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giovedì 26 ottobre 2023

I film del mese (Ottobre 2023)

Se pubblico in anticipo rispetto alla normale programmazione ci sarà un perché, e il motivo, abbastanza intuibile, è che martedì 31 ci sarà lo speciale Halloween, che tuttavia quest'anno, al contrario dello scorso, in cui ho presentato (in collaborazione con la Geek League) il volumetto de Le più belle storie (a fumetti Disney) di Halloween, sarà totalmente cinematografico. Saranno 6 i film a tema che recensirò, come 16 sono come sempre i film del listone mensile recensiti. Un listone tra l'altro, mai come in questo caso, da Oscar, in quanto sono presenti ben 4 film candidati agli ultimi Premi dell'Academy Awards di Los Angeles (ed ora me ne mancano solo 10 da vedere). E tra questi 4 ecco il film più atteso, l'unico dei 4 peraltro uscito anche vincitore dall'ultima cerimonia, trionfatore infatti di molti premi. Facile in tal senso capire quale sia, e se così non fosse, sufficiente sarebbe scorrere il post e leggere, possibilmente per intero. Buona presa visione.

John Wick 4 (Azione/Thriller 2023) - E' difficile al giorno d'oggi nel cinema commerciale e d'azione mantenere la qualità costante in una saga (di cui di buonissima era pregno il terzo capitolo), ma grazie al talento del reparto audio visivo ed alla discreta regia di Chad Stahelski questo film completa degnamente un'epopea storica di un personaggio che ha di fatto contribuito all'espansione e allo sviluppo del genere action. Keanu Reeves sembra quasi stanco, il suo personaggio ne ha viste fin troppe e si appresta a una prova quasi impossibile da superare. L'unico difetto è la poca incisività e il carattere debole del cattivo, troppo macchiettistico. Resta comunque un buon film, anche e nonostante duri davvero troppo, anche e nonostante sia probabilmente il meno riuscito della saga. Voto: 6

Everything Everywhere All at Once (Sci-fi/Commedia/Dramma 2022) - Premessa, non conoscevo i Daniels, e sarà mia premura andarmi a recuperare il loro precedente lavoro, ovvero Swiss Army Man, anche se EEAAO (titolo che userò abbreviato) non che mi abbia davvero convinto, anzi, non sono ancora sicuro se mi sia piaciuto oppure no. Un film, che ha vinto non si sa come e perché sette Oscar su 11 nomination, tra cui alcuni tra i più importanti, film di fantascienza migliori non hanno ricevuto niente, decisamente eclettico, con continui cambi di registro e un mix che va dal comico, al cringe, al drammatico, al sentimentale, per l'appunto "all at once" tutto insieme. Genio e sregolatezza, sono vari i momenti in cui mi sia chiesto "ma che caspita sto guardando" mentre scorrevano un numero abbondante di scene surreali, sequenze una più roboante della precedente. Uno dei film più folli che abbia mai visto ma che alla fine risulta un po' troppo prolisso e ripetitivo nei concetti e nelle immagini (un delirio tutto sommato ben fatto, ma non il miglior film dell'anno). Le prove degli attori meritano senza dubbio ma anche loro verso la fine sembrano stanchi dei loro ruoli, insomma poteva finire mezz'ora senza togliere nulla alla storia. Ad una storia semplice, quasi banale, ma raccontata in un modo, seppur audace, caotico. In questo senso mi aspettavo forse si chiudesse un po' meglio, però resta una visione inusuale e che lascia qualcosa. Perché ad ogni modo una ventata di novità, non lo rivedrei nemmeno se mi pagassero, ma non mi pento affatto di averlo visto. Merita assolutamente una visione. Voto: 7

sabato 20 novembre 2021

I film del periodo (8-19 Novembre 2021)

