Piccola pausa dai "recuperi" prefissati (7 serie complete) che mi hanno tenuto impegnato gli scorsi tre mesi e che mi terranno ancora impegnato per i prossimi tre, infatti dopo le prime tre delle 6 totali stagioni di Bojack Horseman, le prime tre delle 4 totali di Banshee, le tre di Narcos, le due di The End of the F***ing World, la prima delle 4 totali di The Man in the High Castle, ci saranno quindi le conclusive stagioni delle serie ancora da concludere, più altre due (di cui non svelo oggi, anticipo solo che la prima è in parte è horror e dura tre stagioni, la seconda è commedia e ne dura due). Mi son fermato perciò questo mese non solo perché è giusto per mi segue spezzare la monotonia, ma anche perché molto altro avevo da vedere e il tempo a disposizione ne è rimasto poco, anche se a botta di 9 serie a volta a Novembre e Dicembre tanta roba ci sarà. Per il momento ho visto queste nove qui, che hanno una particolarità, nessuna mi è personalmente nuova (lo saranno successivamente), ma sono tutte stagioni successive a qualcosa di già visto, e recentemente, in ogni caso vediamo com'è andata.
Yellowstone (2a stagione) - La seconda stagione riparte da dove era terminata la (sorprendente) prima stagione, con John Dutton che deve fare i conti con avversari sempre più ostici e con una situazione familiare ancor più complessa. Proprio il legame tra padri e figli e la possibilità di lasciare ciò che si è creato alla generazione successiva sono i cardini su cui poggiano le 10 nuove puntate. Come riuscire a passare il ranch da una generazione all'altra? Come far crescere i propri figli sapendo di lasciargli sulle spalle il peso enorme di un'eredità così pesante? John Dutton ha resistito al tempo, alla fatica, ai lutti, ma ora sembrano arrivare nuove tempeste all'orizzonte che impongono una resa dei conti finale. Yellowstone 2 si muove lungo quel sottilissimo filo che lega padri e figli, e come nella prima stagione mette in scena amori e rancori, identità diverse e le ardite voglie di fughe impossibili. Perché scappare dal ranch vuol dire anche voltare le spalle alla famiglia, e perché nessuno dei Dutton può costruirsi una vita propria senza mantenere un legame saldo e duraturo con questa terra aspra e selvaggia. Insomma, il Montana di Kevin Costner (sempre alquanto impeccabile) è tanto affascinante quanto rischioso, un luogo in cui il pericolo è dietro l'angolo, vero terreno di scontro tra la modernità che avanza e le tradizioni secolari. Nelle vicende di ogni personaggio si mescolano il passato e il futuro, in un presente che sembra marchiare tutti a fuoco ed in cui nessuno sembra poter andare fino in fondo alle proprie scelte, alle proprie vite. In questo passaggio di generazioni scopriamo lati nascosti di qualche protagonista: i sentimenti di Beth e Rip vengono a galla, persino John piange quando riesce a ritrovare suo nipote, colui che è davvero riuscito a sciogliere il suo cuore. La vita dei cowboy acquista un ruolo di maggior peso, e le ambientazioni fantastiche creano una cornice perfetta per una storia che, come nella prima stagione, inizia a rilento ma poi sterza in maniera decisa e positiva. Yellowstone 2, insomma, scava più nel profondo, mette a nudo le pieghe dell'anima e le sfumature della famiglia Dutton, riesce persino ad emozionare per quello che si era definito come un western dei nostri giorni. Se proprio si deve trovare una pecca, il finale sembra meno curato di tutto il resto e che lascia un senso di incompiutezza e qualche domanda di troppo nello spettatore. Voto: 6,5
