecchiato male, avvolto com'è in una confezione diciamo così non proprio brillante, eppure è un film che consiglierei a tutti, anche solo per ammirare con che abilità viene maneggiata la "materia" del paranormale, ma soprattutto a chi è fan dello scrittore o del regista.
Voto: 7
Trama: Johnny rimane vittima di un incidente stradale ed esce dal coma dopo cinque anni, la sua esistenza è sconvolta. La sua ragazza ha sposato un altro, e per di più si rende conto in circostanze drammatiche di avere il potere di "vedere" il futuro.
Recensione: "La zona morta" è quella parte del nostro cervello molto spesso inutilizzata che ha la capacità di carpire scene o situazioni da altri luoghi. Questa è la facoltà acquisita da Johnny Smith (un'eccezionale Cristopher Walken) dopo un incidente stradale, una facoltà che avrà ripercussioni importanti su di lui e su tanti. Il lungometraggio di David Cronenberg è come da copione perfettamente nel suo stile: atmosfera rarefatta e perennemente ostile, amori vissuti sempre al limite, problemi mentali e scene tipicamente thrilling. Forse però la scelta hollywoodiana non ha permesso al regista canadese di sfogare tutta la sua violenza: il lato gore tanto caro al regista canadese viene soltanto accennato in alcune sequenze, per il resto non ha l'importanza che avrà in un film come Videodrome. Inoltre sebbene si deve riconoscere l'ottima resa filmica, non si può non notare come le ristrettezze dettate dalla casa produttrice abbiano influito sul film. La zona morta è infatti un prodotto un po' a metà tra il credo cinematografico di David Cronenberg e il marketing made in Hollywood. Un problema che si riflette nel concatenarsi di eventi dislocati tra loro, che non contribuiscono a rendere scorrevole il film, mentre quando si delinea un deciso diagramma narrativo (come nell'ultima mezz'ora), il film decolla nettamente nei confronti di una prima parte singhiozzante. Rimane però del tutto inconfondibile la mano di David Cronenberg, uno dei massimi scrutatori della mente umana per quanto riguarda il cinema. Quest'altra sua pellicola non fa che confermare e ampliare il suo concetto di "uomo in perenne metamorfosi", chiarendo fin da subito che il cambiamento è in questo caso interiore al protagonista e non si manifesta con cambiamenti fisici. Motivo per cui La zona morta rimane comunque un film prettamente in stile Cronenberg, nonostante alcune lacune sparse qua e là. Motivo per cui questo film, un film dove tanto materiale c'è per riflettere, temi fondamentali quali la sofferenza e la solitudine di vite spezzate dal destino beffardo e relative occasioni mancate, la solita contrapposizione bene/male, egoismo o altruismo, eroi per caso e criminali megalomani, ovviamente non ultimo l'elemento "paranormale" maledizione che succhia l'anima o dono "divino" utile a evitare le crudeltà del mondo, rimane (ed è) uno dei suoi punti più belli ed emozionanti.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Non avendo letto il libro di King da cui Cronenberg (che pur rinunciando in parte alla propria unicità stilistica compie un buon lavoro, un lavoro asciutto e calibrato, sorretto dalla sua regia elegante e puntuale) basa la sceneggiatura non posso sapere se il contenuto drammatico ed emotivamente teso sia più presente ed evidenziato rispetto a quanto si percepisce nel film. E' comunque un prodotto di discreto effetto, reso tale dalla performance di Christopher Walken (il cui volto stralunato è ben lontano da quello dell'uomo medio, ma che, dal momento del risveglio dal coma in poi, riesce a dar forza e credibilità ad un personaggio difficile e sfaccettato che regge quasi interamente sulle proprie spalle il peso della pellicola), capace di mantenere un certo interesse in chi guarda senza faticare troppo pur non avendo, a mio parere, un costante alone di pathos e fluidità tale da renderlo totalmente interessante fino al tragico epilogo. Piccola ed incisiva parte per un luciferino Martin Sheen.
Aspetto tecnico: Il regista rinuncia (colpa di Hollywood forse?), in questo caso (ma la metamorfosi è diversa e quindi è giustificato), a molti degli elementi tipici del suo cinema, in particolare la dimensione gore, in più sceglie la via del pudore, limitando le concessioni al macabro anche nei momenti più invitanti. L'agire per sottrazione, però, acuisce ancora di più la raggelante atmosfera orrorifica che si intensifica negli squarci provocati dalle visioni di Johnny così come la rinuncia agli effetti speciali permette di concentrarsi esclusivamente sul dramma interiore del personaggio. Facendo risultare il lungometraggio penetrante e ipnotico, meno personale e immediatamente riconoscibile, ma sicuramente affascinante da riscoprire.