Giuro, questo sarà l'ultimo speciale cinematografico periodico dell'anno (dopotutto non c'è più tempo ormai) e forse di sempre (dopotutto se tutto andrà come previsione, dall'anno prossimo un solo post mensile per raggruppare le mie visioni, difficile diventerà farlo). Uno speciale ancora una volta, per la seconda volta in questo 2021, di marca Netflix. Uno speciale doppiamente speciale, perché tutti questi film sono stati candidati agli ultimi Premi Oscar, e in quasi tutte le categorie, alcuni peraltro sono riusciti a vincerla quella benedetta statuetta. In questo senso è stata una coincidenza che tutti, proprio tutti e 12, provenissero dalla piattaforma streaming (a detta di molti) numero uno. Avevo infatti intenzione di recuperare altri film, molto meno recenti di questi, ma neanche a farlo apposta, 12 i film (anch'essi comunque, e tutti, in lista di visione) di produzione (e/o distribuzione) Netflix che hanno ricevuto quest'anno la, o le nomination, quindi non potevo fare altro che "soccombere" alla situazione, che comunque si è rilevata abbastanza soddisfacente, più o meno, perché tutto, e decisamente, non mi è piaciuto.

La vita davanti a sé (Dramma 2020) - Una Sophia Loren convincente a più di 80 anni è la nota più lieta di questo film, un film, remake del film del 1977 "La Vita davanti a sè" (che a suo tempo vinse l'Oscar come miglior film straniero) tratto dall'omonimo romanzo francese "La Vie devant soi", che viene leggermente soffocato da una sceneggiatura un po' scontata in cui a tratti prevalgono noia e lentezza. Una sceneggiatura a cui manca quel guizzo che ci faccia entrare davvero nel dramma e nei suoi personaggi, una sceneggiatura che non possiede lo spessore necessario per donare carattere alla pellicola che, tolta l'interpretazione dei due protagonisti (e il conseguente rapporto intenso tuttavia riduttivo tra i due), non sembra possedere altre doti degne di nota. Il regista Edoardo Ponti (figlio della grande attrice) non riesce inoltre a creare la giusta atmosfera. Il film in effetti è un festival di banalità e già visto con il tentativo di redenzione di un giovane disadattato (senegalese) che viene allevato da una prostituta (ebrea) in pensione. Il film purtroppo mette sul tavolo tante (troppe, ci sta in mezzo di tutto) tematiche (la storia nel suo tentativo di essere multiculturale ed inclusiva, alla fine è un po' troppo sbrigativa e superficiale), ma poi punta principalmente sul sentimento, diventando un filmetto light di cui perfetta è la dimensione da piattaforma streaming, ossia Netflix (non a caso sa un po' di televisivo in alcuni passaggi). La canzone della Pausini (che non meritava la candidatura figuriamoci la vittoria dell'Oscar) ha sì un bel messaggio (nella sua ruffianeria), ma arriva inutilmente alla fine, quando ormai irricevibile è alle orecchie dello spettatore, nei migliori dei casi già addormentato. Non male, ma parecchio deludente. Voto: 5,5
 
Il processo ai Chicago 7 (Storico/Dramma 2020) - Aaron Sorkin (affermato sceneggiatore già vincitore di un Oscar e candidato con quest'ultimo film agli ultimi Premi) dirige (il suo secondo dopo Molly's Game) una pellicola sul processo che si svolse a Chicago dopo le contestazioni alla convention democratica del 1968. Un'opera al tempo stesso informativa (di un fatto poco noto ai più) e avvincente (basata su tempi e dialoghi serrati), e che si avvale di una sceneggiatura molto ben scritta (ovviamente dello stesso regista) e di un'ottima ricostruzione ambientale, con sequenze coinvolgenti (la ricostruzione degli scontri tra manifestanti e polizia), nonché di una prova eccellente di un cast corale nel quale si segnalano i calzanti Frank Langella e Mark Rylance, ma soprattutto un efficacissimo Sacha Baron Cohen (che con la sua vena ironica ma profonda riesce a far ridere ma allo stesso tempo riesce a fare strenua opposizione pacifica), quest'ultimo non a caso, come il lato puramente tecnico (montaggio e fotografia), ha ricevuto una candidatura agli ultimi Oscar, ma a fronte delle 6 complessive (comprese quella per il miglior film, che sicuramente ci stava, e migliore canzone, sinceramente niente di eccezionale) nessuna statuetta vinta (un po' dispiace). A proposito degli Oscar 2021, paradossale notare che uno dei personaggi in scena è proprio Fred Hampton, il leader delle "Black Panther" co-protagonista in Judas and the Black Messiah (interpretato da Daniel Kaluuya), che in questo The Trial of the Chicago 7 (è il turno di Kelvin Harrison Jr.) deve invece accomodarsi una fila dietro, anche se il suo ruolo non rimane certo secondario. In un film di denuncia perfetto per ricordarci che a volte la manipolazione della realtà è più subdola di quanto immaginiamo. Nulla di originale sia chiaro, ma gli americani son maestri nel girare questo tipo di pellicole. E così le due ore abbondanti di durata scorrono via veloci, coinvolgenti e divertenti senza che ci sia un solo attimo, ma davvero nemmeno uno, di pausa. Forse prevedibile (quando il processo ha una chiara matrice politica è ben chiaro come andrà a finire) e classico, ma gran bel film, peccato anche per le scivolate nella retorica che potevano essere risparmiate. Voto: 7+