Deutschland 89 (Miniserie) - Con Deutschland 89 giunge a termine una delle operazioni culturalmente più interessanti (e sottovalutate) della serialità europea degli ultimi anni: la trilogia sulla fase finale della DDR (la Germania Est) che ha dato avvio al processo di riunificazione tedesca. Rileggendo una dopo l'altra Deutschland 83, Deutschland 86 e quest'ultima "stagione", si ha la percezione della fulminea e rovinosa caduta di un regime che sembrava immortale. In Deutschland 89, le avventure di Martin Rauch (Jonas Nay), la giovane spia dei servizi segreti tedesco-orientali protagonista della trilogia, incrociano i rocamboleschi eventi del novembre 1989. Sin dalle prime battute, la serie gioca sul già noto, riflettendo i retroscena dell'improvviso e repentino allentamento delle restrizioni che condussero di fatto alla caduta del Muro di Berlino. La finzione, con le operazioni sotto copertura di Rauch (in codice "Colibrì"), le tensioni nel comitato centrale del partito, gli infiltrati del regime nei primi gruppi di dissidenti sorti in quegli anni, si mescola a immagini di repertorio a loro modo storiche, come il celebre "da subito" con cui il portavoce della DDR diede incautamente il via all'assalto al muro. Con la moglie Annette ormai a Mosca come membro stabile dei servizi segreti e dietro la minaccia di vedersi portar via il piccolo figlio, la vita di Rauch si conferma un'altalena di emozioni che incrocia eventi dell'ex blocco sovietico quali la rivolta di Timisoara contro Ceausescu fino al progetto di riunificazione della Germania. Deutschland 89 (meno ficcante delle altre, ma ben riuscita) è una (mini)serie sul senso della fine di un mondo e sull'incognita che ne deriverà. Tutta la trilogia è una spy story di altissima tensione, a volte troppo costruita e con un eccesso di linee narrative, ma indicativa della capacità delle serie tedesche di guardare a fondo dentro i traumi della propria storia recente. Voto: 6,5
Save Me (Too) (2a stagione) - Save Me è stata una solida serie di 6 episodi che prese un semplice mistero e lo combinò con un mondo credibile abitato da personaggi credibili. Il finale colpì nel segno, e nonostante qualche problema la "stagione" si rivelò riuscita. Riprendendo 17 mesi dopo la fine della stagione precedente, Save Me Too (che in inglese si può storpiare in two) è un buon seguito e sebbene non corrisponda alla stessa qualità che attraversa la sua prima stagione, qui c'è una storia interessante che vale la pena vedere fino alla fine. La seconda stagione è però meno tagliente. Più facile nella visione per quanto più complessa negli eventi. Gli ultimi dieci minuti di ogni episodio puntano in direzione del prossimo e fermarsi si fa complesso. La sensazione di allontanarsi dalla soluzione, ma di scoprire molto altro, rende Save me too un gioco a perdere. Il raccapricciante giro di affari tra venditori di giovani e sudici acquirenti rende la visione impegnativa. Il personaggio di Grace (Olive Grey), giovane salvatasi da una condizione in cui la figlia di Nelly potrebbe ancora trovarsi, propone una lettura alternativa alle indagini. Deviata dai traumi vissuti, subisce una seconda ingiustizia in tribunale. Save me too divaga con decisione sui pregiudizi di classe che avvelenano il sistema giudiziario. Nella seconda stagione i temi sociali vengono marcati. Mentre nell'esordio di Lennie James erano immagine (la periferia in cui Nelly non possiede casa ma vaga da un amico all'altro), nel sequel diventano parole precise, spesso superflue. Sicuramente utili a recuperare spettatori maltrattati da immagini troppo fredde. Sono però gli ultimi episodi a lasciare basiti. Con un cambio di direzione drastico, Save me too torna ad allontanare lo spettatore con scelte che colpiscono. Più respinge, più Save me too si distingue e lascia il segno (non è mica detto del tutto in positivo). Una terza stagione (se mai ci sarà) dovrà in ogni modo avvicinare una soluzione. Ma se lo show manterrà il proprio stile, potrebbe chiudersi senza un lieto fine. Il che è sia un bene che un male. Voto: 5,5