Commento Finale: Perfetto connubio tra storia sovrannaturale e pellicola d'autore, La zona morta riesce nella difficilissima impresa d'essere allo stesso tempo un appassionante film di genere e un bel dramma personale concentrando gli sforzi nella ricostruzione della piccola grande storia di un uomo di provincia che non ha mai chiesto la notorietà che gli è piombata tra capo e collo. Tutto questo grazie alla sottile e inquietante colonna sonora, una scenografia ghiacciata che si aggancia perfettamente allo stato di "congelamento" subito da Johnny durante (e dopo) il coma che lo ha lasciato solo con i ricordi della sua precedente vita e in ultimo alle straordinarie recitazioni di tutti gli attori in campo, tra i quali ovviamente primeggia un Christopher Walken ai massimi livelli che riesce a portare visibilmente sulle spalle il fardello di una condanna eterna.
Consigliato: Rivisto oggi sembra un po' invecchiato male, avvolto com'è in una confezione diciamo così non proprio brillante, eppure è un film che consiglierei a tutti, anche solo per ammirare con che abilità viene maneggiata la "materia" del paranormale, ma soprattutto a chi è fan dello scrittore o del regista.
Voto: 7
Tema e genere: Thriller orrorifico fantascientifico tra i più sconvolgenti e inquietanti di Cronenberg.
Trama: La Consec, una multinazionale del settore armamenti, è messa in pericolo da una misteriosa organizzazione formata da Scanners, individui capaci anche di uccidere facendo esplodere telepaticamente la testa degli avversari.
Recensione: Correva l'anno 1981 e il canadese David Cronenberg (un paio di cult già alle spalle e un occhio sempre più attento alle degenerazioni della società) si confermava regista dell'eccesso umano, con una delle punte massime di quella che sarebbe diventata la sua personalissima poetica. Muovendosi secondo il tipico canovaccio cronenberghiano, che parte da un problema manifestatosi a livello collettivo per poi proiettarlo nel privato del protagonista, Scanners (che prende il titolo dai soggetti in questione, persone dotate di potenzialità telecinetiche, in grado di penetrare nel cervello degli altri e manipolarlo a proprio piacimento) propone infatti come le opere precedenti il tema della pericolosità sociale e della scienza che modifica i corpi, ma al contempo trasporta il tutto in una dimensione più psicologica, e anticipa le tematiche dell'ibridazione uomo-macchina, della cospirazione e della ribellione che caratterizzeranno molti dei suoi lavori del decennio successivo. Non manca nemmeno l'elemento del body horror, che anzi caratterizza il celebre scontro finale in cui i corpi dei protagonisti vengono trasfigurati da gigantesche varici. Visti oggi, alcuni momenti (come quello in cui i poteri psichici vengono applicati ai "cervelloni" dei computer, o come quando gli attori si producono in improbabili smorfie di sforzo per dimostrare il proprio uso della telepatia) non possono non far sorridere, ma ciò non toglie nulla alla visionarietà di questo incredibile film di genere (strepitoso Michael Ironside nei panni di Revok, con ghigno inquietante al seguito, angosciante come il vociare altrui che si sovrappone nei meandri del cervello), che affondando le sue radici nelle sfumature dell'eterno duello tra il Bene e il Male e pure in quelle dei generi che si contaminano tra loro, dà vita ad un'opera debordante, ma non arcigna e quindi accessibile anche ai non appassionati. Se si deve cercare un difetto, si può notare che in Scanners manca un po' del ritmo a cui siamo abituati in un certo cinema d'azione. Si deve considerare però che siamo all'inizio degli anni '80 e non si trattava certo di una grande produzione. Inoltre Cronenberg è un regista che tende ad "umanizzare" l'horror, a farlo risalire direttamente dall'interno del nostro corpo o, come in questo caso, dai meandri della mente, creando una nuovo immaginario orrorifico che ha dato vita ad altri due blandi seguiti senza alcun motivo di interesse. Scanners invece resta (e sarà) una pietra miliare che apre (e aprirà) degnamente un decennio ricco di idee, quegli ormai lontani anni '80 pieni di classici. E pure questo è un grande classico, che mantiene fresco ed intatto il suo fascino ed i suoi contenuti di denuncia sociale, purtroppo più che mai attuali.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Un David Cronenberg prima maniera e come tale assolutamente prezioso, come tutta la sua produzione del periodo, originale, almeno in corrispondenza del suo anno di genesi, inquietante in crescendo, tanto da stordire e mettere ripetutamente in un angolo lo spettatore con una cadenza che sa come amplificare gli aspetti che l'autore vuole rendere indelebili. Egli infatti, che miscela sapientemente horror e fantapolitica con una trama da spy story (evitando eccessi di dialogo, lungaggini ma non alcune incongruenze), dà sfogo al suo estro visionario, soprattutto nella scena del duello finale, che si conclude in maniera beffarda e sorprendente, mentre per il resto affida le manifestazioni del potere mentale degli Scanners alle mimiche degli attori (Michael Ironside è perfetto e inquietante nella parte). Il duello tra Revok e Vale parte dalle parole, che portano a galla forti verità ed obiettivi, per finire in uno scontro terminale (quest'ultimo davvero spettacolare, effetti speciali fantastici), nel quale la risoluzione è di rarissima inquietudine, sottolineata, come il resto della pellicola, dalla colonna sonora firmata da Howard Shore capace di contrappuntare lo spartito narrativo e generare disarmo.