venerdì 26 luglio 2019

Vice - L'uomo nell'ombra (2018)

Tema e genere: Atipico film biografico che segue la storia di Dick Cheney, interpretato da Christian Bale, dalla sua ascesa politica fino al ruolo di vicepresidente degli Stati Uniti d'America. 
Trama: La vera storia di Dick Cheney, il vice-presidente più potente della storia americana, considerato da molti il "vero numero uno" della Casa Bianca durante l'amministrazione di George W. Bush, e di come le sue politiche abbiano cambiato il mondo.
Recensione: Narrato a volte in prima persona rivolgendosi direttamente al pubblico (un espediente già efficacemente usato dal regista nel suo film precedente), a volte da un uomo il cui ruolo si scoprirà solo alla fine con un bel colpo di scena, Vice - L'uomo nell'ombra, che segna il ritorno del regista Adam McKay dopo aver colpito pubblico e l'Academy con La grande scommessa, che tratta di un racconto di una parte della storia recente degli Stati Uniti, ma non c'entra la crisi economica, il film è infatti incentrato sulla figura di Dick Cheney, che nell'amministrazione di George W. Bush è diventato il vicepresidente più potente di sempre, è la storia (si potrebbe così dire) di una vocazione, una chiamata al potere, che Cheney sente fin da giovane e che trova la sua sponda e il suo sostegno in una moglie che da subito lo indirizza e lo sprona. Tanto Cheney è devoto alla famiglia e affettuoso con le figlie, tanto è spregiudicato nel suo comportamento pubblico: intrighi, scandali, gioco sporco, scelte che favoriscono smaccatamente i ricchi e potenti, le deportazioni e torture indiscriminate dopo la tragedia dell'11 settembre, tutto, dal bombardamento della Cambogia alla dichiarazione di guerra all'Iraq, nonostante sapesse benissimo della inesistenza delle famose armi di distruzione di massa. La tesi del regista premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale nel 2016 per quel originalissimo ed interessante film che è La grande scommessa, è che l'America sia governata da dinastie, le scelte politiche dagli anni '60 in poi sono state affidate a un ristrettissimo gruppo di persone. Un altro paese sarebbe stato possibile, suggerisce il regista quando a metà del film fa partire i titoli di coda, come se Cheney fosse stato sconfitto, ma non è stato così. La vicenda raccontata da Vice - L'uomo nell'ombra è quindi una pagina importantissima della storia recente non solo degli Stati Uniti, ma del mondo intero. L'influenza di Dick Cheney sulle vicende del primo decennio del XXI secolo è stato fortissima, in particolare per quanto riguarda l'entrata in guerra contro l'Iraq. Tra i momenti più terrificanti per la loro fredda lucidità ci sono sicuramente i focus group utilizzati per decidere la terminologia da usare per spostare l'opinione pubblica. Adam McKay insomma non risparmia nessun colpo a Cheney, ma neanche a tutti gli altri, non la classe dirigente, i ricchi, i militari, ma nemmeno la gente comune, esemplare la scena di un focus group nel quale, dopo un'accesa discussione, un liberal e un conservatore vengono alle mani sulle sorti del paese, mentre una donna è interessata solo a cosa danno al cinema, come dire, anche in America ognuno ha i governanti che si merita. La sua figura è però quella più pressata, attaccata infatti da ogni fronte, mostrandone i lati più viscidi e oscuri, creando il ritratto di un uomo davvero senza scrupoli, pronto davvero a tutto per ottenere il potere. Dall'altra parte George W. Bush, apparentemente un completo inetto, che viene facilmente raggirato dalle parole di Cheney. Una rappresentazione non certo imparziale, ma è chiaro che non sia mai stato questo l'obiettivo di McKay. Alla storia meramente politica si intreccia anche ben altro, ovvero la particolare storia d'amore tra l'inconcludente e insicuro Dick e la bella e carismatica Lynne, che poi si evolve nell'amore incondizionato verso le figlie, oltre a piccole sotto-trame di spionaggio. Perché, se il Dick Cheney politico è spietato e cinico, l'uomo sa essere un padre protettivo e amorevole, che rinuncia a correre per le presidenziali per evitare stravolgimenti nella vita della figlia minore (mi fermo qui per evitare spoiler).