Kidding - Il fantastico mondo di Mr. Pickles (2a stagione) - Quando Dave Holstein ha creato Kidding rimettendo insieme il genio visivo di Michel Gondry e la presenza scenica di Jim Carrey, ci siamo trovati al cospetto di un oggetto televisivo abbastanza alieno: una versione satirica di Mr. Rogers, papà televisivo della TV per bambini negli USA, pochissimo tempo fa riproposto in versione Tom Hanks al cinema, nel film Un amico straordinario, recentemente visto. Quello che veniva presentato al pubblico era una commedia matura, scorretta, sotto certi aspetti cinica e il cui scopo era quello di mettere Mr.Pickles, Jim Carrey in versione Mr. Rogers, direttamente a confronto con le psicosi del mondo moderno e nel quale i sentimenti più caustici della realtà andavano a piegare la seraficità di un personaggio quasi estraneo a ogni reazione umana, fino a spezzarlo. Ci riuscì benissimo (Qui la recensione della prima stagione), quello che non mi sarei mai immaginato è che la seconda stagione di Kidding va quasi oltre, voltando pagina per portarci in uno show che è quanto di più simile a una versione live action di BoJack Horseman per temi, toni e vie del racconto. Confermandosi in tal modo una serie televisiva atipica, brillante, originale. Un vero show dramedy in grado di parlare di lutto, amore, odio, dello scorrere del tempo e della vita stessa. Attraverso il microcosmo di una famiglia riviviamo i fatti salienti di un nucleo alle prese con l'inesorabile scorrere del tempo. Attraverso la metafora dei pupazzi, che sono dei riflessi degli stessi personaggi, la serie offre una narrazione efficace, intesa e di assoluto livello artistico. L'episodio 3101 dello show, dove praticamente assistiamo in toto ad una puntata del Mr. Pickles Puppet Time, il revival dello show dei pupazzi di Jeff (in cui compare nella parte della fatina una dolcissima Ariana Grande), assistiamo al culmine, al climax emotivo per eccellenza e dove il tempo dello show è lo stesso della diegesi. Una puntata di meta-televisione molto potente e che riesce a dare il senso all'intera serie in quanto culmine narrativo di un prodotto che ha sfruttato un tono quasi fiabesco e surreale per trattare di temi universali a noi vicini. Finalmente, questo secondo ciclo chiude tutti gli intrecci narrativi più importanti attraverso brillanti espedienti diegetici, atipici in prodotti televisivi. Questa seconda stagione si conferma innovativa, godibile e intensa. Strutturata in modo sapiente e mai banale, offre spunti interessanti che fanno riflettere. Quello di Kidding è senza dubbio un addio che fa male, un racconto seriale che forse avrebbe meritato di più da parte di Showtime, certamente uno splendido viaggio nel dolore umano a cui tutti dovrebbero prendere parte. Voto: 7,5
His Dark Materials - Queste oscure materie (2a stagione) - La prima stagione della serie HBO non mi aveva convinto, questa seconda, ispirata sempre all'omonima trilogia dello scrittore britannico Philip Pullman, che in questo caso quindi ne adatta il secondo di capitolo (intitolato La Lama Sottile), idem. Certo, sul piano visivo la serie è migliorata moltissimo e gli effetti speciali sono di qualità, ma i difetti persistono. In sintesi ci troviamo di fronte ad una (seconda) stagione che fa da collegamento verso la terza senza aggiungere molto a quanto già visto. La storia resta piuttosto vincolata, forse un po' troppo, alla suggestiva location di Cittàgazze che con il trascorrere degli episodi perde in parte il proprio fascino e mistero per lo spettatore. Se i dialoghi si confermano profondi ed incalzanti, tra John Keats e le teorie dei multiversi, le scene d'azione tra gli esseri umani lo sono meno: sembra che manchi un po' di mestiere, sia nella realizzazione che nell'interpretazione. Un problema da risolvere soprattutto per il prossimo passaggio in cui l'azione dovrebbe diventare preponderante. Il finale poi tutto risolto nel canyon nei pressi di Cittàgazze ha il sapore della convergenza forzata, motivata chiaramente da opportunità di sintesi narrativa che però si realizza in modo troppo sintetico e meccanico per essere davvero coinvolgente. Sarà quindi la terza stagione (probabilmente l'ultima) a dire con più chiarezza se His Dark Materials potrà ritenersi una serie degna di memoria o se invece si esaurirà nella riproposizione, con qualche variazione, di un mix di generi di successo. Voto: 6
