venerdì 2 novembre 2018

Quando c'era Marnie (2014)

È un film particolare, l'ultima fatica dello Studio Ghibli, un film, Quando c'era Marnie (Omoide no Marnie), lungometraggio d'animazione giapponese del 2014 diretto da Hiromasa Yonebayashi (quasi certamente il regista erede dello studio e della tradizione Ghibli), che ahimè potrebbe essere l'ultimo, in quanto dall'estate 2014 (quando è uscito in Giappone) ad oggi non sono usciti altri lungometraggi animati, e potrebbe esserlo anche nel lungo periodo. Ed ora che Hayao Miyazaki si è ritirato, che Isao Takahata ci ha lasciati, la chiusura, della casa capace d'averci regalato capolavori indiscussi, potrebbe non essere difatti solo temporanea (anche se mai dire mai). E Hirosama Yonebayashi dopo il delicatissimo (e bellissimo) Arietty, piuttosto timido ai botteghini all'epoca ma personalmente un capolavoro, dirige così il primo film Ghibli a non avere nei suoi crediti, in nessuna veste, né Miyazaki né Takahata, che all'epoca era reduce dall'inatteso ed immeritato (ora che l'ho visto) flop economico de La Storia della Principessa Splendente. Un'eredità pesante quindi quella che ha dovuto portare ed ha portato sulle spalle il film e il regista, sarà riuscito nell'impresa? cosa ne è venuto fuori? Prima di tutto, semplice e diretta è questa favola che punta sulle emozioni e sulle immagini, davvero straordinarie (l'animazione è ottima), ma soprattutto, anche se quest'anime si allontana dallo stile dei due maestri, più intimo e in tono "minore", esso funziona e colpisce ugualmente. La storia è quella del romanzo per ragazzi omonimo di Joan G. Robinson, adattata per l'occasione (dal regista e sceneggiatori), storia che cerca di spiegare il profondo e angoscioso dolore dell'abbandono, non a caso il film, con la deliziosa (ma non molto simpatica, ahimé) protagonista Anna, intenerisce e immalinconisce (in tal senso stategli alla larga, se avete la lacrima di facile empatia).
Dicevamo di Anna, lei che è una 12enne affetta da asma, orfana e dalla personalità ombrosa e solitaria, che vive con la sua madre adottiva e si sente fuori posto nel mondo (per di più ha gli occhi blu, cosa che la rende ancora più outsider in mezzo agli altri giapponesi). La sua unica passione sembra essere il disegno, ma per mantenersi nel suo isolamento auto-inflitto evita in ogni modo di far scoprire agli altri quanto sia dotata. Preoccupata per la sua salute (fisica e psicologica), la madre adottiva la manda a vivere per un periodo con una coppia di parenti ancora più lontani in uno sperduto villaggio sulla costa. Lì, Anna passa il suo tempo a disegnare e a vagare da sola per gli acquitrini. Almeno finché non incontra la bionda Marnie, con cui stringe subito una profonda e segreta (complessa e quasi sensuale tra sogno e realtà) amicizia (Anna è affascinata da Marnie e dalle tante cose che sfuggono di lei in maniera viscerale se non a tratti addirittura sensuale, cosa decisamente insolita per un film targato Studio Ghibli). Ma Marnie nasconde un segreto: sembra comparire soltanto in certi momenti della giornata e non potersi allontanare dalla grande villa in cui vive. Un giorno Anna scopre il diario della sua grande amica che, oltre a essere molto vecchio, racchiude anche alcune sconcertanti verità. Gli appuntamenti di gioco e pic-nic con questa bionda e apparentemente spensierata ragazza, avvengono veramente o forse sono solo nella sua immaginazione? A proposito di ciò, la questione dell'"è tutto vero? è un sogno?" non si esaurisce però in modo sterile, un semplice mezzo per far compiere ad Anna una crescita personale. La vita e l'esistenza di Marnie vengono indagate all'interno del film e la ragazza diventa così un personaggio a tutto tondo e non solo una proiezione utile allo sviluppo di Anna, e qui mi fermo per evitare spoiler.
Questa indagine sul mistero Marnie ha inoltre il merito di introdurre un altro personaggio, la giovane Sayaka, incredibilmente Ghibliano: in lei si ritrovano molte delle caratteristiche delle protagoniste create da Miyazaki e che Anna, per precisa scelta, inizialmente non presenta. Anche graficamente, Sayaka è quasi un omaggio alla tradizione Ghibli, praticamente un incrocio tra Mei di Totoro e Tombo di Kiki: Consegne a Domicilio (e poiché sono molti gli elementi che guardano al gigante sulle cui spalle si poggia, simile ai precedenti è anche la cornice nella quale è inserita, una campagna nipponica da sogno e quasi fuori dal tempo che con i suoi colori acquarellati tranquillizza anche il più ansioso degli spettatori). Anna, dicevo, non è una protagonista come quelle a cui i film Ghibli (e particolarmente quelli i Miyazaki) ci hanno abituato: anzi, inizialmente è persino difficile riuscire a trovarla simpatica, nonostante vengano chiarite sin da subito le circostanze tragiche che l'hanno resa quello che è. Ma in definitiva è proprio questo suo essere chiusa e scontrosa a renderla un personaggio interessante (anche se non possiede il pathos e la dimensione epica che hanno fatto dei film della Ghibli dei capolavori, né personaggi che, per quanto molto umani, riescano ad affascinare lo spettatore, forse perché troppo oscuri e con amari squilibri psicologici per scatenare una possibile immedesimazione) man mano che ne scopriamo altri aspetti, la curiosità e la voglia di esplorare di una Kiki o di una Satsuki ci sono, solo nascoste da più timidezza e paura del contatto con altri esseri umani. L'allontanamento di Hiromasa Yonebayashi dai suoi predecessori dello Studio non si registra però solo nei personaggi, la pellicola mantiene per tutta la sua durata un ritmo pacato e riflessivo privo di quelle "esplosioni" di azione o emozioni tipiche dei film Ghibli: penso alle sequenze travolgenti, tra i tanti, di I Sospiri del mio Cuore (quando viene cantata Country Road) o in alcune scene di Arrietty. Non sorprende quindi che qui, libero dall'influenza dei soci fondatori le abbia evitate, scegliendo un tono più costante, misurato e sotto controllo. Peccato che così si perda una parte di quello che rendeva unica l'animazione Ghibli. Non è un caso che il film miri soprattutto ad un pubblico adulto (le storie ricche di magia e più infantili sembrano ormai accantonate).