lunedì 8 aprile 2019

Justice League (2017)

Dopo il film che ha chiuso, ma non definitivamente, il percorso produttivo ed artistico della casa delle idee, ecco finalmente il film della sua rivale, che con Justice League prova a replicare quel fantasmagorico successo, ma come già capitato in altre occasioni, non ci riesce. Il confronto, perché è ovvio in questo caso fare dei confronti, dopotutto il dualismo tra Marvel e DC Comics che ha sempre connotato il pantheon supereroistico dall'epoca delle strisce a fumetti si è evoluto ed è continuato imperterrito anche nel cinema, perciò è giusto e normale farlo, è infatti impietoso, l'enfasi epica è carente, le coreografie di combattimento inesistenti, buoni certamente gli effetti speciali (ma questa non è una sorpresa), ma il resto lascia a desiderare, e gli unici picchi emotivi sono conferiti dalla colonna sonora. Difatti, anche se la struttura è identica a quella di The Avengers, per filo e per segno, il team che si riunisce, le Scatole Madri al posto del Cubo Cosmico, il primo round con il cattivo, l'innocua scazzottata tra supereroi e lo scontro finale, e paradossalmente abbia lo stesso sceneggiatore, il risultato è completamente diverso. La Marvel con il suo MCU ha trovato la quadra per collocare i suoi eroi in un universo transmediale che fonde abilmente le storie in un unicum fatto di fumetti, videogiochi, serie tv e film, con questi ultimi capaci presumibilmente di riprenderne le caratteristiche fondanti del fumetto e innervarle di una sana ironia sdrammatizzante. Questa formula ha consentito di produrre buoni film indipendentemente dalla popolarità del supereroe, si vedano gli esempi più che riusciti di Ant-Man e Doctor Strange. Risponde la DC Comics, zoppicando malamente alla ricerca della formula della concorrente, evidentemente difficile da replicare quanto cercare di copiare la Coca-Cola, e infatti producono la Pepsi-Cola, che non la beve nessuno ed in confronto è niente.

sabato 29 dicembre 2018

Le migliori attrici e i migliori attori, più le sigle e colonne sonore, delle serie viste nel 2018

Nella classifica finale del 2016 divisi i premi in due tronconi, uno per gli attori e le attrici (qui) ed uno per le sigle e le colonne sonori (qui), addirittura tre l'anno scorso (qui, quo e qua), quest'anno però data la riduzione di posti, ho deciso di farla in unica sede. Infatti, per non tediare troppo la mia psiche, perché davvero complicato è sempre scegliere chi è stato e chi sono i/le migliori/e, ho ristretto il tutto a pochi intimi. Perciò ecco immediatamente chi essi sono.

I MIGLIORI ATTORI
7. Ex aequo per un duttile James Franco, sia per la prima che per la seconda stagione di The Deuce, per un appassionante Lennie James nella prima di Save Me, per la mirabolante coppia d'assi Anthony Hopkins e Ed Harris che, come per la prima di Westworld e adesso la seconda, offrono nuovamente una prova di alto livello, e per la coppia Paul Giamatti e Damian Lewis che, per la terza volta consecutiva di tante altrettante stagioni di Billions, si confermano

mercoledì 14 novembre 2018

Sharp Objects (Miniserie)