Tredici (4a stagione) - È tempo di dire addio alla Liberty High, a Clay e ai suoi amici. Affrontare una nuova stagione è sempre difficile, sia per chi la realizza che per chi la segue, a maggior ragione se la stagione è quella finale per Tredici. Dopo una bellissima prima stagione che aveva conquistato un po' tutti (suscitando per di più diverse controversie per il fatto di aver affrontato argomenti come il suicidio adolescenziale, il bullismo o l'abuso sessuale) ed una seconda stagione abbastanza valida, dalla terza stagione Tredici ha iniziato a perdere il suo abbrivio con un approccio sempre meno interessante fino ad arrivare alla quarta in cui le trame precipitano senza raggiungere il grado di profondità immaginato ed atteso. Uno dei motivi è che questa ultima stagione è irregolare, affronta troppi temi in soli dieci episodi ed il risultato è una mancanza di pathos con i personaggi ed una narrazione senza quell'impatto emotivo trovatosi all'inizio della serie. Un'accozzaglia di storie in cui i personaggi vengono spremuti fino all'ultima goccia. Si tira fin troppo la corda e si cade spesso nel ridicolo, giungendo al finale che dovrebbe chiudere degnamente Tredici, ma che invece lascia tanto malcontento. Hannah Baker è un ricordo sbiadito, così come l'ottimismo di Clay, che viene a meno in questa svolta cupa e poco adatta al suo ruolo iniziale. La conclusione è racchiusa in un finale da un'ora e mezza in cui viene gettata troppa carne sul fuoco e poi bollita a caso. E insomma se la terza stagione era inutile, la quarta si dimostra senza senso (eppure in confronto fa un po' meglio), con un finale assai poco interessante, lasciando trapelare, sempre più chiaramente, che con la prima stagione (forse anche con la seconda) Tredici doveva chiudere definitivamente i battenti. La quarta stagione di 13 Reasons Why, come le precedenti stagioni, affronta tematiche molto forti e su questo non c'è nulla da obiettare, ma non era necessario trascinare la serie così a lungo da renderla imbarazzante. Tredici è diventato uno schiaffo al mondo della narrazione, un vero oltraggio nei confronti dell'evoluzione (mancata) dei personaggi, della coerenza narrativa, dello sviluppo dei conflitti e soprattutto della grande assente: l'originalità. E' finito! Per fortuna è finito. Voto: 5
Vikings (6a stagione) - Non è mai semplice dire addio a una serie che, pur coi suoi alti e bassi, ci ha tenuto compagnia per anni. Vikings avrebbe dovuto concludersi prima? Certo. Avrebbe potuto fare di più nella caratterizzazione della storia e dei personaggi nelle ultime due stagioni? Assolutamente sì. Ma lo ricorderemo sempre per le battaglie coreografate alla perfezione, per la caratteristica fotografia fatta di colori freddi, per i meravigliosi paesaggi nordici, per l'affascinante misticismo. Nonostante tutti i problemi della stagione (una stagione divisa in due da 10 episodi ciascuno) vale la pena infatti reggere qualche episodio un po' lento per osservare la degna conclusione che ci riserva il finale, uno splendido tramonto che scompare nel mare, un lungo viaggio concluso nel miglior modo possibile. Si conclude così Vikings, con due personaggi (iconici a modo loro, e paradossalmente erano gli unici rimasti...) che contemplano il tramonto ricordando affettuosamente il passato e l'amato Ragnar (purtroppo la sua mancanza si è nuovamente sentita dopo che