Commento Finale: Horror di notevole impatto visivo (celebre la scena della testa che esplode), Scanners ha l'ambizione di denunciare i pericoli della ricerca scientifica e tratteggia personaggi che ispirano pietà ed empatia anziché paura. David Cronenberg procede per accumulo, sbizzarrendosi in effetti speciali, ma la sceneggiatura ha qualche lacuna di troppo e non tutto è spiegato a dovere. La sequenza finale è comunque sorprendente. Buone interpretazioni di Stephen Lack e Michael Ironside, novelli Caino e Abele che arrivano a distruggersi (letteralmente) a vicenda.
Consigliato: Il gore non è elevato come alcuni prima ed altri dopo, ma è un film per stomaci forti, seppur l'accessibilità a tutti è garantita dal suo non essere arcigno, però se non amate il genere o il regista potrebbe non bastare. Tutto sta a voi.
Voto: 6+
Trama: La Consec, una multinazionale del settore armamenti, è messa in pericolo da una misteriosa organizzazione formata da Scanners, individui capaci anche di uccidere facendo esplodere telepaticamente la testa degli avversari.
Recensione: Correva l'anno 1981 e il canadese David Cronenberg (un paio di cult già alle spalle e un occhio sempre più attento alle degenerazioni della società) si confermava regista dell'eccesso umano, con una delle punte massime di quella che sarebbe diventata la sua personalissima poetica. Muovendosi secondo il tipico canovaccio cronenberghiano, che parte da un problema manifestatosi a livello collettivo per poi proiettarlo nel privato del protagonista, Scanners (che prende il titolo dai soggetti in questione, persone dotate di potenzialità telecinetiche, in grado di penetrare nel cervello degli altri e manipolarlo a proprio piacimento) propone infatti come le opere precedenti il tema della pericolosità sociale e della scienza che modifica i corpi, ma al contempo trasporta il tutto in una dimensione più psicologica, e anticipa le tematiche dell'ibridazione uomo-macchina, della cospirazione e della ribellione che caratterizzeranno molti dei suoi lavori del decennio successivo. Non manca nemmeno l'elemento del body horror, che anzi caratterizza il celebre scontro finale in cui i corpi dei protagonisti vengono trasfigurati da gigantesche varici. Visti oggi, alcuni momenti (come quello in cui i poteri psichici vengono applicati ai "cervelloni" dei computer, o come quando gli attori si producono in improbabili smorfie di sforzo per dimostrare il proprio uso della telepatia) non possono non far sorridere, ma ciò non toglie nulla alla visionarietà di questo incredibile film di genere (strepitoso Michael Ironside nei panni di Revok, con ghigno inquietante al seguito, angosciante come il vociare altrui che si sovrappone nei meandri del cervello), che affondando le sue radici nelle sfumature dell'eterno duello tra il Bene e il Male e pure in quelle dei generi che si contaminano tra loro, dà vita ad un'opera debordante, ma non arcigna e quindi accessibile anche ai non appassionati. Se si deve cercare un difetto, si può notare che in Scanners manca un po' del ritmo a cui siamo abituati in un certo cinema d'azione. Si deve considerare però che siamo all'inizio degli anni '80 e non si trattava certo di una grande produzione. Inoltre Cronenberg è un regista che tende ad "umanizzare" l'horror, a farlo risalire direttamente dall'interno del nostro corpo o, come in questo caso, dai meandri della mente, creando una nuovo immaginario orrorifico che ha dato vita ad altri due blandi seguiti senza alcun motivo di interesse. Scanners invece resta (e sarà) una pietra miliare che apre (e aprirà) degnamente un decennio ricco di idee, quegli ormai lontani anni '80 pieni di classici. E pure questo è un grande classico, che mantiene fresco ed intatto il suo fascino ed i suoi contenuti di denuncia sociale, purtroppo più che mai attuali.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Un David Cronenberg prima maniera e come tale assolutamente prezioso, come tutta la sua produzione del periodo, originale, almeno in corrispondenza del suo anno di genesi, inquietante in crescendo, tanto da stordire e mettere ripetutamente in un angolo lo spettatore con una cadenza che sa come amplificare gli aspetti che l'autore vuole rendere indelebili. Egli infatti, che miscela sapientemente horror e fantapolitica con una trama da spy story (evitando eccessi di dialogo, lungaggini ma non alcune incongruenze), dà sfogo al suo estro visionario, soprattutto nella scena del duello finale, che si conclude in maniera beffarda e sorprendente, mentre per il resto affida le manifestazioni del potere mentale degli Scanners alle mimiche degli attori (Michael Ironside è perfetto e inquietante nella parte). Il duello tra Revok e Vale parte dalle parole, che portano a galla forti verità ed obiettivi, per finire in uno scontro terminale (quest'ultimo davvero spettacolare, effetti speciali fantastici), nel quale la risoluzione è di rarissima inquietudine, sottolineata, come il resto della pellicola, dalla colonna sonora firmata da Howard Shore capace di contrappuntare lo spartito narrativo e generare disarmo.