In un anno in cui la HBO ha dovuto fare a meno delle sue galline dalle uova d'oro (si pensi a The LeftoversBig Little Lies e Game of Thrones, queste ultime due torneranno nel 2019), galline che appunto avevano riportato in auge l'immagine della rete che aveva subito un brutto colpo dopo la messa in stand by di True Detective (ora però non più) e la cancellazione di Vinyl (questa sì definitivamente), ecco che dal cilindro vien spuntare il classico coniglio, ovvero una delle serie televisive più attese dell'anno, una serie sulla carta pensata per suscitare titoli altisonanti sulle riviste specializzate prima ancora di rivelare anche una sola sequenza. Si tratta infatti di uno show che prende le mosse dal famoso e omonimo romanzo scritto da Gillian Flynn (già sceneggiatrice di Gone Girl), ha come regista di tutti e otto gli episodi Jean-Marc Vallée (già regista in tv con Big Little Lies e di film quali Dallas Buyers Club e Demolition), ha una showrunner abbastanza famosa come lo è Marti Noxon (perché tra gli autrici di Buffy, la serie cult) e in ultimo (ma non certo per importanza) vanta un cast dominato da due eccezionali dive cinematografiche come Amy Adams e Patricia Clarkson. Le ottime premesse di partenza sono in gran parte confermate da Sharp Objects, in particolare grazie alla presentazione di un personaggio principale estremamente tormentato, di grande cupezza ma al contempo anche capace di indurre una spiccata empatia nello spettatore. Camille infatti non è altro che una versione femminile di tanti antieroi (protagonisti dalla condotta non esattamente impeccabile, profondamente traumatizzati e capaci di destreggiarsi in un mondo in cui il Male si nasconde dietro ogni dettaglio forti di un profondissimo tormento interiore che consente loro di affrontare la brutalità della realtà ad occhi aperti) che abbiamo visto sullo schermo per tanti anni, soprattutto su HBO.

mercoledì 1 agosto 2018

Animali notturni (2016)

Personalmente non amo questi tipi di film sofisticati, criptici, che durante ma soprattutto a fine visione lasciano parecchi punti interrogativi senza una risposta sicura. Ve ne sarete forse accorti di ciò da alcune mie recensioni, da alcuni giudizi a certe pellicole simili (anche se non per tutti i suddetti casi). Sia chiaro però, Animali notturni (Nocturnal Animals), film drammatico e neo-noir del 2016 scritto, diretto e co-prodotto da Tom Ford (basato sul romanzo del 1993 di Austin Wright Tony & Susan), è un film solido, ma non è un grande film. Infatti questa pellicola, che mi ha lasciato abbastanza perplesso, anche perché pensavo meglio, vista la miriade di osanna ricevuti a destra e a manca, è una pellicola molto pretenziosa che cerca di mettere in scena, con un doppio livello narrativo, il tema della vendetta e dell'abbandono, inseguendo costantemente una profondità, in ciò che vuole narrare e veicolare, che però mai raggiunge. E in tal senso l'opera seconda del regista/stilista dopo A Single Man non pecca nel tema, sempre meritevole di interesse, ovvero le cicatrici, dolenti ancora dopo anni, causate da rapporti sentimentali finiti male, bensì nella struttura (un racconto-cornice da dramma sentimentale che racchiude come narrazione di secondo livello un revenge movie nel profondo West, con atmosfere alla Killer Joe o Non è un paese per vecchi), potenzialmente intrigante ma non priva di difetti, e nel legame troppo strombazzato tra i due livelli narrativi. L'impressione è difatti che la montagna abbia partorito il topolino: costruzione diegetica ambiziosa, grande fotografia, attori in grande spolvero, intensità dialogica, cura certosina nella messa in scena, quello che manca sono storie interessanti, approfondite, che non sappiano di già visto e stravisto. In questo senso, le due parti di cui è composta l'opera, quella reale su Susan e quella romanzesca su Tony e l'indagine del detective, vanno a pescare da bacini tematici particolarmente frequentati nel cinema hollywoodiano: la ricca donna infelice, il crimine e la violenza in scenari desolati. Non a caso la pellicola ci racconta della vita di una gallerista che va in crisi quando riceve un manoscritto da parte del suo ex-marito, la cui storia sembra essere una inquietante metafora del loro rapporto di coppia.

mercoledì 24 gennaio 2018

Batman v Superman: Dawn of Justice (2016)