già la quinta stagione ne risentiva, e più ancora di questa), ma con lo spirito ben indirizzato verso un nuovo inizio, verso un nuovo tipo di vita. È un tramonto che cala anche su una serie che ha saputo distinguersi nel panorama televisivo e che chiude una stagione la quale, purtroppo, paga il prezzo di una sceneggiatura incapace di mantenere il peso delle proprie ambizioni e delle numerose carte lasciate in gioco, sacrificando elementi che avrebbero meritato ben più spessore. Tuttavia, anche in questa annata, Vikings ha mantenuto il suo fascino e la sua potenza visiva, che hanno contraddistinto dall'inizio il forte magnetismo dello show. Resta la delusione per una narrazione forse poco decisa e coesa, che ha vagato un po' come hanno vagato i suoi protagonisti in quest'ultima, decisiva stagione. Si chiude così il sipario su una delle serie più rappresentative del proprio genere che, nonostante tutto, non ha mai perso il suo fascino evocativo e che sarà sicuramente ricordata anche negli anni a venire. Voto: 6+
Agents of S.H.I.E.L.D. (7a stagione) - Dopo ben sette stagioni, anche la squadra di agenti speciali dello SHIELD dice addio alla televisione, con un'ultima stagione caratterizzata da alti e bassi. Un'ultima stagione che, per molti versi, è esattamente ciò che doveva essere: un arco narrativo coraggioso, con sprazzi di virtuosismo e una voglia di sperimentare nuove soluzioni (visive e narrative) che sorprendono ed emozionano (e il gioco grafico dei titoli di testa vale da solo "il prezzo del biglietto"). La meccanica dei salti temporali era potenzialmente una trappola ingombrante portatrice di confusione e buchi di trama, ma invece è stata sfruttata in modo furbo e giusto. L'occasione era quella di legare come mai prima d'ora tutte le stagioni della serie ed è stata colta al massimo, con personaggi e situazioni che si ripresentano con i loro dilemmi morali. Da metà stagione si ripresentano alcuni vecchi problemi, come la gestione insoddisfacente dei ritmi o delle intuizioni su certi personaggi piuttosto raffazzonate, scarne, superficiali. Anche il finale in sé non è interamente soddisfacente, una chiusura dolce e delicata alle avventure di questi agenti che però non si prende nessun rischio e soprattutto butta quasi metà episodio in una spiegazione infinita. L'insieme resta positivo, perché in fondo c'era il bisogno di salutare questi personaggi, e quello è riuscito più che degnamente. Questa settima stagione chiude infatti in modo dignitoso una serie che ha accompagnato i fan con un viaggio importante, che purtroppo non sempre è stato supportato a dovere, con stagioni riuscite e altre discutibili (vedasi la sesta stagione). Fortunatamente la conclusione chiude ogni questione lasciata in sospeso, regalando ai fan una scena finale sicuramente apprezzabile. Chissà, magari se fosse uscita con Disney+, i risultati sarebbero stati ancora migliori, ma comunque possiamo dire che pur non stupendo, Agents of Shield è riuscita a regalarci alcuni colpi di scena ben orchestrati e dei personaggi degni di nota, in grado di non far rimpiangere i film Marvel, di cui la serie ne ha raccontato il sottobosco. Voto: 6+
Warrior (2a stagione) - E' forse uno dei migliori spettacoli di arti marziali degli ultimi anni: consiste in una miscela bollente di generi e rappresenta decisamente un unicum nel panorama seriale attuale. E' appunto Warrior, ed è firmato Cinemax. Nella prima stagione dell'action-drama abbiamo scoperto la realtà delle tong, le società sino-americane coinvolte per lo più in azioni illecite, che insanguinavano le strade di San Francisco alla fine del XIX secolo. Abbiamo conosciuto il protagonista Ah Sahm, interpretato dall'attore Andrew Koji, il quale non è solo un portento del kung fu, ma è una vera e propria macchina umana da combattimento. In questo senso, senza spoilerare