Commento Finale: Horror di notevole impatto visivo (celebre la scena della testa che esplode), Scanners ha l'ambizione di denunciare i pericoli della ricerca scientifica e tratteggia personaggi che ispirano pietà ed empatia anziché paura. David Cronenberg procede per accumulo, sbizzarrendosi in effetti speciali, ma la sceneggiatura ha qualche lacuna di troppo e non tutto è spiegato a dovere. La sequenza finale è comunque sorprendente. Buone interpretazioni di Stephen Lack e Michael Ironside, novelli Caino e Abele che arrivano a distruggersi (letteralmente) a vicenda.
Consigliato: Il gore non è elevato come alcuni prima ed altri dopo, ma è un film per stomaci forti, seppur l'accessibilità a tutti è garantita dal suo non essere arcigno, però se non amate il genere o il regista potrebbe non bastare. Tutto sta a voi.
Voto: 6+
Tema e genere: Film drammatico ispirato all'omonimo romanzo di James Graham Ballard del 1973, vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes.
Trama: Il regista televisivo James Ballard (James Spader) viene coinvolto in uno spaventoso incidente stradale che rischia di costargli la vita. L'evento, unito all'incontro con Vaughan (Elias Koteas), teorico del legame tra piacere sessuale e morte violenta in auto, è il detonatore che scatena una reazione a catena sempre più estrema.
Recensione: David Cronenberg, da regista alternativo e provocatorio qual è, continua (ma non si è mai fermato) il suo viaggio, attraverso la perversione umana, qui anche grottesca oltre che repellente, ottenendo cosi un film "disturbante" allucinato e visionario, una sorta di pornografico tecnologico, un'esperienza visivo-emotiva estrema. Un connubio malato tra depravazione e sesso, tecnologia e brutalità, violenza e patologia. Un film ascrivibile al genere body horror, in cui attraverso la mutazione fisica del corpo, esplora le reazioni che ciò suscita, immagini forti e sconvolgenti, che mettono a dura prova la sensibilità dello spettatore. In Crash infatti, dalla prima all'ultima scena, quello che viene definito il "comune senso del pudore" viene costantemente messo a dura prova. Tuttavia se le scene di sesso sono il leitmotiv dell'opera, un altro tema affiora con evidenza, quello della morte: il primo incidente del protagonista (che si chiama James Ballard, come lo scrittore dal cui romanzo il film è tratto) costa la vita a un uomo, poi c'è la ricostruzione della morte di James Dean, poi quella di un cascatore che muore allo stesso modo di Jayne Mansfield, e infine la morte della controversa figura di Vaughan. Eros e Thanatos quindi, ma non solo: il terzo argomento sono ovviamente le automobili, il mezzo (è proprio il caso di dirlo) attraverso cui l'erotismo e la morte entrano in contatto (tutte le scene di sesso si svolgono all'interno di automobili, tutte le morti sono causate da incidenti stradali). Pertanto i temi ci sono, un'idea ed un pensiero lo stesso, eppure questo film, un film di non facile approccio, spiegarlo razionalmente è impresa ardua. Poco lineare, morboso come non mai e permeato da un senso di malattia decisamente fuori dal comune. I personaggi, in continua attività sessuale, sono sospesi in un universo psichico che lega appunto l'idea del piacere (e dell'amore) a quella della morte, ma che si protende senza soluzione di continuità tra un oggi meccanico e impersonale e un immediato futuro di mutazioni. E' insomma un film psicologicamente complesso, anche a tratti ridondante, adatto per lo più ad un pubblico già ferrato sulle ossessioni presenti nei lavori del regista canadese. Alla lunga difatti diventa un po' troppo ripetitivo e, a mio modesto parere, cala notevolmente di tono, ma che riesce ad essere assolutamente magnetico. Paradossale infatti che questo racconto disturbante per tematiche e scene, sia non solo difficile da dimenticare, ma sia anche meritevole di considerazione per le (seppur non necessariamente condivisibili) prese di posizione sulla natura dell'uomo ed il suo destino (se è questo che il film vuole dire). Una cosa però è certa, non è roba che si vede tutti i giorni, e che il "nostro" ha visto tempi migliori.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Ci sono tutti i temi tanto cari al regista canadese (che già di suo non è accessibile a chiunque) con la differenza che stavolta il pedale del perverso è spinto letteralmente ai limiti del mostrabile (complimenti al grande cast per il coraggio, da una Deborah Kara Unger mai più così sexy ad Holly Hunter, dall'altra ed altro a James Spader, quest'ultimo comunque perfetto interprete), nonostante questo, per quanto interessante per ciò che racconta, il film di David Cronenberg (che qui libera le sue ossessioni) risulta apatico e ripetitivo per gran parte della durata: apatico perché impressiona ma non tocca, ripetitivo perché si punta su sequenze quasi tutte uguali che, per quanto estreme, dopo poco tendono al noioso. E però, che film e che coraggio, da premiare.