Chi ricorda la mia recensione di Suicide Squad ricorderà che vidi il film senza aver visto il suo precedente, il che mi mise un po' in difficoltà non sapendo e scoprendo solo dopo che Superman (il mio super eroe preferito, e di questo ne dovete tener conto) era "morto". Nonostante tutto vidi il film e mi piacque abbastanza, non tanto comunque, perché si rivelò e si è rivelata una delle mie grandi delusioni dello scorso anno. Ora però finalmente ho visto Batman v Superman: Dawn of Justice (2016) e qualcosa in più sulla sua dipartita e del perché della sua apparente morte (poiché era chiaro che non sarebbe successo davvero) ho saputo. Peccato che la pellicola in questione (seconda del DC Extended Universe), vista in ordine temporale dopo Wonder Woman (quarto in ordine di produzione, che sarà pubblicata dopo nonostante l'abbia visto appunto prima, il che rende questa recensione abbastanza strana e diversa da molte altre) e vista nella versione più completa ed estesa, si sia rivelata l'ennesima occasione sprecata, l'ennesima delusione. Perché per quanto sia indiscutibile che tale versione faccia probabilmente chiarezza su alcuni punti (apparentemente) oscuri della sceneggiatura che molti potrebbero non aver visto, e che quasi certamente approfondisce e/o addirittura introduce personaggi secondari di anche considerevole valore, il suddetto si perda (nonostante appunto una mezz'ora abbondante utile a capire meglio il tutto) in un racconto probabilmente e ugualmente confusionario, deficitario e irregolare, sicuramente colpa di un incomprensibile montaggio (e di una trama che presenta forzature infantili per giustificare lo scontro tra i due supereroi per eccellenza), in cui situazioni non spiegate (e se spiegate esse avvengono in malo modo) e verità negate, si susseguono (al contrario del ritmo narrativo comunque latente) a ritmo impressionante.

giovedì 11 gennaio 2018

Le migliori attrici dei film visti nel 2017

Come è stato ieri per gli uomini, è imprescindibile fare una classifica delle donne, bravissime e molte volte anche bellissime (ma di questo ci sarà spazio alla fine di tutto di parlarne), ma soprattutto attrici, che quest'anno si sono cimentate in grandi film, riuscendone sempre con la loro bravura ed espressività a farsi tanto apprezzare, tanto appunto da entrare nella classifica de Le migliori attrici dei film visti nel 2017, (qui l'edizione 2016). Film dove ovviamente il loro talento ha impreziosito queste pellicole, davvero tante che quest'anno ho visto. Prima però una piccola menzione per le posizioni 20-11.
20. L'efficace Maika Monroe per l'intrigante It Follows - 19. L'impeccabile Mary Elizabeth Winstead per il claustrofobico 10 Cloverfield Lane - 18. L'intensa Greta Scarano per l'altrettanto intenso Suburra - 17. La brillante coppia Micaela Ramazzotti-Valeria Bruni Tedeschi per la bella pellicola La Pazza Gioia - 16. La convincente Carey Mulligan per l'interessante Suffragette - 15. La funzionale e brava Matilde De Angelis per Veloce come il vento - 14. La perfetta protagonista dell'avvincente Paradise Beach, Blake Lively - 13. Rachel McAdams, l'unica ma straordinaria interprete femminile dell'intenso Il caso Spotlight - 12. La sorprendente coppia gemella Angela/Marianna Fontana nell'emozionante Indivisibili - 11. Le stupende Rooney Mara-Kate Blanchett per lo struggente film romantico Carol

martedì 17 ottobre 2017

Arrival (2016)

Anche se non è più una novità, il regista dell'appassionante e convincente Prisoners, dello spiazzante Enemy e dell'avvincente SicarioDenis Villeneuve (uno dei migliori registi del panorama mondiale contemporaneo), colpisce ancora (e non è detto che non farà altrettanto con Blade Runner 2049). Con Arrival infatti, film del 2016 diretto dal regista canadese, egli si conferma, portando sui grandi schermi di tutto il mondo una pellicola di fantascienza atipica ma efficace (con un'evoluzione strana, ma d'effetto), anche a questo giro. Dato che questo film propone sì una storia di primo contatto con un popolo extraterrestre, ma esso si evolverà in una maniera alquanto insolita eppure convincente. Il regista infatti, ispirandosi ad un racconto dell'americano Ted Chiang (coetaneo del regista), racconta ben più di una storia di invasione aliena della Terra. Giacché Arrival non è il classico prodotto fantascientifico americano pieno di battaglie, esplosioni e astronavi che viaggiano alla velocità della luce (seppur spettacolare il film lo è ugualmente), Arrival è un film sul linguaggio, sulla comunicazione, sulla diversità, sulla fiducia e la comprensione fra popoli e razze differenti, un titolo molto intelligente che onora il genere e lo fa sfruttandolo per trasmettere un messaggio di grande spessore. Il film difatti, che parla dell'arrivo degli alieni senza scene pirotecniche e senza americanismi conditi da effetti speciali a raffica e dati senza sosta, che cerca di esplorare la tematica (del confronto tra razze) mettendoci un pizzico di sentimentalismo e profondità emotiva, anche rischiando di diventare in alcuni punti un po' autoreferenziale e poco scorrevole nel ritmo, infastidendo chi da un film di fantascienza vuole qualcos'altro di meno psicologico e riflessivo, è un bell'esempio di fantascienza che sa unire spettacolarità e tensione a un contenuto non banale, che mescola linguistica, matematica, politica e fisica, nel raccontare una storia che parla di comprensione e accoglienza dell'altro, ma anche del modo in cui la lingua plasma il pensiero (e viceversa) e del nostro modo di concepire il tempo.