Il pregio maggiore del film è quello di trattare con grande delicatezza temi universali (temi come la continuità tra le diverse generazioni, il potere dell'immaginazione, la realtà materiale ibridata con quella onirica, l'insoddisfazione insita nel nostro quotidiano) ed anche di combinare le diverse anime della sceneggiatura, che parte da un racconto di formazione per poi svoltare verso la Ghost Story (il personaggio di Marnie) passando infine al romanzo gotico (seppur in verità poca è la "magia"), con la presenza di grandi edifici isolati ed un misto di terrore e mistero che aleggia su di essi, delineando un rapporto particolare tra le due ragazze, la cui natura però si comprenderà soltanto alla fine dell'opera. Infatti, in una sovrapposizione continua tra realtà e sogno, Quando c'era Marnie fino all'ultimo non scioglie il mistero sulla figura della ragazza dai lunghi capelli biondi, sognata più volte dalla protagonista mentre la prima se li faceva spazzolare dalla servitù, di fronte allo specchio della sua stanza affacciata sul mare. Fantasma o amica immaginaria, siamo così condotti per mano con estrema delicatezza dentro a temi difficili e dolorosi, come l'abbandono e la non accettazione di sé. Qui c'è la novità del film (che personalmente ha deluso po'), chi pensasse infatti al tipico Anime di Studio Ghibli, almeno per com'è visto nell'immaginario collettivo, vale a dire tutto pupazzetti e tenerezza, rimarrà difatti spiazzato. Perché come detto, ci sono certamente alcuni elementi soliti, come i fondali superbi per colori e magia, o le atmosfere sognanti e così lontane dalle narrazioni cui siamo abituati (dopotutto Quando c'era Marnie è un anime splendidamente animato e disegnato), ma la storia è molto seria, concreta e reale (forse troppo). Inoltre, si caratterizza per avere un taglio molto femminile: gli unici due uomini a superare i trenta secondi d'apparizione o non parlano proprio, come il pescatore barbuto, o dicono solo battute vagamente superficiali, come lo zio presso il quale Marnie è ospitata. Per il resto, tutta la vicenda si snoda e si definisce tra donne, aspetto che mi fa sentire piuttosto inadatto al compito di recensirla.
E tuttavia contento di averlo fatto, perché al di là di una prima parte che stenta a decollare ma comunque funzionale alla presentazione dei personaggi, segue una seconda dove il mistero del passato delle due protagoniste avvince e (alla fine) commuove lo spettatore, con un sapiente dosaggio di colpi di scena e momenti di riflessione, giacché quale sia l'identità della nuova e misteriosa amica è il fulcro attorno al quale Quando c'era Marnie ruota, forse con un'eccessiva lentezza anche per i canoni della casa di produzione fondata da Hayao Miyazaki, ma passo dopo passo, sarà proprio la misteriosa amica di Anna a portarla per mano dentro quel cerchio dal quale era sempre stata esclusa fino a quel momento e decisiva sarà la rivelazione su chi sia veramente. Dopotutto questo è un film sulla memoria e sul ricordo, sul retaggio di ognuno di noi, spesso dimenticato o ignorato, eppure così caratterizzante i nostri giorni, anche nella nostra inconsapevolezza. Per questo sa essere un racconto universale, in quanto tocca corde inevitabilmente comuni. Eppure alcuni passaggi narrativi faticosi e, forse, una giravolta di troppo nella sarabanda di rivelazioni finali, fanno sì che il film non raggiunga il livello del miglior Miyazaki, anche se è questa comunque un'opera (apprezzabile e talentuosa che non può che essere definita come "bella") da difendere e proteggere, consigliata ad ogni tipo di pubblico, anche se è forse un po' troppo "ansiopatica" in certe scene da thriller hitchcockiano per essere gustata anche dai più piccoli (seppur è soprattutto la Paura uno dei motori fondamentali del loro mondo). Quando c'era Marnie infatti (film che in ogni caso difficilmente poteva competere con il capolavoro Inside Out nell'assegnazione agli Oscar 2016, a cui il suddetto fu candidato), un film dal tratto bellissimo, elegante e ben definito (con una storia profonda e coinvolgente, dei personaggi ben riusciti), in cui realtà ed immaginazione, dopo qualche incertezza iniziale, riescono ad amalgamarsi e a dar vita ad una vibrante storia di amicizia-amore che va oltre i confini spazio-temporali, seppur non è all'altezza di tante opere precedenti o dell'ultimissimo "La storia della principessa splendente", si difende bene. Tanto che, nonostante una regia non eccelsa e nonostante il non coinvolgimento dei "Maestri", il film non solo conferma il talento di Hiromasa Yonebayashi, ma ne dimostra come il degno erede, cosicché si spera di vedere in un giorno non troppo lontano, un suo nuovo film Ghibli. Perché in tal senso spero davvero non sia finito tutto (anche perché abbiamo ancora un disperato bisogno di poesia, poesia che questi straordinari film d'animazione sanno regalare) con questo film, un film che comunque potrebbe chiudere benissimo la porta, un film non eccezionale ma bello davvero. Voto: 7 [Qui più dettagli]