nulla, se la prima stagione era incandescente, Warrior 2 diventa esplosiva. In Warrior 2 c'è infatti molta più azione, delle vicende ancora più appassionanti e un maggiore sviluppo sia dei personaggi che dell'intreccio degli archi narrativi. Se difatti la prima annata metteva le carte in tavola, descrivendo il temperamento impulsivo e lo spirito ambizioso del protagonista, la seconda stagione sviluppa le tematiche e i personaggi di Warrior (nel cast ritroviamo gli stessi personaggi della prima stagione più qualche interessante new entry) attestandosi come un'annata molto più coesa narrativamente, più attenta alla psicologia, più acuta nel ricostruire gli attriti sociali e farne una parabola del corrente razzismo dilagante negli Usa e più, in generale, avvincente. Eppure è stata migliore per me, e preferisco la prima di stagione, per la sorpresa, la novità, l'adrenalina, il tasso di sensualità e per tante altre cose, e comunque questa seconda perfetta non è, qualcosa c'è che non funziona, ma in ogni caso è la linea narrativa dedicata al razzismo e alle rivalità sociali la parte migliore della seconda stagione di Warrior. Jonathan Tropper, già co-creatore di una delle serie più belle del nuovo millennio, Banshee (omaggiata anche con un locale che ne porta il nome e con la presenza nel cast di Hoon Lee nei panni di Wang Chao), sa fare bene tre cose: produrre serie adulte con dosi industriali di sesso e violenza che non risultano mai eccessive o fastidiose, creare protagonisti di villain solitari che sono anche guerrieri tormentati con un proprio codice morale, e raccontare il lato oscuro dell'America razzista. Molto più che una semplice serie action, quindi, Warrior è anche una serie con una forte voce femminile. Figure emancipate che nella loro epoca riescono a raggiungere un'indipendenza impensabile per il proprio sesso senza rinunciare alla propria femminilità. Alcune di loro si decorano con trucco pesante, vistosi gioielli e abiti eccentrici come se indossassero una maschera di guerra. Una menzione va anche infatti, alla ottima confezione di Warrior: dai costumi originali e pittoreschi alle scenografie suggestive e sporche, specialmente quelle che riproducono Chinatown passando per le musiche, che nei titoli di coda diventano orecchiabili tracce hip hop e rap contemporanee. In attesa della terza (confermata) stagione, un (nuovamente) buonissimo intrattenimento. Voto: 7
Sai cosa penso delle serie.
RispondiEliminaQuindi ti lascio solo un saluto. 😘
Beh insomma, qualcuna potresti anche vedere, comunque grazie e ricambio il saluto ;)
EliminaDi quelle citate ho visto solo.. The end of the F***ing World.. per il resto tutt'altra roba.. ma almeno almeno al Metodo Kominsky potresti dedicare giusto cinque minuti: basterebbero se devi innamorarti, altrimenti amen ;) un abbraccio!!
RispondiEliminaAl momento no, e comunque non riesco a vedere una puntata e poi lasciar stare, comunque è una serie in lista ;)
EliminaSì è quasi tipo Dallas, ma quando c'è azione, c'è il sangue, quando è praticamente western difficile staccarsi ;)
RispondiEliminaAgents of Shield abbandonato un po' di stagioni fa (perso il conto) perché ero veramente allo stremo, non credo recupererò il finale se non costretta.
RispondiEliminaMi ispira moltissimo Mr. Pickles invece, ne avevo già sentito parlare ma grazie per avermela ricordata!
Purtroppo urgenza non c'è, collegamenti al MCU neanche, però peccato, mentre Kidding assolutamente da recuperare e da non abbandonare ;)
EliminaConcordo pienamente su Vikings 6, soprattutto per la mancanza di Ragnar e per, come lo definisci tu, lo splendido tramonto che scompare nel mare. Ubbe e Floki hanno avuto la miglior conclusione!
RispondiEliminaMi aspettavo altro di ancor più impattante, ma alla fine conclusione soddisfacente ;)
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