venerdì 29 settembre 2017

I peggiori film del mese (Settembre 2017)

Settembre è stato, come sempre tutti gli altri mesi, un mese ricco di film, ma anche un mese di normalità assoluta, tanto che molto spesso la voglia di scrivere è addirittura diminuita più che aumentata, anche se ovviamente né io né il blog abbiamo intenzione di smettere, ma dopo il rallentamento estivo, e dopo le riprese delle ostilità calcistiche (ma non solo), che diminuisce il tempo a disposizione, ho deciso d'ora in poi di continuare e quindi di non cambiare (e fino a tempo indeterminato) il mio calendario di pubblicazione, ovvero che non pubblicherò post nel weekend. Da lunedì al venerdì infatti (salvo problemini) saranno sempre garantiti i post giornalieri, ma nel weekend riposo assoluto, anche se ovviamente non me ne resterò con le mani in mano, perché come tutti i blogger sanno il tempo di riposo si usa per mettere sempre fieno in cascina. Perciò avrò sempre da fare, dopotutto in questo mese non ho smesso di vedere film, anzi, di vedere deludenti pellicole (sempre personalmente intendo), per cui ecco qui i peggiori film di questo settembre, mese di nuovi inizi, cambiamenti ma anche di stabilità. E quindi buona lettura e buona visione, anzi no, meglio scegliere con cura cosa vedere, non vorrete (anche se l'estate purtroppo è già finita) scottarvi non alcuni di questi film.

Blue Jasmine (Commedia, Usa 2013): Come forse saprete verso Woody Allen ho sempre avuto, seppur qualche suo film m'è comunque piaciuto, una certa antipatia. E dopo aver visto questo film, la suddetta cresce, perché in bilico tra commedia e dramma il regista tira fuori una storia che non ingrana mai le marce alte, si prova certamente tenerezza e allo stesso tempo ribrezzo per il personaggio principale, questo comunque per gran abilità indiscussa del regista, lodevole nel costruire un'antieroina di gran consistenza interpretata in maniera magistrale da Cate Blanchett (bravissima nell'interpretare una donna sempre sull'orlo di una crisi di nervi, una persona distrutta che ha perso tutto e non riesce a rimettere in sesto la propria vita), ma il resto è un foglio bianco dal quale ogni tanto spunta qualche idea poi reiterata all'infinito. La debole sceneggiatura infatti, priva di un effettivo "quid" (e poco appassionante), fa acqua da tutte le parti, anche perché sottolineando sino allo sfinimento le nevrosi di Jasmine (che ha perso il farabutto del marito, interpretato da Alec Baldwin), non fa che irritare (centomila scene insomma per dire la stessa cosa). Per la prima mezz'ora il film è difatti inguardabile, inutile e fastidioso (per alcuni aspetti come i dialoghi confusionari e sovrapposti come da stile del regista, i flashback un po' buttati lì e il ritmo veramente blando). Nella seconda parte, effettivamente la pellicola migliora, diventa più interessante, ma c'è ancora troppo poca attenzione destinata alla psicologia della protagonista e troppo spazio dato invece a gag simil-comiche abbastanza scontate e quindi non molto divertenti. Discreto invece il personaggio della sorella (Sally Hawkins) e del fidanzato di lei (Bobby Cannavale), due o tre scene minimamente simpatiche, per il resto poca roba (neanche la musica dove il blues qui ha poco a che fare). Perché in fin dei conti è sempre la solita storia, la solita minestra con i soliti tradimenti, scappatelle, bugie, divorzi. Tanto che l'unico motivo di esistere e di vedere, questo personalmente deludente film, è solo per Cate Blanchett, premio Oscar attrice protagonista per questo film, vedibile ma non memorabile. Voto: 5,5