Aspetto tecnico: Perfette la fotografia di Peter Suschitzky e le musiche di Howard Shore.
Commento Finale: Non esattamente il film da gustare con l'allegra brigata di amici, se servisse scriverlo: piuttosto espressione di un cinema fuori dalle righe, veloce, implacabile e al tempo nichilista, cyberpunk e filosofico. In due parole, David Cronenberg.
Consigliato: Per fan del regista e, quasi certamente, per nessun altro.
Voto: 6
Trama: Il regista televisivo James Ballard (James Spader) viene coinvolto in uno spaventoso incidente stradale che rischia di costargli la vita. L'evento, unito all'incontro con Vaughan (Elias Koteas), teorico del legame tra piacere sessuale e morte violenta in auto, è il detonatore che scatena una reazione a catena sempre più estrema.
Recensione: David Cronenberg, da regista alternativo e provocatorio qual è, continua (ma non si è mai fermato) il suo viaggio, attraverso la perversione umana, qui anche grottesca oltre che repellente, ottenendo cosi un film "disturbante" allucinato e visionario, una sorta di pornografico tecnologico, un'esperienza visivo-emotiva estrema. Un connubio malato tra depravazione e sesso, tecnologia e brutalità, violenza e patologia. Un film ascrivibile al genere body horror, in cui attraverso la mutazione fisica del corpo, esplora le reazioni che ciò suscita, immagini forti e sconvolgenti, che mettono a dura prova la sensibilità dello spettatore. In Crash infatti, dalla prima all'ultima scena, quello che viene definito il "comune senso del pudore" viene costantemente messo a dura prova. Tuttavia se le scene di sesso sono il leitmotiv dell'opera, un altro tema affiora con evidenza, quello della morte: il primo incidente del protagonista (che si chiama James Ballard, come lo scrittore dal cui romanzo il film è tratto) costa la vita a un uomo, poi c'è la ricostruzione della morte di James Dean, poi quella di un cascatore che muore allo stesso modo di Jayne Mansfield, e infine la morte della controversa figura di Vaughan. Eros e Thanatos quindi, ma non solo: il terzo argomento sono ovviamente le automobili, il mezzo (è proprio il caso di dirlo) attraverso cui l'erotismo e la morte entrano in contatto (tutte le scene di sesso si svolgono all'interno di automobili, tutte le morti sono causate da incidenti stradali). Pertanto i temi ci sono, un'idea ed un pensiero lo stesso, eppure questo film, un film di non facile approccio, spiegarlo razionalmente è impresa ardua. Poco lineare, morboso come non mai e permeato da un senso di malattia decisamente fuori dal comune. I personaggi, in continua attività sessuale, sono sospesi in un universo psichico che lega appunto l'idea del piacere (e dell'amore) a quella della morte, ma che si protende senza soluzione di continuità tra un oggi meccanico e impersonale e un immediato futuro di mutazioni. E' insomma un film psicologicamente complesso, anche a tratti ridondante, adatto per lo più ad un pubblico già ferrato sulle ossessioni presenti nei lavori del regista canadese. Alla lunga difatti diventa un po' troppo ripetitivo e, a mio modesto parere, cala notevolmente di tono, ma che riesce ad essere assolutamente magnetico. Paradossale infatti che questo racconto disturbante per tematiche e scene, sia non solo difficile da dimenticare, ma sia anche meritevole di considerazione per le (seppur non necessariamente condivisibili) prese di posizione sulla natura dell'uomo ed il suo destino (se è questo che il film vuole dire). Una cosa però è certa, non è roba che si vede tutti i giorni, e che il "nostro" ha visto tempi migliori.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Ci sono tutti i temi tanto cari al regista canadese (che già di suo non è accessibile a chiunque) con la differenza che stavolta il pedale del perverso è spinto letteralmente ai limiti del mostrabile (complimenti al grande cast per il coraggio, da una Deborah Kara Unger mai più così sexy ad Holly Hunter, dall'altra ed altro a James Spader, quest'ultimo comunque perfetto interprete), nonostante questo, per quanto interessante per ciò che racconta, il film di David Cronenberg (che qui libera le sue ossessioni) risulta apatico e ripetitivo per gran parte della durata: apatico perché impressiona ma non tocca, ripetitivo perché si punta su sequenze quasi tutte uguali che, per quanto estreme, dopo poco tendono al noioso. E però, che film e che coraggio, da premiare.