12 commenti:

  1. Magari il tuo incipit sarà solo una gufata al contrario, come quelle che ci mostra Striscia la Notizia sui calciatori.

    Quanto al disperato bisogno di poesia, anche nei cartoni, preferisco restare fedele ai grandi classici Disney e, se ho bisogno di sognare, mi riguardo "La bella e la bestia". 😍😍

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    1. Diciamo che notizie ufficiali non ci sono, ma voci dicono che Miyazaki tornerà a dirigere, spero sia vero ;)
      Non ho detto che la poesia non ci sia nei film Disney, anzi, alcuni sono straordinari, però di quella insita nella Ghibli non si può fare a meno :)

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  2. Oh beh, anche se la vicenda è cosa da donne, sei riuscito a rendere al cento per cento il tutto: mi hai convinto.
    Amo questi film, così poetici e semplici.

    Moz-

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    1. Semplice lo è, poetico non tanto, ma nel complesso è una visione, una pellicola, convincente ;)

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  3. Hai convinto anche me, poi lo Studio Ghibli si vende praticamente da solo.;)

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    1. Dopotutto non sono mica l'unico che ne ha parlato bene, e comunque a prescindere da tutto i film dello Studio Ghibli sono imperdibili ;)

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  4. Film bellissimo, mia figlia ha terminato la visione con copiose lacrime.

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    1. Non ne dubito, soprattutto la fine poi è davvero emozionante ;)

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  5. Sono più un fan di Miyazaki che dell'intero studio e qui mi pare di capire manchi l'elemento fantastico che mi ha fatto innamorare dei film del maestro.
    Tuttavia le animazioni sembrano ottime come sempre (tra le immagini che hai messo a colpirmi di più è stata quella della signora che stende i panni, pensa un po'!) e potrei fare un'eccezione per come ne parli bene, nonostante sia un po' troppo femminile e fatichi a decollare.
    Se mi capita gli do una possibilità! 😉

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    1. Sì, la magia manca, eppure qualcosa di "fantastico" c'è comunque in questo film che, nonostante i miei dubbi, si può senza problemi vedere e tranquillamente apprezzare ;)

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  6. Non uno dei miei Ghibli preferiti ma comunque molto commovente, soprattutto sul finale.

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    1. Non lo è neanche tra i miei, eppure quel finale è emozionante e ti lascia soddisfatto ;)

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