Into the Storm (Thriller, Usa 2014): Amo il genere catastrofico ma questo film non mi ha colpito per niente, è vero che deve considerarsi un B-movie ma speravo in qualcosa di migliore, più coinvolgente, con una trama meno prevedibile. Narrativamente parlando infatti è molto poco originale e propone i soliti schemi del padre che deve salvare i figli, la solita storia di famiglia drammatica, i soliti sentimentalismi, ma anche se alla fine in qualche scena in particolare riesce a creare un pizzico di pathos che rende gradevole la visione, poco o niente convince davvero. Perché l'unica cosa apprezzabile di questo film, nella sostanza un remake non dichiarato di Twister, sono gli effetti speciali. Di bello infatti c'è solo come è reso il terribile tornado che devasta ogni cosa e niente più, neanche la resa (mediocre) degli attori, tra cui Sarah Wayne Callies, la Lori di The Walking Dead, e Richard Armitage de Lo Hobbit, anche se l'ho seguito senza annoiarmi eccessivamente. Giacché il film procede comunque spedito e fra tornadi e fughe disperate risucchia la sua ora e mezzo di durata. Ma comunque una volta visto si può tranquillamente cestinare. Voto: 5

venerdì 15 gennaio 2016

Big Eyes (2014)

Alla fine della visione di questo film, ossia Big Eyes, ero ancora un po' stordito da quello che avevo appena visto, stentavo a crederci, non mi sembrava vero, così inverosimile e incredibile da non sembrare quello che in realtà era ed è, una storia dannatamente vera. Non ne avevo mai sentito parlare. Perché quello che racconta questo bellissimo film (del 2014) è qualcosa di pazzesco, con un regista Tim Burton, sempre tuffato nel fantastico più sfrenato possibile, che invece, con una originale sceneggiatura, confeziona un'opera veramente molto bella, sia visivamente ed emotivamente coinvolgente. E pensare che all'inizio, nelle prime immagini (del trailer), credevo fosse un'onirico ed orripilante viaggio nell'occulto o fantasy con quella particolare scena di lei al supermercato, perché anche solo dal regista intuivo già che qualcosa di strano parlava, invece poi scopro prima di vederlo che il film è ispirato a fatti realmente accaduti e che si trattava di una biografia, una drammatica commedia. In un'epoca in cui non era possibile lasciare i mariti (anni 50-60), la pittrice Margaret Ulbrich decide di scappare con sua figlia. Senza vere prospettive e senza soldi, dipinge per passione e per necessità quadretti semi-caricaturali di bambini dagli occhi smodatamente e insolitamente grandi (in stile quasi Manga), che trasmettono emozioni contrastanti ma piene del suo sentimentalismo e della sua anima, perché gli occhi sono lo specchio dell'anima. Incredibilmente queste opere raggiungeranno un enorme e inaspettato successo quando a commercializzarle sarà Water Keane, secondo marito di Margaret bramoso di successo e di denaro, artista a tutti i costi. Spacciando i quadri della moglie per propri, per quasi un decennio, Walter costruisce un impero su un'enorme bugia, riuscendo ad abbindolare l'America intera. Finché Margaret non si ribella, perché sotto gli occhioni dei milioni di "figli" dei Keane, si cela una delle più grandi frodi dell'arte contemporanea. Purtroppo in quel periodo l'arte femminile non era presa in seria considerazione e così Walter ha potuto sfruttare le sue abilità di manager plagiando la moglie, relegandola dietro le quinte, facendo da comparsa, continuando a dipingere, dividendo equamente i profitti (si fa per dire..). Ma il femminismo è alle porte e Margaret ne è a suo modo una pioniera, poiché porterà in tribunale il marito riuscendo a smascherare Walter che si arrogava la paternità delle opere, è di fatto solo un truffatore. Non ha mai dipinto alcun quadro, ha falsato la sua vita e quella degli altri.