Aspetto tecnico: Perfette la fotografia di Peter Suschitzky e le musiche di Howard Shore.
Commento Finale: Non esattamente il film da gustare con l'allegra brigata di amici, se servisse scriverlo: piuttosto espressione di un cinema fuori dalle righe, veloce, implacabile e al tempo nichilista, cyberpunk e filosofico. In due parole, David Cronenberg.
Consigliato: Per fan del regista e, quasi certamente, per nessun altro.
Voto: 6
Tema e genere: Un horror che come altre opere dell'autore, affronta il tema della mutazione della carne e della fusione fra tecnologia e uomo.
Trama: Il direttore di una rete televisiva capta un'inquietante trasmissione e si ritrova catapultato nell'incubo.
Recensione: Come spesso avviene con David Cronenberg, la scelta di fare fantascienza/horror non è fine a se stessa, ma speculare a riflessioni più ampie sulla realtà che ci circonda. Infatti, dopo il successo di Scanners, egli esplora il mondo onirico con Videodrome, e mette in evidenza con una sceneggiatura ben strutturata ed efficace, la debolezza della mente umana che cerca il benessere attraverso la videodipendenza. Distruggere pensieri con l'utilizzo di mass media digitali, perché pensare è considerato uno strumento di autodifesa contro il sistema. Max Renn dirige una piccola emittente privata specializzata in pornografia. Nella ricerca di prodotti sempre nuovi, utili a scongiurare il pericolo di un'assuefazione del pubblico, un giorno egli si imbatte in un programma clandestino (il "videodrome" del titolo) a base di sevizie mortali. Rimane colpito e cerca di contattarne i produttori. Cadrà vittima di un gioco più grande di lui: forze occulte e incomprensibili, celate dietro lo schermo televisivo, lo assoggettano a un mostruoso controllo rendendolo il possibile antesignano di un futuro che non vorremmo mai vedere. Senza dubbio, una delle pellicole più complesse del regista canadese che usa un James Woods risucchiato dal vortice cronenberghiano di sesso, violenza, mutazione genetica e psicolabilità, per rivelare appunto il controllo assoluto della televisione sulla mente umana. Non è un caso che il significato del film risieda nella frase: "La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione". E l'uomo perciò diventa schiavo delle false verità mostrate sullo schermo, ricercando la perfezione attraverso queste ultime piuttosto che attraverso la realtà stessa. Si perché Videodrome (e siamo solo nel 1983) è un film che parla indirettamente dei pericoli insiti nei sistemi di comunicazione di massa, con la loro subdola capacità di stuzzicare gli istinti più bassi e meschini degli spettatori. Molte le scene forti, dove vediamo lo "stile" del regista canadese atto a fondere materia inorganica e organica, tanto che il protagonista diventa egli stesso un videoregistratore: la sua carne si apre affinché si possano inserire delle cassette che lo "programmino". Il film quindi lancia un messaggio importante, e lo fa tramite alcune trovate registiche davvero geniali (soprattutto una, roba letteralmente per stomaci forti), che purtroppo e paradossalmente lo fa invecchiare rapidamente, perché la nostra società ha già esaurito gli incubi dell'era televisiva ed è passata oltre. Il che non sarebbe un problema se ciò non metti anche in evidenza una trama un po' raffazzonata, in cui plot hole e incongruenze vengono nascoste a malapena. Eppure, anche se Videodrome non è un film perfetto, a volte è inoltre troppo confuso, si perde dietro visioni oniriche che creano una trama forse troppo indefinita, è questa una visione significativa ed interessante. Perché certo, sarebbe arduo definire Videodrome un bel film, straniante, disgustoso e orripilante, questo sì, e a un certo punto ci ritroviamo invischiati in una centrifuga di carne, video e psicosi, tanto da non uscirne più, ma senz'altro fatica a farsi dimenticare.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Con una sceneggiatura forse smorzata da qualche dialogo di troppo e il fantastico agglomerato di effetti speciali di Rick Backer, David Cronenberg (che riesce come pochi a entrare in dimensioni malate e disturbanti) adotta un linguaggio visivo e contenutistico vaticinante, per lanciare un messaggio martellante e profondo ad un pubblico già cieco e sordo ai primi allarmi di distorsione fruitiva multimediale. Un messaggio che arriva, grazie anche ai curati trucchi e alla scenografia, non dimenticando le interpretazioni, da un perfetto James Woods (la scelta degli attori maschili è sempre eccellente) a le due donne "misteriose", Sonja Smits e Debbie Harry, ma senza trascurare tre volti televisivi americani abbastanza noti, Leslie Carlson, Jack Creley e Lynne Gorman, però più di 6,5 non riesco a dare per l'assenza di una trama strutturata e di un giusto coinvolgimento.
Commento Finale: Diciamo che è un buon film, con un messaggio innovativo e importante ma in parte sfruttato male, piccoli difetti come il lento avvenire dei fatti o la trama un po' confusionaria rendono questo film a volte un po' noioso. Tutto sommato però, Videodrome è un film di più che sufficiente bellezza che oltre ad avere una trama interessantissima lancia anche un significato molto importante che sicuramente segna il valore di questo film.
Consigliato: Più che in altre occasioni, consigliabile ai fan del regista canadese, o se reggete scene forti.
Voto: 6,5
Trama: Il direttore di una rete televisiva capta un'inquietante trasmissione e si ritrova catapultato nell'incubo.
Recensione: Come spesso avviene con David Cronenberg, la scelta di fare fantascienza/horror non è fine a se stessa, ma speculare a riflessioni più ampie sulla realtà che ci circonda. Infatti, dopo il successo di Scanners, egli esplora il mondo onirico con Videodrome, e mette in evidenza con una sceneggiatura ben strutturata ed efficace, la debolezza della mente umana che cerca il benessere attraverso la videodipendenza. Distruggere pensieri con l'utilizzo di mass media digitali, perché pensare è considerato uno strumento di autodifesa contro il sistema. Max Renn dirige una piccola emittente privata specializzata in pornografia. Nella ricerca di prodotti sempre nuovi, utili a scongiurare il pericolo di un'assuefazione del pubblico, un giorno egli si imbatte in un programma clandestino (il "videodrome" del titolo) a base di sevizie mortali. Rimane colpito e cerca di contattarne i produttori. Cadrà vittima di un gioco più grande di lui: forze occulte e incomprensibili, celate dietro lo schermo televisivo, lo assoggettano a un mostruoso controllo rendendolo il possibile antesignano di un futuro che non vorremmo mai vedere. Senza dubbio, una delle pellicole più complesse del regista canadese che usa un James Woods risucchiato dal vortice cronenberghiano di sesso, violenza, mutazione genetica e psicolabilità, per rivelare appunto il controllo assoluto della televisione sulla mente umana. Non è un caso che il significato del film risieda nella frase: "La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione". E l'uomo perciò diventa schiavo delle false verità mostrate sullo schermo, ricercando la perfezione attraverso queste ultime piuttosto che attraverso la realtà stessa. Si perché Videodrome (e siamo solo nel 1983) è un film che parla indirettamente dei pericoli insiti nei sistemi di comunicazione di massa, con la loro subdola capacità di stuzzicare gli istinti più bassi e meschini degli spettatori. Molte le scene forti, dove vediamo lo "stile" del regista canadese atto a fondere materia inorganica e organica, tanto che il protagonista diventa egli stesso un videoregistratore: la sua carne si apre affinché si possano inserire delle cassette che lo "programmino". Il film quindi lancia un messaggio importante, e lo fa tramite alcune trovate registiche davvero geniali (soprattutto una, roba letteralmente per stomaci forti), che purtroppo e paradossalmente lo fa invecchiare rapidamente, perché la nostra società ha già esaurito gli incubi dell'era televisiva ed è passata oltre. Il che non sarebbe un problema se ciò non metti anche in evidenza una trama un po' raffazzonata, in cui plot hole e incongruenze vengono nascoste a malapena. Eppure, anche se Videodrome non è un film perfetto, a volte è inoltre troppo confuso, si perde dietro visioni oniriche che creano una trama forse troppo indefinita, è questa una visione significativa ed interessante. Perché certo, sarebbe arduo definire Videodrome un bel film, straniante, disgustoso e orripilante, questo sì, e a un certo punto ci ritroviamo invischiati in una centrifuga di carne, video e psicosi, tanto da non uscirne più, ma senz'altro fatica a farsi dimenticare.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Con una sceneggiatura forse smorzata da qualche dialogo di troppo e il fantastico agglomerato di effetti speciali di Rick Backer, David Cronenberg (che riesce come pochi a entrare in dimensioni malate e disturbanti) adotta un linguaggio visivo e contenutistico vaticinante, per lanciare un messaggio martellante e profondo ad un pubblico già cieco e sordo ai primi allarmi di distorsione fruitiva multimediale. Un messaggio che arriva, grazie anche ai curati trucchi e alla scenografia, non dimenticando le interpretazioni, da un perfetto James Woods (la scelta degli attori maschili è sempre eccellente) a le due donne "misteriose", Sonja Smits e Debbie Harry, ma senza trascurare tre volti televisivi americani abbastanza noti, Leslie Carlson, Jack Creley e Lynne Gorman, però più di 6,5 non riesco a dare per l'assenza di una trama strutturata e di un giusto coinvolgimento.
Commento Finale: Diciamo che è un buon film, con un messaggio innovativo e importante ma in parte sfruttato male, piccoli difetti come il lento avvenire dei fatti o la trama un po' confusionaria rendono questo film a volte un po' noioso. Tutto sommato però, Videodrome è un film di più che sufficiente bellezza che oltre ad avere una trama interessantissima lancia anche un significato molto importante che sicuramente segna il valore di questo film.
Consigliato: Più che in altre occasioni, consigliabile ai fan del regista canadese, o se reggete scene forti.
Voto: 6,5
Qui ti devo bacchettare le mani! "Videodrome" è uno dei miei film preferiti ;)
RispondiEliminaSugli altri invece concordo abbastanza.
E meno male che l'ho valutato comunque positivamente, altrimenti povero me :D
EliminaBravo, hai capito, e probabilmente servirà una seconda visione ;)
RispondiEliminaCi proverò, materiale c'è ancora da recuperare :)
Solo io mi sono svegliata dal coma senza superpoteri?
RispondiEliminaNon è giusto!! 😂😂😜
Mi sa di sì :D
EliminaDei film di cui hai parlato, l'unico che non ho visto è Crash.
RispondiEliminaLa Zona Morta è uno di quei rari casi in cui libro e film si completano a vicenda. Certi passaggi del libro sono stati colmati e resi più chiari dal film. Il libro ce l'ho anche a casa e credo di averlo letto 3-4 volte.
Su Videodrome è vero, ci sono dei buchi di sceneggiatura e risulta a tratti molto confuso. Credo sia in parte una scelta voluta, proprio per lasciare lo spettatore nel buio della non completa comprensione.
Di Scanners la cosa strana è che avevo visto quasi vent'anni fa i quattro seguiti, mentre il capostipite l'ho visto solo l'anno scorso.
L'unico che poi non mi è piaciuto particolarmente...gli altri ovviamente sì, a partire da La zona morta, felice di sapere che anche il libro è bello, poi Videodrome, capisco che è una scelta voluta, però qualche spiegazione in più non avrebbe guastato, infine Scanners, di cui non credo vedrò i sequel ;)
EliminaScanners 2 e 3 li ho un po' rimossi, ma Scanner Cop e Scanner Cop II ricordo che mi erano piaciuti.
EliminaLa Zona Morta è uno dei migliori libri King.
Sono degli spin-off presumo Scanner Cop, non li conosco affatto però ;)
EliminaAvevo visto molto tempo fa "la zona morta" e ricordo di aver pensato che era un film mitico. Molto d'impatto la recitazione di Christopher Walken. Non ho visto purtroppo nessuno degli altri film ma dopo aver letto il tuo post confesso che Scanners e Videodrome hanno suscitato il mio interesse.
RispondiEliminaAvrai letto però che sono due film simili ma molto diversi dalla zona morta, quest'ultimo sicuramente più emozionante e delicato, gli altri più intensi ed "orripilanti", ma da amante degli horror potresti apprezzare tanto ;)
EliminaHo recuperato una grande lacuna: la visione de "La zona morta". Concordo con l'eccezionale prestazione di Walken, mentre pensa, io preferisco la prima parte: la lenta scoperta dei poteri, l'indagine con la Polizia. Bellissimo film. E terribilmente profetico. La scena della visione del via alla guerra nucleare mi ha spaventato e non poco..il potere che cerca la legittimazione del popolo e in nome del popolo fa scelte sciagurate..brr..
RispondiEliminaProfetico sì, pensa che mi ha ricordato un certo "biondo", e avrei fatto la stessa cosa..
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